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Giuseppe Brunasso

Tu

Sui viali dei miei giorni più velenosi,

quando la nebbia nella mente mi impediva 

di scorgere la certezza dell’alba nascente,

giacevo con l’anima ridotta in mille coriandoli 

spazzati via dalle gelide, furiose 

folate dell’infame solitudine.

Non sapevo più cosa fossi, 

ridotto ad una poltiglia di cupi stati d’animo:

il cuore batteva ed i polmoni respiravano, 

ma senza il mio permesso.

Mi trovasti così, come pezzi di un puzzle 

privi del loro incastro

e senza conoscerne l’immagine finale, 

con pazienza iniziasti a ricompormi.

Sentivo la frenesia delle tue mani abili 

rammendare gli strappi operati nei miei desideri,

incollare i frammenti della mia esile voglia di vivere 

e così, pian piano, prendevo forma

mentre tu soddisfatta ti fermavi ad ammirarmi.

Ti piacevo ed instancabile continuavi la tua opera.

Cosa vedessi di bello tra le macerie della mia vita

è per me un mistero!

Ma tu caparbiamente proseguivi, 

incurante del tempo che inesorabile scivolava via,

dimentica che imponenti pezzi di vita 

impietosamente ti si sgretolavano intorno.

Tu lì, sempre lì, concentrata sul tuo compito,

indoma fino al giorno in cui mi rimettesti in piedi.

Come un bimbo ai primi passi, 

il mio incedere traballante ti colmò di gioia,

così ti avvicinasti e mi prendesti la mano.

Volevi insegnarmi a correre.

Inatteso un sorriso accese le mie labbra screpolate.

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Tra le ortiche e le viole 

Abito da tempo 

le diroccate stanze dell’angoscia

e, per quanto m’impegni, 

non riesco a restaurarle.

Mi aggiro in esse 

come uno spettro senza pace,

barattando la mia pelle rassegnata,

con le rughe che il tempo 

pietosamente mi fornisce.

Consumo le mie logore ore 

bramando lumiin 

un presente che mi sfugge.

Fioccano copiosi i miei pensieri

danzando tra i davanzali 

dei giorni che verranno.

Cadono uno ad uno, in silenzio, 

attenti a non arrecarmi 

il minimo disturbo

ma, delicati, 

assaggiano la deperibilità 

della mia esistenza.

Sono liberi di giacere 

sulla scorza del mio cuore

o morire indisturbati 

nella solitudine dell’anima.