Il rifiuto del velo e lo “schiaffo del turbante”
Con questi due gesti pacifici i giovani iraniani hanno dissacrato i simboli della Repubblica islamica
Da una parte il rifiuto del velo, dall’altra lo “schiaffo del turbante”. Gesti non violenti di ribellione, ma molto focalizzati. I paradigmi della Repubblica islamica sono stati così seppelliti. «La protesta dei ragazzi e delle ragazze iraniani è diventata una rivolta epocale, contraddistintasi anche da una rivoluzione culturale – spiega il professor Abdolmohammadi Pejman, italo-iraniano, figlio di genitori persiani, docente di Relazioni internazionali del Medio Oriente all’Università di Trento -. Siamo di fronte ad un rinascimento, con uno spirito nazionale-patriottico fortissimo. Non è solo dell’Iran. È la rivoluzione più moderna del secolo nuovo. Questi giovani – il 24% della popolazione iraniana ha meno di 15 anni -, fortemente istruiti, si battono per la libertà e per la laicità. Non sono ideologici, né di destra, né di sinistra, e non accettano compromessi. Hanno una struttura mentale molto all’avanguardia, e non sono comparabili con i loro nonni, che erano una generazione ideologizzata, con poca conoscenza, e che alla fine ha prodotto il khomeinismo. Questi invece sono il futuro dell’Iran, sono i veri eroi». E da eroi vanno incontro alla morte. Majidreza Rahnavard, 23 anni, il 12 dicembre scorso è stato impiccato con il braccio che gli avevano spezzato perché si era tatuato il leone e il sole, accoppiata simbolo della Persia. In un video, diventato virale sui social, esprime il suo ultimo desiderio: «Non voglio nessuno in lutto sulla mia tomba. Siate gioiosi e suonate una musica allegra». Rozita Shoaei, della comunità iraniana di Napoli, ben esprime il sentimento dei suoi connazionali: «Tante e tanti di noi stanno morendo e subendo torture, ma noi ci fermeremo solo quando il regime sarà crollato. Sappiamo che tanti altri di noi moriranno, ma non abbiamo alcun dubbio che, alla fine, non sappiamo quando, saremo un popolo libero». Le manifestazioni in Iran erano iniziate il 13 settembre 2022, quando Mahsa Amini, 22 anni, residente nella regione del Kurdistan, arrivata a Teheran per un viaggio con la famiglia, è stata arrestata dalla polizia religiosa perché dal velo, che è obbligatorio dal 1979, usciva una ciocca di capelli. Durante il fermo, ha subito delle percosse che le hanno provocato un trauma cranico letale. Dopo tre giorni di coma, è morta. Questa è stata la miccia che ha innescato le prime manifestazioni. I giovani sono scesi in piazza ed è nata la rivolta, che continua. Ma proteste ce ne sono state altre in passato; dalla fine degli anni ‘90 fino all’ultima del 2019. E non sono mai state indolori: 1.500 arresti nel 2019. Gli oppositori non sono mai piaciuti alla Repubblica islamica. Dal 1979, anno della rivoluzione islamica, che ha portato al potere Khomeini, ci sono stati milioni di arresti. Oggi che cosa c’è di nuovo? «Sono almeno vent’anni che le proteste contro la Repubblica islamica vanno crescendo – riprende il prof. Pejman -, così come le istanze di libertà e laicità. Ma negli anni ‘20 del 2000 sulla scena arrivano i millennial, una nuova generazione post ideologica, abituata a vedere, almeno sul mondo virtuale, ma anche sul mondo satellitare, la libertà dei coetanei nel resto del mondo. Questa generazione non ha alcuna intenzione di scendere a compromessi – come hanno fatto i loro padri e le loro madri nella speranza di un miglioramento della qualità di vita – con una élite dall’inclinazione fortemente religiosa, che continua tuttora a voler imporre a tutta la cittadinanza un codice valoriale islamico, ormai non più condiviso. Quando parliamo di millennial, parliamo del 71% di una popolazione di 84 milioni di abitanti. Il velo è diventato il simbolo della libertà contro l’oppressione. Ma non è da oggi. Sono almeno trent’anni che le donne, che non accettano questa imposizione, lasciano delle ciocche di capelli fuori, così da esprimere la propria contrarietà, ma in maniera soft, per contenere il rischio». Molti ragazzi del nord Africa e del Medio Oriente si sono sollevati nel 2011, nell’ambito delle cosiddette “primavere arabe”, che poi però si sono trasformate in un “inverno”, soprattutto per mancanza di leadership politica. La spontaneità e l’entusiasmo evidentemente non bastano. «Se è vero che i giovani iraniani ancora non hanno una vera organizzazione, è anche vero che hanno una volontà politica mai verificatasi prima, di andare oltre la Repubblica islamica. Hanno visto i loro coetanei impiccati, eppure continuano ad essere disposti a morire. Non vogliono riforme, hanno già “rottamato” tutti i dinosauri della rivoluzione del ‘79, molti che giocano a fare gli oppositori dall’estero. Gente di sessant’anni, dentro al sistema iraniano elitario, che parla ancora di islam o di marxismo, pretende di rappresentare questi ragazzi, che sono fortemente laici e liberi. C’è un ricambio generazionale enorme. L’interessante è che alcune figure significative e abbastanza neutrali come il campione di calcio Ali Karimi, il figlio dell’ultimo scià, Mohammad Hassan Mirza II, il pianista Ramin Bahrami, sono dalla parte di questi ragazzi, e ritengono che questo regime vada rovesciato. Credo che questi giovani saranno in grado nei prossimi mesi di produrre dei loro leader riconoscibili. Davanti a questo, la Repubblica islamica, che si sente sotto attacco, continuerà – finché riesce – a mantenersi in vita con la repressione, per impedire che la rivolta dilaghi. E magari cercherà di fare qualche concessione: qualche amnistia, la liberazione di alcuni prigionieri politici di matrice riformista. Non dimentichiamo che in carcere ci sono ventimila persone. Tuttavia, la Repubblica islamica sarà superata. Nel futuro ci sarà un referendum: chi voterà per una monarchia costituzionale e chi vorrà una repubblica». Concentrata sulla guerra in Ucraina e sul terremoto in Siria e Turchia, la comunità internazionale sa che cosa sta davvero succedendo in Iran? «Nonostante arrivino notizie sempre più scarne, perché da quattro mesi ormai la Repubblica islamica ha oscurato Internet, la comunità internazionale sa bene ciò che accade, ma ha comportamenti tentennanti. Opinione pubblica, intellettuali, società civile, giovani europei hanno dimostrato e dimostrano grande sensibilità e solidarietà. Anche perché l’impatto della repressione, le impiccagioni in piazza, non possono certo lasciare indifferenti. Da parte politica, l’attenzione è stata ed è tuttora leggermente debole. Il Parlamento europeo si è coraggiosamente esposto, votando a favore di una nuova sanzione contro i pasdaran, che rappresentano l’economia del sistema iraniano. Mentre Josep Borrell dell’Unione Europea ha cercato di frenare tale sanzione, andando contro lo stesso Parlamento, e mettendo in luce come la cittadinanza europea non riesce ad esprimersi, perché bloccata da un organo non pienamente rappresentativo. Negli Stati Uniti c’è stato un aumento di sostenitori alla rivolta anche da parte dei democratici, che nel passato hanno sempre sostenuto la Repubblica islamica. Questo non tanto per la questione dei diritti umani, ma soprattutto perché la Repubblica islamica è pienamente schierata con la Russia. Questo sta aumentando l’isolamento di Teheran. Proprio il fatto che questi giovani iraniani non sono né di destra, né di sinistra, non sono comunisti, non sono antimperialisti, e neppure islamisti, fa arrabbiare tanti. Si tratta di una generazione chic, elegante, che si batte contro un sistema autoritario, e che vuole la libertà personale. Non è la vittima palestinese o curda che tanto piace ai centri sociali europei e americani, ecco perché fatica ad ottenere sostegno».
*Romina Gobbo, vicedirettore VerbumPress