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I nostri figli: questi dispersi… Quale orientamento?

(Premessa della relazione pubblicato su gli Atti del Convegno curati da Carla Xodo)

“Uno dei maggiori problemi di oggi

è che si vuole arrivare

senza l’esperienza del viaggio.”

Harold Bridger

Premessa

 Condivido il pensiero di G.P. Charmet, secondo il quale “la perdita della capacità di sperare, e quindi la capacità di realizzare un progetto futuro è all’origine del disagio giovanile e che le forme più gravi di tale disagio coincidano con la morte del progetto futuro”.

Quale la meta, dunque, per questi giovani? se il mondo adulto è la negazione di quel sogno, della creatività, della capacità ludica, della speranza su cui costruire un abbozzo di futuro? Non resta che eternizzare il presente in condivisione di gruppo attraverso dinamiche di difesa al riparo da quell’angoscia che sembra minare l’unica tappa della vita in cui c’è fantasia, amicizia, amore ecc…e qui l’adulto è l’intruso che ha dipinto il mondo e il suo futuro in termini distruttivi. E allora perché entrare nella dimensione del divenire, del cambiamento in azioni trasformative?

Nel mondo odierno, infatti, si sta assistendo sempre più ad un accelerazione degli eventi umani che non ha uguali nella storia della civiltà. Si può affermare che l’unico confronto possibile è con la Rivoluzione Industriale del secolo XVIII; infatti, proprio come in quel periodo le trasformazioni sono radicali, non solo per una nuova e diversa visione del mondo, ma soprattutto perché alcune certezze, all’apparenza inamovibili, sono state irriducibilmente scardinate.

Ad esempio, solamente lo sviluppo tecnologico e delle comunicazioni ha provocato l’annichilimento del concetto di distanza incrementando un vero e proprio bombardamento di stimolazioni.

Il confine tra realizzabile e possibile si è assottigliato in molti ambiti dell’esistenza umana, con interrogativi, a volte, inquietanti: basti pensare alle biotecnologie e all’ingegneria genetica.

In sintesi la vita presenta una sorta di immediatezza in accelerazione, con un futuro sempre più appartenente al presente.

E’ necessario, quindi, percepire per aiutare i giovani a comprendere le interrelazioni e le reciproche influenze tra individuo e contesto.

Questa brusca accelerazione ha spinto comunità, associazioni, organizzazioni, ecc.  di vario tipo a cercare di raggiungere una maggiore comprensione del fenomeno della complessità, ponendosi alcuni interrogativi, e cioè su come sensibilizzare una capacità auto percettiva e auto esplorativa per fronteggiare questa nuova dimensione, mettendo in discussione la propria missione e strategia, il funzionamento e la struttura ed infine ripensando le azioni realizzate per sviluppare nuove competenze.

In questo processo di fronteggia mento della complessità tutti gli organismi se, da una parte sono diventati più aperti all’influenza dell’ambiente, dall’altra sono più esposti e vulnerabili.

Ciò comporta, di conseguenza, la necessità di metodi consultativi e collaborativi nel gestire sia la complessità esterna ed interna sia i conflitti derivanti da una maggiore interdipendenza nell’esercizio dei ruoli e delle responsabilità.

Questa consapevolezza va allargata fornendo ai giovani e/o alle persone i mezzi culturali perché si traggano dall’idea di dare per scontata la sconfitta prima ancora di aver sperimentato la possibilità di farcela.

E “Il sogno di una cosa” di Ernesto Balducci diventa, a questo proposito, un invito e messaggio di speranza:

“…Le città passano, il villaggio resta. Resta anche in noi cittadini che dobbiamo far fronte al collasso della città per ricostruirla secondo i moduli comunitari del villaggio, portando al massimo la premura dell’uomo per l’uomo, dell’uomo per l’ambiente…”

A questo punto sorge il problema “dell’altro”, a cui inevitabilmente non si sfugge: chi è “l’altro”, quale posto occupa nel rapporto. E’ oggetto di “assistenza” o è vissuto come opportunità del proprio progetto esistenziale?

Partendo dal presupposto che ogni scelta esistenziale comporti delle implicazioni di natura etica,  le norme della convivenza civile si trovano, di conseguenza, a dover rispondere a delle aspettative relazionali.

A questo proposito, Ricoeur, ad esempio,  definisce l’orizzonte etico della persona: “prospettiva della vita buona – con e per l’altro – all’interno di istituzioni giuste”.

Si presta bene in questo caso la metafora del cerchio magico come luogo del nuovo patto e strumento di conoscenza per alimentare l’aspirazione ad una vita compiuta – con e per gli altri – in istituzioni giuste, in cui la persona viene identificata da un intreccio di relazioni.

Adattarsi attivamente ad un mondo così complesso richiede altresì la capacità di superare la perdita del senso di competenza e di avere il coraggio e immaginazione per affrontare una situazione nuova.

Il limite della normalità, infatti, si sposta e cambia continuamente, per cui, allo stesso tempo, bisogna acquisirne la percezione focale.

La “qualità” delle relazioni, per questo motivo, cammina di pari passo ad un’ottica di progettualità, la cui programmazione d’attività è affidata alla priorità dei bisogni.

Per alcune persone, dedicarsi al miglioramento del mondo che ci circonda, è fonte di autorealizzazione e, per quanto modesti possano sembrare i risultati; un percorso di miglioramenti progressivi è, inoltre, facilitato dal confronto di più esperienze, per cui la soluzione ideale sarebbe creare un “circolo di qualità”; vale a dire sviluppare le condizioni inter relazionali, dove ognuno ha la possibilità di misurare la propria esperienza con quella degli altri per cercare un’area semantica condivisibile, definendone problemi ed analizzando ipotesi di risoluzione, attraverso una ricerca costante sulla base delle diverse sperimentazioni.

La qualità umana non può essere ridotta, dunque, né ad un requisito strutturale residente nel rispetto di procedure e standard né ad un dato semplicemente rilevabile dalla soddisfazione dell’utente, ma è un requisito funzionale della modalità di relazione educativa e di aiuto, adottata e della sua capacità di produrre cambiamento od orientamento riguardo ai progetti  di vita individuali.

Se uno degli obiettivi fondamentali è quello di creare socialità e integrazione, l’unica strada percorribile è quella della partecipazione, della solidarietà, della cooperazione, della co-progettazione, della concertazione: non competizione, ma “un arrivare insieme”. Lo sforzo indicato, perciò, è quello di tenere in massima considerazione l’accoglienza, l’attenzione prestata alle situazioni più difficili, la dimensione umana e progettuale degli interventi, l’impegno di scelte valoriali e culturali.

*Laura Margherita Volante, sociologa