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Il conflitto in Medio Oriente si allarga? Tra de-escalation e contrattacco 

Il ritorno alle grandi potenze che competono sulla scena globale

E adesso cosa succede? Il conflitto in Medio Oriente si allarga. Dopo l’attacco iraniano del 13 aprile gli alleati spingono Israele alla calma e puntano alla de-escalation, ma tutto dipende da una variabile imponderabile: Benjamin Netanyahu. Intanto il contrattacco: all’alba del 19 aprile Israele ha lanciato un attacco contro l’Iran nella provincia di Isfahan. Esplosioni anche in Siria. La risposta militare di Israele non deve coinvolgere i siti nucleari iraniani, questo il monito degli Stati Uniti e degli alleati occidentali. Fronte “compatto” dunque, “l’escalation non aiuta nessuno” secondo il primo ministro inglese Rishi Sunak. In questi giorni a Tel Aviv i ministri degli Esteri della Germania e del Regno Unito, Annalena Baerbock, e David Cameron, hanno assicurato il sostegno a Israele ma anche di evitare mosse avventate. In sintesi: bisogna evitare di colpire i siti nucleari iraniani per non innescare dinamiche ben più pericolose. Il pericolo che Teheran possa dotarsi di armi nucleari si trascina da decenni, è del 2015 l’accordo siglato a Vienna dall’Iran e dai paesi che fanno parte del Consiglio di sicurezza dell’Onu e dell’Unione Europea. Da quell’intesa gli Stati Uniti, come sappiamo, sono usciti nel 2018. Oggi si contano quattro siti nucleari in Iran, teoricamente a scopo civile: Isfahan, Natanz e Fordow sotto terra e Arak, dove si trova un reattore. 

Attacco simbolico? L’effetto sortito dall’attacco iraniano sembra essere stato molto limitato, con il 99% dei missili intercettati e distrutti dai sistemi di difesa israeliani. Inoltre, la strategia della tensione fra Israele e Iran ha coinciso con il primo concreto disimpegno militare di Tel Aviv dalla Striscia di Gaza dopo sei mesi. Domenica 7 aprile l’esercito israeliano ha comunicato di aver ritirato le sue forze di terra da Khan Younis, nel sud dell’enclave palestinese, dopo mesi di raid aerei e operazioni via terra che hanno lasciato rovine in gran parte della città. Il confronto aperto con l’Iran riacutizza la tensione verso un altro fronte, mentre a Gaza non è stato raggiunto l’obiettivo di fermare Hamas, né quello di liberare tutti gli ostaggi israeliani. Joe Biden ribadisce che gli USA non sembrano pronti a sostenere attivamente Israele in caso di risposta per evitare di allargare il conflitto. Dall’operazione di sabato notte la Repubblica islamica iraniana ottiene comunque un importante ritorno di immagine che potrebbe spendere nei prossimi mesi allargando il soft power del cosiddetto “Asse della resistenza”.

Cosa farà Netanyahu? Si pensava prendesse tempo ma il contrattacco del 19 aprile spezza i dubbi e riporta al “centro” del dibattito internazionale una possibile escalation nell’area. Da un lato è incalzato dai suoi alleati della destra fondamentalista religiosa che chiedono una risposta “letale” contro Teheran. Dall’altro non vuole rallentare gli elogi con cui i giornali israeliani stanno commentando le capacità difensive dell’esercito sottolineando come “si è voltato pagina” rispetto al 7 ottobre. Una risposta israeliana potrebbe trasformare un’apparente vittoria in una nuova scommessa dall’esito imprevedibile generando una potenziale guerra su vasta scala. Oltre a fare infuriare il governo americano rivelatosi, ancora una volta, determinante per garantire la sicurezza israeliana. Secondo gli analisti della Cnn, il contrattacco israeliano in Iran del 19 aprile è stato limitato e rispetta le sollecitazioni di Usa e alleati per non aumentare la tensione nella regione. La loro previsione è che Teheran non risponderà.

Terza guerra mondiale? Alcuni storici ed analisti come il britannico Niall Ferguson affermano che siamo a pochi centimetri geopolitici da una terza guerra mondiale: un accumulo di conflitti in diverse nazioni che si sono verificati simultaneamente. Viviamo, secondo Ferguson, in un momento pre-bellico. Per altri, i conflitti attuali vanno separati ed è una casualità la loro coesistenza, pertanto i motivi per cui Israele e Hamas sono in guerra vanno distinti dai motivi legati alla rivendicazione di territori e sovranità della Russia sull’Ucraina, così come per Cina e Taiwan. Ad ogni modo è ormai chiaro come la situazione attuale rifletta un ritorno alle grandi potenze che competono per l’influenza sulla scena globale.

*Roberto Sciarrone, direttore responsabile di Verbum Press