Gino Giaculli, Mi prendo la città (Homo Scrivens, 2022)
La denuncia di mani rapaci, mani troppo spesso sporche di sangue, mani che sfregiano cultura e luoghi millenari
Il titolo del romanzo, Mi prendo la città, ben sintetizza il progetto spregiudicato di Pasquale Torsciello, un garzone che è riuscito ad affermarsi come imprenditore nel settore della ristorazione e che adesso, non pago, con la complicità del capoclan Spillone intende volgere a proprio vantaggio il crescente flusso di turisti che da tempo si riversa nelle strade e nelle piazze di Napoli. Come? Trasformando l’intera città in una location dove fare sedere e mangiare in contemporanea migliaia e migliaia di persone, in nome della riscoperta della tradizione locale. Un’offerta commerciale che, come spiega ai suoi sodali, cogliendo di sorpresa i concorrenti, avrebbe fruttato «euro, milioni di euro». A contrastare la colossale speculazione commerciale c’è, però, Gianluca Ogiani, giornalista del quotidiano cittadino «Il graffio», impegnato a portare avanti la rischiosa inchiesta sui loschi affari di Torsciello e Spillone e a operare insieme a Vincenzo, il Maestro che guarda al futuro dei giovani e offre loro diverse e più umane prospettive di riscatto urbano.
Insomma, come nel celebre film di Francesco Rosi sulla speculazione edilizia degli anni Sessanta, Le mani sulla città, anche in Mi prendo la città, romanzo di Gino Giaculli edito da Homo Scrivens, abbiamo la denuncia di mani rapaci, mani troppo spesso sporche di sangue, mani che sfregiano cultura e luoghi millenari e tolgono dignità a una città intera. Significativa, inoltre, la connotazione professionale del protagonista, Gianluca Ogiani. Egli, infatti, è rappresentante di un giornalismo d’inchiesta, oggi ben lontano dalla reale quotidianità delle redazioni e fortemente minoritario. Tuttavia, la scelta di Gino Giaculli non va intesa come nostalgica riesumazione di una realtà scomparsa da tempo, ma come prospettiva per il futuro. È, insomma, una scelta di resistenza culturale, intesa a indicare con tenacia l’unica prospettiva credibile per il giornalismo del futuro, che deve tornare a essere d’inchiesta e di approfondimento oppure sarà destinato a soccombere sotto l’incalzare di altre forme e modalità informazione più veloci, pervasive, narcotizzanti.
*Raffaele Messina, scrittore