Guida ai disturbi della circolazione periferica
L’analisi di Marcella Camellini, Responsabile del Reparto di Cardiologia Ospedale di Sassuolo
Cosa si intende per circolazione periferica? Il sistema cardiocircolatorio è rappresentato dal cuore e dai vasi, arterie e vene attraverso cui ilsangue scorre grazie alla spinta propulsiva generata dal cuore. I vasi periferici sono quelli cheinteressano i distretti corporei periferici, nella fattispecie ci occuperemo degli arti inferiori.
Quali sono i sintomi da non ignorare e per cui rivolgersi al Medico? Innanzitutto il dolore che può essere di tipo arterioso o di tipo venoso. Se la causa è arteriosa lapatologia che la determina è l’aterosclerosi, se l’origine è venosa generalmente è favorito dallevarici. Molto spesso il dolore agli arti inferiori può essere determinato da patologie scheletriche omuscolari e quindi di pertinenza ortopedica. Il dolore di origine arteriosa è caratteristico,crampiforme che si genera tipicamente con la deambulazione associato talora a debolezza. La causaprincipale nell’80-90% dei casi è l’aterosclerosi, che non è altro che l’accumulo di grasso, colesterolo e trigliceridi, calcio, cellule infiammatorie e fibrosi all’interno della parete dei vasi: tale accumulo ne riduce l’elasticità e ne determina un restringimento ed una conseguente riduzione del flusso sanguigno a valle. Questa patologia degli arti inferiori si chiama arteriopatia obliterantecronica con l’acronimo inglese di PAD (Peripheral Artery Disease) e si può localizzare in varidistretti. Quello più frequente è il distretto femoro-popliteo, a carico dell’arteria che porta il sanguedall’inguine al ginocchio, e più raramente si ostruisce l’arteria iliaca, quella che parte dall’aorta earriva fino all’inguine oppure quelle arterie che dal ginocchio portano il sangue al piede, deldistretto tibiale. La malattia inizia subdolamente con piccole lesioni che non danno alcun sintomoma poi progredisce con la formazione di placche aterosclerotiche che si distribuiscono lungo tuttigli arti inferiori dando segno di sé con il dolore alla deambulazione ovvero “claudicatio”, unsintomo che diventa progressivamente maggiore. Dobbiamo fare attenzione al dolore ma soprattuttoal fatto che quando questo si manifesta è sinonimo di un’aterosclerosi ormai avanzata. Masoprattutto la PAD, che di per sé non è fatale, è un predittore di eventi cardiovascolari maggiori cioèsi può associare molto spesso ad ictus e ad infarto e ad un’elevata mortalità cardiovascolare.Importante ricordare che il 50% dei soggetti affetti da PAD presenta anche una cardiopatiaischemica (CAD) che può essere molto spesso silente. Attualmente la PAD colpisce 200 milioni dipersone nel mondo, 40.000 in Europa e si manifesta più frequentemente nel maschio rispetto allafemmina. Colpisce generalmente i soggetti over 50 con una progressione del 20% negli ultraottantenni.
Cosa fare se non si hanno sintomi?Sarebbe indicato un controllo vascolare in pazienti con età >70 anni o se >50 anni con storia di tabagismo e/o diabete o ipercolesterolemia.
Quali sono i principali fattori di rischio?I fattori di rischio sono quelli comuni agli altri distretti e dunque l’ipercolesterolemia, il diabete, l’ipertensione arteriosa, il fumo, l’obesità e la ridotta attività fisica. Questi sono fattori di rischio modificabili sui quali può incidere un sano stile di vita. Poi esistono i fattori di rischio non modificabili quali i fattori ereditari, quindi la familiarità, ed il sesso maschile, che è più soggetto rispetto al sesso femminile.
Come si può fare una diagnosi?Dal punto di vista clinico il dolore compare alla deambulazione e si chiama claudicatio intermittens e può essere di vario tipo, può interessare i muscoli glutei o di coscia o i muscoli della gamba o il piede, a seconda del livello di ostruzione dei vasi. La manifestazione principale quindi è la riduzione dell’autonomia nella marcia per cui un soggetto ad esempio dopo 200 metri di camminata inizia ad avere dolore crampiforme alle gambe. Questo disturbo può subire delle variazioni che dipendono anche dal paziente stesso (velocità di marcia, pendenza del terreno, condizioni ambientali, esempio: temperatura esterna, grado di allenamento, reclutamento di altri muscoli in caso di attività sportiva quali nuoto, ciclismo…). Se il paziente inizia a correre dovrà fermarsi più rapidamente perché aumenterà la richiesta di ossigeno ai muscoli e l’autonomia di marcia si ridurrà. Se invece un paziente inizia a camminare regolarmente e con continuità si potranno creare anche dei circoli collaterali che miglioreranno la sua autonomia. Da qui l’importanza della regolare attività fisica, costante e ad impatto moderato (almeno 150 minuti alla settimana secondo le indicazioni dell’OMS). I segni clinici principali oltre la claudicatio, cioè il dolore crampiforme alle gambe durante il cammino, sono la debolezza e la riduzione o la perdita dei polsi arteriosi periferici. Dal punto di vista strumentale l’esame più semplice è l’EcoDoppler arterioso, un esame non invasivo sempre ripetibile che ci consente di vedere e seguire le placche all’interno del vaso e di valutare una riduzione o assenza di flusso sanguigno. Un esame del sangue sarà poi importante per rilevare glicemia e assetto lipidico.
Quali possono essere i trattamenti farmacologici e non?Il primo approccio ad un paziente che descrive dei sintomi compatibili con una claudicatio è quello della correzione dei principali fattoridi rischio sopracitati: abolizione del fumo, controllo dei valori pressori che dovranno essere mantenuti <135/85 mmHg, controllo della glicemia, del colesterolo e dei trigliceridi e mantenimento di un peso corporeo adeguato. Importante incrementare l’attività fisica aerobica muscolare quindi camminare perché questo comporta migliorare l’autonomia del muscolo e favorisce il metabolismo e soprattutto sviluppa i circoli collaterali migliorando così l’autonomia di marcia e rallentando la progressione della malattia (soprattutto nella progressione del dolore da dolore che si manifesta con il cammino a dolore a riposo). La correzione dei fattori di rischio, associata ad attività fisica regolare adeguata, consente già un miglioramento della patologia nel 20- 30% dei casi. Se questi suggerimenti poi non fossero sufficienti allora occorre passare ad un trattamento medico-farmacologico. Si potranno usare i farmaci specifici (contro il diabete, il colesterolo, antiipertensivi, antiaggreganti piastrinici…) tenendo in considerazione il fatto che una volta che le placche si sono formate, all’interno dei vasi, non regrediscono. Nei casi più critici si dovrà intervenire chirurgicamente con bypass vascolare o eseguendo angioplastiche con l’utilizzo di palloncini e l’impianto di stent. In conclusione:il cardine della lotta all’arteriopatia periferica è la prevenzione. E’ di fondamentale importanza mettere in atto un sano stile di vita ed ascoltare i sintomi poiché una diagnosi precoce e tempestiva permette di pianificare una serie di trattamenti volti, non solo al rallentamento e controllo della patologia, ma anche alla prevenzione dei tanto temuti eventi cardiovascolari maggiori quali infarto ed ictus.