Guerra, arte e preghiera
I fantasmi di Achille Guzzardella
Può l’arte essere uno strumento di pace? Può la preghiera alleviare i traumi prodotti dalla tragedia delle guerre? È dalla riflessione su temi come questi, di portata universale e collettiva e purtroppo sempre attuali, che parte la ricerca dell’artista milanese Achille Guzzardella, il quale nei suoi fantasmi sembra voler concretizzare pensieri e paure, che attanagliano l’umanità alle prese con la storia. Al tema della guerra il pittore, scultore e saggista, ultimo erede del gruppo di “Corrente”, ha dedicato due serie di dipinti, realizzati nell’ultimo anno e composti rispettivamente da 33 e 12 tele.
Il motivo dei perduranti conflitti bellici si definisce quale presenza costante della storia passata e contemporanea, come testimonia la secolare ostilità tra Israele e Palestina, soggetto presente in due opere del suddetto ciclo pittorico. Esso, però, si sviluppa e perfeziona in un’ulteriore riflessione sulla necessità della preghiera, intesa come ricerca interiore di una spiritualità autentica, in contrapposizione ai “mostri” del mondo attuale. È la preghiera che accomuna gli uomini, ritornati a essere fondamentali nella pittura di Achille Guzzardella dopo un periodo astratto; è sempre la preghiera che unisce idealmente le arcaiche ed essenziali figure dei dipinti, colte in atteggiamento di raccolta e intima meditazione, quasi a volere riflettere sulla vacuità e l’aridità di tutte le guerre. Perfino gli animali partecipano al clima di intimo ripiegamento e di diffusa spiritualità che i deserti e isolati paesaggi, in cui si collocano i personaggi, riescono a trasmettere. Infatti, nel poetico “Preghiera con torello” l’essere umano e quello ferino sembrano essere accomunati dal semplice e quasi ingenuo clima di assorta meditazione, che li rende abitanti discreti e innocui del mondo naturale.
I fantasmi, quindi, appaiono come esseri primordiali immersi nel silenzio; essi ci guardano dall’al di là, ci assistono con la loro presenza appena accennata e ci inducono a tornare a un rapporto puro e diretto con il divino, come accade in “Anche loro ci guardano”, dove le figure – spettri di Munchiana memoria – emergono quali sagome indefinite dagli occhi neri e le labbra serrate. Questa volta il colore, e non il disegno, interviene a definire volti attoniti e corpi informi, i cui soli gesti riconoscibili sono dati dalle mani giunte nel segno – di significato e decodificazione immediata – della preghiera.
Ma se invece queste presenze a tratti inquietanti fossero lì a proteggerci in qualità di guardiani? È proprio questo il titolo di un altro dipinto caratterizzato da atmosfere argentee e lunari, in cui i soggetti appaiono come robotiche figure di latta addirittura inumane, rigide e fredde, intente a compiere il loro ruolo di osservatrici lucide e scostanti. Analogo, però, è sempre il clima di pacato distacco dalla realtà e di ripiegamento individuale verso un’ulteriore realtà, fatta di silenzi e di assenze più che di parole e di avvenimenti.
A livello coloristico, la tendenza alla monocromia di alcuni dipinti e la predominanza di tinte grigie, color sabbia e marrone simboleggiano proprio le svariate e differenti situazioni di sterilità portate in ogni epoca dai conflitti, mentre altrove grovigli e matasse di linee evidenziano la condizione di caos perenne che contraddistingue la storia dell’umanità. Qui la forza espressionistica della tempera si coniuga con la delicatezza di taluni tocchi, resi a matita ed acquarello, in un contrasto che è anche quello del mondo contemporaneo. E così, sempre in virtù delle medesime contraddizioni, caratteristiche della realtà attuale, un marinaio e una signorina possono stare vicini, nel medesimo dipinto, senza neanche guardarsi in faccia, soli e chiusi ciascuno nelle proprie incertezze. Perché, come gli Arlecchini dell’omonimo dipinto che apre l’articolo, i fantasmi di Achille Guzzardella non sono che maschere del mondo contemporaneo, precario e ambiguo.
*Valentina Motta, scrittrice