Gino Giaculli, La pelle dal mare (Lastarìa, 2020)
Gino Giaculli con il romanzo La pelle dal mare (Lastarìa) collega l’immigrazione clandestina all’affarismo imprenditoriale e alla speculazione politica, in un contesto non soltanto italiano, ma europeo. L’affanno, il fiato corto, la paura di un naufrago africano nelle acque di Sicilia, s’intrecciano con gli interessi, in Svizzera, del direttore di una clinica privata e di un chirurgo, i quali, per produrre una nuova sostanza che elimina gli inestetismi della pelle e la ringiovanisce, hanno bisogno della disponibilità in quantità industriale di microcampioni di cute da estrarre proprio dalla pelle degli uomini di colore. Tale disponibilità può essere ottenuta grazie a un movimento politico transnazionale che, in Germania, si propone la lotta senza quartiere agli immigrati e la chiusura delle frontiere europee. Così, infatti, i migranti possono essere tenuti in una condizione di clandestinità, di assenza di tutele e, dunque, di bisogno e sfruttamento.
Tuttavia, una società malata, che produce straordinari appetiti speculativi e bestiali ideologie razziste, ha in sé anche gli anticorpi necessari per sconfiggere le proprie patologie. A contrastare le trame di politici e imprenditori senza scrupoli Giaculli pone, con evidente valore simbolico, una professoressa competente e coscienziosa; un giornalista consapevole della responsabilità civile del proprio ruolo; un medico che non ha smarrito lo spirito filantropico della propria professione. Non è casuale neanche la temperie culturale nella quale i tre personaggi, compagni di Liceo, si sono formati: i primi anni Settanta. Gli anni della fioritura dei cantautori italiani e del rock internazionale; gli anni di Jesus Christ Superstar e della cinematografia impegnata; gli anni delle buone letture e della televisione ancora servizio pubblico e non ‘cattiva maestra’.
*Raffaele Messina, scrittore