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I greci prima dei greci, viaggio nel passato remoto della Campania

Dal 29 settembre al 31 dicembre la mostra “rintraccia le origini della presenza ellenica nel Golfo di Napoli, attraverso un percorso diffuso 

 “Come lieta appare la terra a chi nuota se Poseidone infranta gli abbia la nave urtata dal vento e dall’onde furiose…” dalla voce di Omero giungono a noi gli echi di racconti di mare antichi e, forse, proprio nelle acque del Sinus Cumanus, nacquero avventure epiche e i primi modelli dello sviluppo socio-economico e culturale della Campania antica e della formazione della cultura occidentale. Dal 29 settembre al 31 dicembre la mostra “I Greci prima dei Greci” rintraccia le origini della presenza ellenica nel Golfo di Napoli, attraverso un percorso diffuso che comprende il Museo Archeologico Nazionale di Napoli, il Parco Archeologico dei Campi Flegrei e il Museo Civico di Procida “Sebastiano Tusa”, in collaborazione con la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per l’Area Metropolitana di Napoli.  Si parte dal Museo Civico di Procida, dove emerge il ruolo di Vivara nella media età del Bronzo come importante snodo commerciale nella rete di traffici marittimi attivi nel bacino del Mar Mediterraneo. Fu sull’isolotto che giunsero dalla Grecia intraprendenti mercanti micenei, alla ricerca di materie prime, soprattutto metalli. 

Il racconto continua al MANN con un approfondimento sulla civiltà micenea e sui reperti a essa riconducibili nel Golfo di Napoli, per poi soffermarsi sulle relazioni tra Egeo e area campana nella prima metà dell’VIII secolo a.C. Siamo all’alba della colonizzazione greca in Occidente, che prese avvio con la nascita di Pithekoussai, l’odierna Ischia. L’itinerario si conclude al Castello di Baia, a Bacoli, dove s’illustra la fondazione di Cuma, che rappresenta il definitivo stanziamento sulla terraferma di genti elleniche in Campania. Fu qui che i Greci impiantarono una vera e propria città, rintracciabile in ogni sua parte, l’abitato, la necropoli, i santuari.  Un vero e proprio viaggio nel passato remoto della Campania che, mettendo in evidenza le relazioni con il mondo Egeo prima della colonizzazione greca dell’Italia meridionale, sottolinea la centralità dei territori campani e del mare partenopeo, prova quanto la contaminazione tra i popoli sia alla base dello sviluppo sociale fin dagli albori della civiltà. Vivara è la custode delle tracce più antiche di queste interazioni commerciali e culturali; i manufatti provengono dagli scavi archeologici, avviati da Giorgio Buchner nei primi anni ’30 e poi ripresi e condotti sistematicamente dal 1976 fino ai giorni nostri. La collezione esposta testimonia come i navigli provenienti dalle coste della Messenia, della Laconia e dell’Argolide, giungevano all’isolotto portando con sé beni di prestigio, collane in pasta vitrea e vesti decorate con applique in lamina d’oro, ma, soprattutto, grandi vasi da trasporto e raffinate coppe e tazzette dipinte, brocche di finissima fattura e vasetti contenenti oli profumati. Non bisogna dimenticare che l’economia nelle poleis greche era molto sviluppata e la richiesta di materie prime e manufatti considerevole e diversificata. Oltre al grano per il sostentamento della popolazione i greci dovevano procurarsi il legname necessario per la costruzione delle navi nonché metalli e minerali per sostenere l’esercito e le opere pubbliche. Grazie a un oculato esercizio della diplomazia politica, riuscirono a rendere le rotte sicure dagli attacchi dei pirati e a stringere alleanze convenienti con i paesi con i quali facevano scambi e accordi. I mercanti greci erano molto abili e seppero creare grandi ricchezze esportando i prodotti che in Grecia abbondavano e che erano apprezzati in tutto il Mediterraneo, come l’olio, richiesto non solo per uso alimentare ma utilizzato anche come combustibile per le lampade, nella concia delle pelli e nella lavorazione dei metalli, il vino e il miele, i vasi di Corinto e Atene, i tessuti di Cos. Tra i reperti esposti vi è una giara di tipo cananeo di provenienza levantina o mediterraneo-orientale che conteneva olio vegetale aromatizzato con erbe aromatiche che documenta una probabile rete trans marina che doveva collegare, attraverso una serie di scali intermedi nord-africani e siciliani, l’area levanto-cretese e del Delta del Nilo con il canale di Sicilia e con il basso Tirreno. 

Al Museo Archeologico Nazionale di Napoli, nelle sale delle sezioni Preistoria e Protostoria e Isola d’Ischia, i manufatti in allestimento permanente dialogano con alcuni reperti mai esposti sinora.  

Il percorso prende avvio con l’introduzione dedicata alla civiltà micenea e propone tre vasi micenei rinvenuti in area egea, appartenenti al ricchissimo patrimonio “sommerso” del MANN, acquisiti tra fine Ottocento, quando l’allestimento delle collezioni era legato a criteri di tipo enciclopedico. Fu Vittorio Spinazzola, allora direttore dell’Istituto e degli scavi di antichità a Napoli, a commissionare nel 1894, in Grecia, l’acquisto di due piccole giare a staffa insieme a pochi altri manufatti. Fra i reperti mai esposti rientrano interessanti materiali provenienti dal sito dell’età del Bronzo recente di Afragola e concessi in prestito dalla Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per l’Area metropolitana di Napoli: tredici vasi d’impasto, un vaso e quattordici frammenti di ceramica di tipo miceneo, due fibule in bronzo. In mostra anche alcuni manufatti di provenienza egea, appartenenti a corredi funerari dalle necropoli di Capua e Cuma che confermano i costanti contatti tra Grecia e Campania nella prima età del Ferro. Conclude l’itinerario, un focus sull’isola d’Ischia e sulla nascita di Pithekoussai, inizio della colonizzazione greca in Occidente.  Se a Procida si sviluppa l’inizio del percorso, nei Campi Flegrei il racconto si concentra sulla fondazione di Cuma, che rappresenta il primo stanziamento definitivo dall’Ellade in Italia meridionale e mostra il progressivo strutturarsi della città dal punto di vista spaziale, fortificazioni, sepolture, santuari, e anche sociale, le manifestazioni di potere, di rango, di ricchezza, in “ un’area in cui le popolazioni coinvolte diventeranno presto non più greche, indigene o etrusche, ma campane.”  Una mostra da assaporare come un ricordo originario rammentando quegli antichi marinai convinti che una volta imbarcati in un viaggio in mare l’uomo non appartenesse più a se stesso ma a Poseidone di cui temevano l’ira, ricordando quelli che non arrivarono, i pochi che “sfuggirono al mare nuotando e toccaron la riva, e molta e densa salsedine incrosta la pelle, e scampati da morte a terra vengon allegri…”, quelli che ripartirono verso la Madre Patria che è madre e patria anche nostra, quelli che restarono e mischiarono il proprio sangue per costruire un nuovo mondo che oggi è antico e imperituro come le favole che raccontarono di bocca in bocca, di porto in porto, di poeta in poeta.

*Fiorella Franchini, giornalista