Intervista a Raffaele Boemio, serietà e talento fondate su una proiezione di coscienza civile
Raffaele Boemio è nato ad Afragola (NA) nel 1952 e si è diplomato presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli. Docente di discipline pittoriche presso il Liceo Artistico di Cardito (NA) fonda nel 1978 con Haebel e Domenico Natale il “Gruppo X/Arte” aderendo al Movimento degli operatori estetici nel sociale. La pittura è stata ed è il linguaggio prevalente nel quale si manifesta la sua creatività artistica, senza tuttavia chiudersi alle capacità semantiche ed espressive di altre tecniche artistiche e di mezzi diversi quali, nel tempo, la duttilità del legno di recupero, il ferro e la fusione del bronzo e dell’ottone, il laterizio e la ceramica, prodotti industriali, fotografia, elaborazione digitali di immagini, che hanno dilatato la propria concezione della pittura in territori quali la scultura e la comunicazione extramediale. Con queste possibilità linguistiche, continuamente adeguate ai bisogni propri dell’evolversi della sua esperienza umana e sociale e alla natura espressiva della propria comunicazione d’arte, Boemio ha affrontato nel tempo cicli tematici quali quello delle “Trappole maieutiche”, del “Biographico”, degli “Afona”, dei “Ready made” e dei “Ready dead” e dei “Frammenti migranti”, attraverso i quali ha indagato il proprio tempo nel bisogno mai dismesso di confrontarsi anche polemicamente, ma sempre senza preconcetti e pregiudizi, con il valore per lui assoluto della dignità dell’uomo.
Puoi segnalare il tuo percorso completo di studi? Mi sono formato artisticamente presso la Sezione di Decorazione pittorica dell’Istituto Statale d’Arte Filippo Palizzi con Carlo Verdecchia, proseguendo poi gli studi di pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli, sotto la guida di Domenico Spinosa e per la storia dell’arte di Raffaele Mormone per le sue lezioni sull’arte contemporanea.
Puoi raccontare i desideri iniziali e i sentieri che avevi intenzione di seguire? Nell’Afragola della fine degli anni Cinquanta, dove sono nato, non è che avessi molta consapevolezza dell’arte e degli artisti. Però, ricordo che la predisposizione al disegno e al piacere che mi procurava mi era chiaro già da quando frequentavo le elementari e le medie, dove ho avuto la fortuna di incontrare alcuni docenti di educazione artistica, in particolare il prof. Mazzola e il prof. Domenico Chianese, che potenziarono le mie sensibilità e mi incoraggiarono a intraprendere una formazione artistica specifica.
Quando è iniziata la voglia di “produrre arte”? Penso che nessuno possa “decidere” di produrre “Arte”. Si produce e basta, specie nel momento della formazione, dove l’intuizione estetica è, forse, l’unica maturità che con fatica puoi acquisire negli elementari termini di un‘opera a tuo parere riuscita o no. Se, poi, a un certo punto quello che si realizza viene riconosciuto come arte, la cosa non può che farti piacere. Personalmente, al di là dell’etichetta di una presunta artisticità, mi sono sentito sempre soddisfatto solo quando un’idea iniziale che intendevo esprimere corrispondeva a una mia idea di perfetta realizzazione.
Mi puoi indicare gli artisti bravi che hai conosciuto e con cui hai operato, eventualmente “a due mani”? Di artisti ne ho conosciuti molti, ma solo con qualcuno ho collaborato e prodotto a più mani. Negli anni Settanta sono stato parte del Gruppo X/Arte (Boemio, Haebel, Natale) e in quel contesto si è lavorato in piena collaborazione operativa, più, però, nel senso di una sintesi di personalità creative che di una semplice pluralità manuale, come sempre di più ci viene riconosciuto.
Quali sono le tue personali da ricordare? Tutte le mie esposizioni personali le ricordo molto bene in quanto hanno sempre rappresentato un momento di verifica importante sia sul piano relazionale che di contenuti. Comunque, tutte le mie esposizioni sono documentate nel mio curriculum, che chiunque può consultare e rivisitare sul mio sito www.boemioraffaele.it . Sono tutte parti fondamentali di me stesso.
Puoi precisare i temi e i motivi delle ultime mostre? Le ultime mostre continuano a essere concettualmente inserite nel ciclo di “Afona” che caratterizzò la mostra del 2012 presso il Complesso Monumentale di Santa Chiara. Hanno, però, approfondito temi come “Ready-made”, “Ready-Dead”, ”Frammenti migranti”, “Quasi svelato” e “Semi-otica”, generati da una costante ricerca su di una realtà falsamente considerata “oggettiva” e generalizzata, in antitesi a quella “soggettiva” e, quindi, personale, che ognuno di noi coglie nella sua libera e autonoma capacità ermeneutica. La prima, però, purtroppo, ampiamente prevalente nella società contemporanea, si offre a noi in modo confuso e superficiale, generando diffidenza, insoddisfazione e, perfino, stati ansiosi e depressivi. La mia pittura, nella chiave simbolica propria dell’arte, cerca di interpretare aspetti di queste realtà e di offrire possibilità di rimeditazione del proprio essere come persona.
Ora, puoi specificare, segnalare e motivare la gestazione e l’esito delle personali che hai concretizzato e delle esposizioni, tra collettive e rassegne importanti, a cui hai partecipato? Non ho falsi pudori a dire che le mie personali hanno sempre ricevuto consensi, perfino, inaspettati, specialmente perché non realizzate secondo la logica puramente mercantilistica prevalente oggi nel sistema dell’arte. Per quanto riguarda le personali sono stato il frutto di possibilità di autopromozione o della stima mostratami da operatori del settore, animati da motivi culturali o dalle potenzialità di mercato delle mie opere. So benissimo che, purtroppo, il mondo dell’arte sta cambiando, ma rifiuto l’idea che solo pagando, a prescindere da ogni valore poetico ed estetico, si possa esporre. Per questo, ad esempio, a costo di essere definito, com’è successo, un “aristocratico dell’arte”, non partecipo più a collettive organizzate come grandi bazar da presunti curatori pronti a esporre tutto insieme a un certo prezzo. Per fortuna, ho la percezione che anche tutto questo è parte della confusione comunicativa, proprio della nostra epoca, ulteriormente aggravata dall’epidemia, e che presto nuovi valori interesseranno anche il mondo dell’arte come tanti altri aspetti della nostra civiltà. Nel frattempo, valuto ogni possibilità e mi difendo nei limiti del possibile.
Dentro c’è la tua percezione del mondo, forse, ma quanto e perché? In tutto quello che faccio c’è la mia percezione del mondo e tutti i miei lavori nascono da esigenze che tendono ad evidenziarla. E’, poi, ovvio che tutto coincide col tempo e lo spazio della mia esistenza; quale altra alternativa ci potrebbe essere?
L’Italia è sorgiva per gli artisti dei vari segmenti? La Campania, il Sud, la “vetrina ombelicale” milanese cosa offrono adesso? Sono sempre più numerosi gli studi che dimostrano la non marginalità della Campania e del Sud nella storia dell’arte contemporanea. E’, però, anche vero che questa diffusa creatività non ha trovato spazio sufficiente in una realtà sociale, poco interessata alla cultura per povertà culturale e politica. Se in questo momento stiamo assistendo a quali sporchi interessi ci sono stati e stanno dietro un problema come la sanità pubblica, come possiamo ritenere che quegli stessi interessi favorissero nel Sud la promozione dell’arte? C’è, poi, il fatto che anche nei centri di riferimento tradizionali della vitalità artistica italiana, come ad esempio Milano, una globalizzazione intesa come univoca strategia mercantilistica ha prodotto solo fenomeni di moda infinitamente imitati. Cosa si fa a Milano? Per fortuna, di tutto se consideri i singoli artisti che con sacrificio resistono nelle loro convinzioni, uno splendido niente se ti affidi alle riviste alla moda e ai luoghi dello spettacolo prevalente. Ma lo stesso è a New York, Parigi, Tokyo, Londra o nei tanti piccoli centri dove stanno sorgendo luoghi specifici per le arti, interessati all’arte contemporanea specie nei loro territori e altre strutture a tutela dei beni culturali e ambientali. Questo è, a mio parere, un aspetto positivo che contraddistingue la realtà attuale e che se viene difeso potrà solo favorire tutti gli aspetti dell’arte e della professionalità artistica. Io spero, e non solo per me.
Quali piste di maestri hai seguito? Non ho, in modo specifico, mai seguito nessuna pista. Tutti sono stati miei maestri tra quelli che in vari momenti della mia vita mi hanno interessato per aspetti del loro lavoro. Fin dai tempi della mia formazione mi è piaciuto aggiornarmi e capire anche con la frequentazione delle opere nei musei, nelle grandi fiere nazionali e frequentando le gallerie. Proprio a Napoli, per citare, ho vissuto intensi momenti anche contrappositivi grazie a personaggi come Lucio Amelio, Lia Rumma, Peppe Morra, Trisorio e altri.
Pensi di avere una visibilità congrua? No! Per i motivi già espressi.
Quanti “addetti ai lavori” ti seguono? In questo periodo molti sono interessati al mio lavoro, ma io relaziono solo con chi dimostra di saper promuovere il mio lavoro insieme con i suoi interessi culturali e mercantili. Tutto, però, a partire dalle opere, e non da fantomatici principi di sterile visibilità. Come tutti sanno, infatti, produrre opere costa molto; non si può lavorare gratis o addirittura pagando.
Quali linee operative pensi di tracciare nell’immediato futuro? Non ho progetti, come sempre i miei lavori nascono da una idea larvale e si concretizzano nel farsi. Ho un rapporto con essi di tipo viscerale e rifuggo qualsiasi progettualità.
Pensi che sia difficile riuscire a penetrare le frontiere dell’arte? Quanti, secondo te, riescono a saper “leggere” l’arte contemporanea e a districarsi tra le “mistificazioni” e le “provocazioni”? Da quello che ho espresso in precedenza è chiaro che lo reputo molto difficile. Quanti riescono a districarsi nei labirinti dell’arte non saprei proprio; viviamo in un mondo dove si giustifica tutto e si crea confusione, in un mondo dove tutto è arte, niente è arte. Per poter leggere bisogna imparare a leggere, non si può pretendere di capire uno scritto in lingua araba se non si è studiato l’arabo, ma, tanti, per quanto riguarda le arti visive, pretendono di “leggere” anche se non hanno mai imparato a farlo.
I social ti appoggiano, li utilizzi? Uso i social, ma più per informarmi che per promuovermi, non ancora sono entrato a far parte di coloro che credono che attraverso i social riescano a infrangere le frontiere dell’arte. Ultimamente, poi, pare che la eccessiva frequenza dei social possa addirittura “danneggiare”. Io mi limito solo a permettere a chi vuole la conoscenza del mio lavoro attraverso un apposito sito.
Con chi ti farebbe piacere collaborare tra critico, artista, promoter per mettere su una mostra o una rassegna estesa di artisti collimanti con la tua ultima produzione? Mi farebbe piacere lavorare con chi fosse in grado di promuovermi all’interno di un programma di ampio respiro, che fosse in grado di investire sul mio prodotto e non realizzare un qualcosa di fine a se stesso senza continuità.
Perché il pubblico dovrebbe ricordarsi dei tuoi impegni? Non saprei; mi farebbe piacere sapere che c’è chi, grazie alle proprie sensibilità, riuscisse a stabilire un rapporto empatico con i miei lavori. Io per principio non impongo niente e rifuggo da imposizioni. Anzi, proprio nel ciclo di “Afona” mi sono fatto promotore di una idea dell’arte fondata su discrezione e il “sussurro”.
Pensi che sia giusto avvicinare i giovani e presentare l’arte in ambito scolastico, accademico, universitario e con quali metodi educativi esemplari? Non credo sia solo giusto, credo sia piuttosto indispensabile agire in tal senso. Se viviamo in un mondo dove la sensibilità per la cultura si è persa o banalizzata, è proprio perché da parte delle agenzie informative-formative è venuta meno la funzione di divulgazione e approfondimento, in particolar modo, dei linguaggi dell’arte. Ci sono persone che hanno funzioni di responsabilità politica o istituzionale anche nel campo dell’arte, ma che nella loro vita non hanno mai visto una mostra d’arte o un concerto, per dire. Io vivo in una città con più di settantamila abitanti e non esiste nessuno spazio espositivo, sia pubblico che privato pur in presenza di un Liceo Artistico. Come può un ragazzo avvicinarsi a delle sensibilità espressive se non ha modo di fare esperienze dirette, come possono emergere passioni che in un primo momento sono latenti e che se non coltivate e potenziate inaridiscono?
Prossime mosse, in quale città? Covid permettendo dovrei far parte di una rassegna a cura di Elmar Zorn, in data da destinarsi. Causa Covid è stata rinviata una mia personale a Napoli.
Che futuro si prevede post-Covid19? Mi piacerebbe saperlo, … viviamo alla giornata: “del doman non c’è certezza”.
A conclusione di quest’intervista, ritengo opportuno significare che Raffaele Boemio è tra quegli artisti che opera con serietà estrema e sostanzia un lavoro serrato, profondo e responsabile, motivato da sicuro talento e fondato su una proiezione di coscienza civile. Nella maturità operativa odierna si leggono perspicaci segni linguistici aperti, che irrobustiscono un codice duttile e aperto. In pregevoli tecniche miste, quindi, misura l’uomo e il suo tempo, coscienza e ritmi, radici e costumi.
*Maurizio Vitiello, critico