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«Il libro è ‘altrove’»

Un estratto da Fuori di testo. Titoli, copertine, fascette e altre diavolerie di Valentina Notarberardino pubblicato da Ponte alle Grazie

«Il libro è ‘altrove’». Il messaggio sulla fascetta della prima edizione di Nuovo commento di Giorgio Manganelli, pubblicato da Einaudi nel 1969, era disorientante. Che senso dare a una evidente provocazione? In realtà, quelle quattro parole erano già l’indizio principale che si trattava di un’opera sperimentale ai limiti dell’inesistenza: Nuovo commento consiste infatti di una serie di note dell’autore a un’opera che non esiste. Le postille di un libro, senza il libro. Ecco svelato l’arcano. 

Ma se il libro era altrove, la fascetta c’era. Primo e unico apparato esterno al volume, si tratta di quella striscia di carta più o meno sottile che avvolge la parte inferiore dei volumi, indicativamente a due terzi di altezza. Spesso colorata di rosso o di giallo e scivolosa come un’anguilla, ci intralcia mentre tentiamo di sfogliare il libro e non vediamo l’ora di buttarla appena usciti dalla libreria. Ma non ce ne vogliate se vi ricor- diamo che probabilmente avete comprato quel libro proprio perché la fascetta vi ha convinti, informandovi che quello che avete tra le mani è «il volume da cui è stata tratta la serie xy», o che vi dirà «tutto quello che avete sempre voluto sapere su qualcosa», o che è stato scritto da «un autore da milioni di copie». 

Oppure, per restare alla formularità a volte trita degli strilli promozionali, vi informerà che quello che state guardando è un libro ‘che nessun altro avrebbe potuto scrivere’ – come ricorda la fascetta di Educazione americana (La nave di Teseo, 2019) di Fabrizio Gatti: «Il romanzo che nessun agente della CIA ha mai potuto scrivere». A quali documenti avrà mai avuto accesso l’autore per essersi spinto così in là? Il risvolto rincara la dose: «Educazione americana racconta la vera storia di una squadra clandestina della CIA, al servizio del governo degli Stati Uniti per condizionare le democrazie in Europa». La descrizione chiude aumentando l’ambiguità e il senso di mistero: «In un romanzo mozzafiato in cui tutto è reale, Fabrizio Gatti ricostruisce la storia segreta che i documenti non possono raccontare». 

Se l’abitudine editoriale all’iperbole non fosse così diffusa (e dunque, immaginiamo, alla fin fine utile), molti alberi verrebbero risparmiati e non saremmo costretti ad annegare in mezzo a migliaia di claim tanto entusiastici quanto sospetti. A molti sarà capitato di notare che le fascette amano i vocaboli a effetto, le lodi sperticate, i paragoni arditi. Seconde per efficacia solo ai messaggi subliminali erotici e satanici riscontrati fin nei cartoni animati della Walt Disney, non offrono scampo: impossibile evitarle. 

Nate soprattutto come spazio supplementare per gli endorsement virgolettati di altri autori – termine tecnico: blurb –, le fascette oggi accolgono varie informazioni commerciali. Si può tentare una casistica a seconda delle loro funzioni, anche se spesso capita che sulla stessa striscia di carta si affollino tutte insieme. 

Innanzitutto, informano sulla fortuna del libro: il numero di copie vendute (almeno nell’ordine delle centinaia di migliaia), le edizioni (fino a sette in una settimana), i premi vinti (valgono anche riconoscimenti minori, a voler essere generosi). Quindi, ne descrivono le qualità: ‘appassionante’, ‘struggente’, ‘esilarante’, il lievemente ricattatorio ‘necessario’. Seguono quelle che posizionano il libro all’interno di costellazioni autoriali note, perché è l’ultima creatura «dall’autore del best seller internazionale» o perché lo scrittore è paragonabile a Dan Brown o a Stephen King. 

Quante parole, che gran fracasso in libreria. E se ormai siamo probabilmente inclini a considerare lo strillo promozionale come un male necessario, converrà ricordare che come ogni apparato paratestuale ha una sua storia, che ci aiuterà a comprenderne l’uso e (forse) a rivalutarlo. 

Sembra che il primo scrittore a utilizzare la frase di un collega per presentarsi sia stato Walt Whitman, ancora una volta con Leaves of grass. Whitman, che come ricordiamo aveva pubblicato a proprie spese la sua prima raccolta di poesie, ne inviò copia al celebre scrittore e filosofo Ralph Waldo Emerson, che rispose con una lettera di apprezzamento dove, tra le altre cose, scriveva: «I greet you at the beginning of a great career», ‘ti vedo agli inizi di una grande carriera’. Entusiasta, Whitman pensò immediatamente a ristampare una versione ampliata del libro, che uscì nel 1856 al prezzo di un dollaro, con la frase di Emerson incisa in oro. Il filosofo non apprezzò l’uso improprio di una lettera privata, e si vendicò con una stroncatura. Non esiste prova certa che questo sia realmente stato il primo caso di frase d’autore usata in senso promozionale, ma a noi piace pensarlo: sicuramente è un caso esemplare. 

Per l’istituzionalizzazione del blurb dobbiamo arrivare all’umorista Gelett Burgess, protagonista di una storia appassionante. Era il 1907, e Burgess l’ospite d’onore al gala annuale dell’American Booksellers’ Association, dove era normalmente previsto che gli autori regalassero ai partecipanti alcune copie dei propri libri (abitudine che resiste ancora oggi). Burgess, presente con Are you a bromide?, fece stampare per l’occasione delle sovraccoperte speciali utilizzando una foto recu- perata dalla pubblicità di un dentifricio, in cui si vedeva una donna nell’atto di urlare qualcosa, la mano aperta accanto alla bocca spalancata. Ai lati dell’immagine si leggevano le parole «Miss Belinda Blurb in the act of blurbing»: ‘la signorina Belinda Strillo nell’atto di strillare’. Sulla testa della Miss c’era scritto: «YES, this is a BLURB! All the other publishers commit it. Why shoudn’t we?» Tutti gli editori lo usano. Perché noi non dovremmo? Qualche anno dopo, nel 1914, Burgess si preoccupò di definire il significato della parola:

Blurb, n. 1. A amboyant advertisement; an inspired testimonial. 2. Blurb, v. To atter from interested motives; to compliment oneself.

È opinione diffusa che il blurb autoriale altro non sia che un residuo delle introduzioni, che nella letteratura commerciale sono diventate sempre più rare, per motivi di praticità (sono lunghe e le leggono in pochi) e per questioni economiche. Solitamente un blurb è gratuito, mentre i testi preliminari vengono pagati dagli editori fior di quattrini.