I Colori nella Commedia
Dante ha riservato all’Inferno colori scuri, rugginosi; al Purgatorio colori pastello, delicatissimi; al Paradiso il bianco accecante e i colori sfolgoranti
Tutta la Commedia è cromatismo: Dante ha riservato all’Inferno colori scuri, rugginosi; al Purgatorio colori pastello, delicatissimi; al Paradiso il bianco accecante e i colori sfolgoranti. In questi tre mondi immaginari, ha trovato spazio per descrivere la sua donna, Beatrice, bella tra le belle, tutta vestita di rosso e cinta di verde. Ha raccontato di rose, margherite e fiordalisi, dei fioretti piegati dal notturno gelo che tornano a splendere sotto il sole. Ha parlato di oro, biacca, legno lucido e pietra scura, rubini e lapislazzuli per presentarci La Commedia: un tappeto di colori su cui distendere i suoi versi, prepararci all’incontro con la spiaggia o con la selva, raccontarci la terra ricreandola di nuovo. Le sue descrizioni sono icastiche come disegni: rimangono a lungo nella memoria. Il legame tra i colori è la poesia è antico e sopravvive fino ai nostri giorni: dalle vocali sinestetiche di Rimbaud, al fiore azzurro di Novalis, alla poetessa Emily Dickinson che si vestì per sempre di un unico colore: il bianco. I colori sono, per Dante come per noi, vibrazioni dell’anima.
Ai tre colori antichi della grecità e del mondo latino (rosso, nero e bianco) il medioevo stava aggiungendo il verde, il blu, il giallo. Nascevano vetrate blu, le miniature con sfondi rossi e oro: i mosaici decoravano riccamente le chiese.I colori continuavano a rispondere (del resto, in parte, ancora oggi è così) ad un preciso codice simbolico e culturale. Anche le forme artistiche erano comuni: “come per sostener solaio o tetto / per mensola talvolta una figura / si vede giugner le ginocchia al petto”. (X, Purg.) La figura umana, metro e misura della sua esperienza assume importanze diverse nelle tre cantiche, rarefacendosi sempre più dai tormentosi gironi infernali fino ai luminosi splendori del Paradiso. Dante finge di non riconoscere i suoi concittadini nell’Inferno, così tanto il peccato ha sconvolto la fisionomia e la persona. Che siano figure umane o animali, rannicchiate in se stesse, scolpite nel marmo o nel legno, che sorreggano il peso di un solaio o di un tetto: forme comuni dell’arte gotica o romanica che possiamo ancora vedere nelle cattedrali, nei portali, a sostegno di amboni, di acquasantiere. Angeli intagliati nel legno che sembrano quasi dire “ave”. Nel volto umano, troppo dimagrito, Dante scorge la lettera M della parola uomo; la persona preoccupata diventa per lui un “mezzo arco di ponte”, china sotto il peso dell’angoscia o della tristezza.
In un brano de La vita nova sorprendiamo il nostro poeta a disegnare, per offrire appiglio ad un ricordo: “ In quello giorno nel quale si compiea l’anno che questa donna era fatta de li cittadini di vita eterna, io mi sedea in parte ne la quale, ricordandomi di lei, disegnava uno angelo sopra certe tavolette; e mentre io lo disegnava, volsi li occhi e vidi lungo me uomini a li quali si convenia di fare onore, e riguardavano quello che io facea, e secondo che me fu detto poi, elli erano stati già alquanto, anzi che io me ne accorgesse. Quando li vidi, mi levai, e salutando loro dissi: «Altri era testè meco, perciò pensava».Onde partiti costoro, ritornaimi a la mia opera, cioè del disegnare figure d’angeli: e faccendo ciò, mi venne un pensiero di dire parole, quasi per annovale, e scrivere a costoro li quali erano venuti a me; e dissi allora questo sonetto, lo quale comincia: «Era venuta»; lo quale ha due cominciamenti, e però lo dividerò secondo l’uno e secondo l’altro”.
Un Dante insolito, intento a disegnare figure d’angeli su “certe tavolette”, mentre ricorda la scomparsa della donna amata. Beatrice, sia ne La vita nova che nella Commedia, appare al poeta vestita di rosso: “Apparve vestita di nobilissimo colore, umile e onesto, sanguigno”. La sogna poi, “involta in un drappo sanguigno.”
Nel canto XXX del Purgatorio, la presentazione è ancora più precisa: “sopra candido vel cinta d’ uliva/ donna m’apparve, sotto verde manto / vestita di color di fiamma viva”. Bianco verde e rosso sono infatti i colori tradizionali della fede, della speranza, della carità.Proprio per simboleggiare questa triade, che ricorre più volte nella Commedia, le tre donne che appaiono nel canto XXIX del Purgarorio, vengono descritte come essenze di colore: “Tre donne in giro da la destra rota / venian danzando; l’ una tanto rossa / ch’a pena fora dentro al foco nota; / l’altra era come se le carni e l’ ossa / fossero state di smeraldo fatte ; / la terza parea neve testé mossa”.
Tra le pietre dure, ci ricorda la bellezza del rubino, proveniente dalla regione asiatica di Balascam, nei versi 67-69 (canto IX, Paradiso). Ancora, i due colori Bianco e Rosso vengono associati alle emozioni umane: “quel color che viltà di fuor mi pinse” si trova citato all’inizio del canto IX dell’Inferno, in cui il bianco viene associato al pallore e al timore; nel canto V del Purgatorio, il rimprovero del maestro Virgilio fa arrossire di imbarazzo e di vergogna il discepolo Dante: “che potea io ridir se non io vegno? Dissilo, alquanto del color cosperso / che fa l’ uom di perdon talvolta degno”
Molti artisti hanno ritratto Dante : Giotto, Delacroix, Raffaello, Blake, Salvator Dalì e tanti altri. Giovanni Boccaccio invece ci ha lasciato un ritratto di parole alquanto diverso dalla prima iconografia dantesca : “ di mediocre statura, alquanto curvetto, naso aquilino, volto lungo, occhi grandi, mascelle grandi, il colorito bruno e i capelli e la barba spessi, neri e crespi; sempre nella faccia malinconico e pensoso, il suo animo alto e disdegnoso, parco nel mangiare e nel bere, il suo andare grave e mansueto.” Dopo aver girato in lungo e in largo per la sua Commedia, sarebbe giusto incontrarci con il poeta, finalmente viso a viso. Ma anche qui i problemi e le difficoltà sono molteplici. Il nostro moderno concetto del ritratto è abbastanza lontano dalle raffigurazioni medievali.
Gli stessi codici miniati della Commedia, subito dopo la morte di Dante, ci regalano un Dante vestito di turchino o blu. Nel ritratto di Giotto da Bondone e di quello di Jacopo da Cione, Dante è già vestito di rosso. Sta nascendo quella iconografia che ce lo consegnerà sempre uguale a se stesso: un certo tipo di fattezze, naso aquilino, espressione severa, la cuffia rossa e bianca qualche volta sostituita dal verde dell’alloro, la Commedia tra le mani e l’ immancabile tunica rossa che diventerà poi tratto distintivo. Sicuramente era già il colore della Carità, come più volte Dante nella sua Commedia sottolinea.
Molteplici le espressioni che Dante usa nella Commedia e che si riferiscono tecnicamente al dipingere, al colorare, ai colori: prima viene il disegno, poi la mano si stende a colorare : “Per te poeta fui, per te cristiano: / ma perché veggi mei ciò ch’io disegno, / a colorare stenderò la mano» (Purg. XXII 73-75); ed ancora : «come pintor che con essempro pinga, / disegnerei com’io m’addormentai» (Purg. XXXII 67-68). “ Dolce color d’ oriental zaffiro / agli occhi miei ricominciò diletto”: nel canto I del Purgatorio, un misto di azzurro-celeste rinfranca il poeta, dopo “ la nera valle inferna” e lo conferma nella speranza del cammino salvifico. Alcuni canti sono più colorati di altri: il canto XVII dell’ Inferno è tutto percorso da colori; le borse degli usurai, ognuna diversa e ognuna con uno stemma dipinto sopra, vengono descritte con estrema precisione: una borsa ha sul fondo giallo un leone azzurro; un’altra rossa, come il sangue, ha ricamato sopra un’ oca “ bianca più che burro”, e infine una scrofa azzurra campeggia su uno sfondo tutto bianco.
I colori acquistano grandi valenze simboliche in tutta la Commedia.
La stessa lonza ( una delle tre fiere presenti nel I canto) ha la pelle maculata: e il fatto che il suo manto non sia di un unico colore ma pieno di macchie, la fa ritenere un animale in diretta comunicazione con il male e con il peccato ( la gaetta pelle).
1) L’arte di “Alluminar”
Nel canto XI del Purgatorio incontriamo questo bellissimo verbo, alluminar: “ Oh!” diss’io lui, “ non se’tu Oderisi, / l’onor d’Agobbio e l’onor di quell’arte / ch’alluminar chiamata è in Parisi?”
Dante celebra in Odorisi il miniaturista. La miniatura impreziosiva libri e codici, l’illustrazione accompagnava e sorreggeva le parole. Ancora oggi possiamo ammirare qualche splendido codice miniato e il nostro stupore è ancora identico per queste figure piccole, intarsiate tra le cifre della scrittura manoscritta. Lo stesso Dante inserisce nella Commedia una citazione diretta degli artisti del suo tempo :Cimabue e Giotto.
“Credette Cimabue ne la pittura / tener lo campo, e ora ha Giotto il grido, / sì che la fama di colui è scura», Purg. XI 94-96). Se ne serve come exemplum per riaffermare la transitorietà della fama e del “mondano rumor”. Ancora, in Par. XXVII 91-93, nella concretissima affermazione del valore attraente del volto di Beatrice: «e se natura o arte fé pasture / da pigliare occhi, per aver la mente, / in carne umana o ne le sue pitture».
Ancora i colori segnalano l’apparizione della bellezza e dello stupore se il poeta se ne serve per creare emozione nel lettore : “ e vidi lume in forma di rivera /fulgido di fulgore, intra due rive / dipinte di mirabil primavera” ( XXX, Par.) Dante utilizza tutti i colori dei fiori per descrivere le sue scene più belle: dall’ apparizione della donna amata, nel Purgatorio, fino alla candida rosa, è un susseguirsi di metafore floreali: fioretti gialli e rossi, gigli, rose, viole.
Nuvole di fiori segnalano apparizioni e paesaggi incantati: Beatrice appare tra le note di un canto in latino che esorta gli angeli a spargere gigli a piene mani.
Così precisi sono i colori che determinano il variare delle ore e delle stagioni:
“L’alba vinceva l’ora mattutina / che fuggìa innanzi, sì che di lontano / conobbi il
tremolar della marina”.
Nel canto I del Purgatorio, gli occhi di Dante, offuscati dal buio dell’Inferno, si
riabituano lentamente alla presenza della luce. Tutto il canto si pone sotto un colore
meraviglioso: dolce color d’oriental zaffiro. Un colore tra l’azzurro e il celeste,
tremolante sotto i primi raggi del sole: talmente ricco e prezioso che venne “rubato”
dal nostro D’Annunzio ed inserito nella poesia “I pastori”: “oh voce di colui che
primamente conosce il tremolar della marina”. Nella poesia di D’Annunzio,
anch’essa ricca di colori, il verde e blu del mare sono preannunciati dal tratturo,
diventato sotto la sua penna un fiume erboso. Verde e blu si mischiano in tutte le
sfumature possibili, mescolate dalla luce del sole, dall’emozione di chi per primo
intravvede da lontano la linea del mare, increspata dalle onde. Pochi verbi in italiano
avrebbero potuto rendere meglio questa vibrazione di colori. Quel “tremolare” è
ancora più moderno: alcune marine impressioniste rendono bene la sua ricchezza
cromatica e cangiante. La “marina” recupera l’alleanza tra montagne e spiagge,
acqua e terra; restituisce un mare ”femmina” fertile, ricco di vita.
La capacità pittorica delle parole e dei versi danteschi è fuori discussione, tanto da aver poi suscitato schiere di illustratori e interpreti. Nello Zibaldone di Giacomo Leopardi possiamo leggere, al pensiero 2524 : “ Dante, a parlare con proprietà, non solo dipinge da maestro in due colpi, e vi fa una figura con un tratto di pennello; non solo dipinge senza descrivere ma intaglia e scolpisce dinanzi agli occhi del lettore le proie idee, concetti, immagini, sentimenti”.
2) “E lucean le stelle…”
Ed è la luce che dà sostanzialmente una mano di colore a tutti i paesaggi vicini al reale del Purgatorio o quasi “virtuali” del Paradiso : luce che candisce, sbianca, illumina, rende lucente anche la materia più sorda e segnala la presenza di Dio in tutte le sue declinazioni. Più le anime sono beate e più risplendono, più la materia si va rarefacendosi. Allora entrano in gioco le stoffe e le pietre preziose, con tutto l’arcobaleno dei colori ad apparecchiare l’ immagine metafisica : rubini, topazi, lapislazzuli, oro. La finalità ontologica è la rappresentazione della presenza di Dio poiché quanto è lontano Dio dalla vita delle sue creature, tanto manca la luce.
La materia è più sorda al centro della terra e ne porta tutta la pesantezza del peccato: la nera Valle, il luogo di ogni luce e muto, la rugginosa città di Dite, i pericolosi sentieri vengono infatti connotati da Dante proprio grazie alla privazione della luce. Nel Purgatorio invece, l’alternarsi della luce e delle ombre può dare luogo a numerosi giochi pittorici e paesaggistici; la luce piena meridiana, la controra del Paradiso è definita dallo sfolgorare della luce, dalla materia ormai così sottile che lascia posto alla vibrazione della luce e le anime si illuminano via via che perdono connotati e tratti umani. Nello sfolgorio del Paradiso metafore ardite si susseguono : pietre preziose che riflettono in mille modi la luce, il ferro che bogliente esce dal fuoco e arriva al calor bianco; tutta la gamma infinita del bianco viene utilizzata per creare un mondo nuovo, che possa rispondere all’idea della beatitudine e della santità. La luce in contemporanea presenza di due soli che adornano il cielo, gli occhi che soffrono ma nello stesso tempo cercano la luce, il candore abbagliante delle vesti dei beati, il bianco delle ali degli angeli; l’aura sorridente che sta intorno a le anime e che sfolgora per felicità e per contentezza. Nel Paradiso, il luogo fatto proprio per l’umana specie, i colori prendono assoluta padronanza e diventano parte integrante del racconto e del paesaggio. Giotto aveva, rispetto alla pittura precedente propugnato un certo realismo. Anche Dante basa sempre le sue descrizioni su dati reali. La Comedia ( se recuperiamo il senso del suo titolo come “comico”) coincide con il realistico, con un’aspirazione a raccontare la vita e le storie della vita.
Spesso la poesia è l’arte figurativa hanno intrecciato i loro destini. Come non pensare a Matelda, guardando la figura della Primavera di Botticelli, avvolta da veli bianchi trasparenti e circondata di fiori?
Tutta la Commedia si conclude nello sfolgorio dell’ ultimo canto, nella vibrazione che unisce insieme le anime e i colori, nella visione dell’ occhio mortale del poeta che riesce a vedere Dio; c’è tutta la meraviglia della visione sempre ancorata a dettagli fisici o coloristici, ma poi risolta in senso metafisico ed ontologico. L’ esperienza del transumanar passa attraverso la luce, attraverso gli sguardi umani e la tecnica della visione, mezzo e strumento; diventa ponte per l’ incontro con Dio.
“ Lo duca e io per quel cammino ascoso / intrammo a ritornar nel chiaro mondo / e senza cura d’ aver alcun riposo…” Corrono, in salita, e col fiato corto. Davanti Virgilio, Dante segue: nell’ ultimo canto dell’ Inferno, finalmente tornano a riveder le stelle. E’ una nascita anche questa fine del cammino sotterraneo, anzi una rinascita. D’ ora in poi cammineranno nel chiarore. Sono così importanti le stelle nella Commedia che alla loro luce viene affidata la chiusura di tutte e tre le cantiche. Penso ad un dipinto bellissimo, “Notte stellata” di Vincent Van Gogh, a quel suo cielo notturno pieno di “ cose belle”: “ nodi quasi di luce” aveva scritto già Leopardi ne La Ginestra. E’ la stessa meraviglia, liberazione o pienezza che prova Ciaula nella novella di Pirandello. Un motto sullo stipite del monastero di Subiaco recita: Le stelle brillano di più quando più oscura è la notte; e San Francesco riservava alle stelle tre meravigliosi aggettivi : chiare, preziose e belle. Dante e Ciaula apprezzano il chiarore delle stelle e della luna, dopo essere stati al buio, per un certo tempo: nella vita ci sono momenti bui, infernali, “ascosi” dai quali vorremmo sfuggire, correndo. Eppure, sopra di noi, come scriveva il filosofo Kant, c’è sempre il cielo stellato: segno di ordine, di armonia. Nella cappella degli Scrovegni affrescata da Giotto, a Padova, qualcuno ha contato 800 stelle a 8 punte che si stagliano nel blu lapislazzuli della volta azzurra.
Elias Canetti, nel suo libro edito postumo, Il libro contro la morte, scrive: “ si pensi ai personaggi di Dante il cui nitore è tale da soggiogarci. A essi non ti puoi sottrarre, sono semplificati in un modo che lascia loro l’essenziale.Sono straordinariamente vivi perché sono morti. È la più sbalorditiva vittoria sulla morte che si possa immaginare.”
Gli fa eco Osip Mandel’štam : “ la Divina Commedia non tanto sottrae tempo al lettore, quanto piuttosto glie ne fa dono, al pari di una composizione musicale mentre viene eseguita. Nel suo allungarsi, il poema si va allontanando dalla propria fine, e la sua stessa fine sopraggiunge inaspettata, e suona come un inizio.”
3) Gli Inattuali
“ facesti come quei che va di notte / che porta il lume dietro e a se non giova / ma dopo se fa le persone dotte”. (Purg. XXII) . Stazio si riferisce a Virgilio, lodandolo per aver aperto la strada alla sua conversione. In un gioco di specchi, i poeti e gli artisti inattuali, i precursori, si legano in una cordata ideale, attraverso i secoli. Dante sa di dover molto anche a Virgilio: ma anche la sua grandezza solitaria guiderà tutti quelli che verranno e che vorranno scrivere di poesia. Persino la poesia moderna fa ancora i conti con Dante. Terribile destino quello degli inattuali, spinti a dubitare della propria grandezza perché diversi dalla moda dominante. Morti di fame, di stenti, di angosce. Poi, quadri venduti per miliardi, sinfonie eseguite in tutto il mondo, opere letterarie che influenzano i secoli. Quando vivevano, quasi nessuno ha saputo rendersi conto di quella immane grandezza.
L’artista non è un bambino né un vecchio: si perde nel presente e lo attraversa, lo semplifica o lo complica. Si trascina dentro l’infinito, la gioia e la dannazione: ma lo sa, da sempre. Accade così per tutti gli artisti, per tutti coloro che sono percossi e bruciati dalla fiamma della creazione. Questo miracolo che continua ad avvenire accade in attimo e dura una vita, si nasconde in un dettaglio che hai saputo imprigionare, in un colore che hai nominato o creato per primo, nell’eco di una nostalgia profonda per un tempo innocente e completo. Quel mosaico, ogni tanto chi ha l’ anima inquieta, lo intravvede. Sa di farne parte, ma non ne conosce il disegno complessivo. Ha la sua pietruzza colorata che somiglia a tante altre pietruzze, ma solo la sua potrà entrare in quel punto del disegno che è già stato preparato. Nessuno sa però quando il disegno verrà completato. Così gli artisti, tutti, in una cordata ideale, si stringono le mani, da un secolo all’altro, si scambiano informazioni sulle pietruzze e sui colori. Alcune pietruzze sono d’oro e d’ambra. Altre di turchese o di smeraldo. Altre più semplici fatte di terre dai colori luminosi. Forse è un disegno simile a quello dell’albero della Vita, il meraviglioso mosaico che ancora possiamo ammirare sul pavimento della cattedrale di di Otranto. Tutti gli artisti del mondo fanno parte di un unico albero, con tante foglie di diverso colore e forma. A volte lo calpestiamo, quel pavimento, anche senza rendercene conto. Ma proprio per questo brilla sempre di più.
*Patrizia Tocci, scrittrice