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Flavio Gioia, un fotografo “oltre” lo spazio e il tempo

Il significato delle cose non è appariscente, ma il significato dietro all’appariscente spesso ama nascondersi

Ecco la serie di domande:

Puoi informarci della tua passione fotografica? È certamente la passione come sentimento, ma è l’introspezione che spinge il mio occhio a scrutare oltre un apparire alquanto scialbo e insignificante. Il significato delle cose non è appariscente, ma il significato dietro all’appariscente spesso ama nascondersi. 

“Fotografare la realtà” è una bella frase di effetto, ma non così scontata come potrebbe sembrare. “Fotografare la realtà” nasconde insidie ermeneutiche, che richiedono l’intervento di un occhio allenato e scaltro. “Fotografare la realtà” è un’ambizione, che cova in ogni artista, ma, a oggi, neanche i più blasonati possono dirci di essere giunti a tale onirico traguardo.   

Io mi accodo all’elenco di coloro che tentano di giungere a una “oggettivazione del reale”, in forma inconfutabile. 

Non cerco l’interpretazione, altrimenti non amerei il sistema del fotografare.

Fotografare dovrebbe voler dire: estrapolare i tessuti vitali del reale.  

Puoi significarci i luoghi che vorresti rivitalizzare in “senso metafisico”? La realtà si dimostra ambigua, non certo la si può perimetrare all’interno di un senso materialista e neanche spiritualista o idealista. 

La realtà sfugge alle connotazioni, per quanto dovrebbe essere facilmente tangibile visto il suo indiscutibile aspetto materico.  Possiamo dire che la fisicità della realtà deborda verso denotazioni che la vedono oltre il materico. 

Un “oltre” non è determinabile in alcuna semiotica dall’uomo, fino ad oggi utilizzata.  Il metafisico è quindi un enigma necessario.

La realtà, per quanto sia presente ai nostri occhi, qualunque essa sia, si dimostra essere, indiscutibilmente, enigmatica. 

Il perimetro del fotogramma non riesce a contenere tale spazialità evanescente.

I luoghi, quindi, sono di per sé stessi metafisici.

Il mio occhio-macchina-fotografica vede palesemente tale enigmaticità. 

Il meccanismo fotografico non fa altro che documentare e certificare un enigma, assolutamente, pervasivo e totalizzante.   

Perché miri a Casagiove, Procida, al Molise essendo entità territoriali completamente diverse? Amo le sfide, ma non violente. 

Non amo la competizione, ma desidero e mi nutro di un sano confronto.  

I “luoghi” possono sembrare dissimili, ma, similmente, conservano una medesima connotazione metafisico-esistenziale.  Insisto sul concetto di “fotografare la realtà”, con tutto quello strascico di problematiche semiotiche, che si trascina, pesantemente, dietro.  Una diversità dei luoghi ha alle sue spalle un’uniformità speculativa. 

Una diversificazione dei luoghi non implica una diversificazione metafisica. 

Evincere una medesima metafisicità da ogni diversità paesaggistica è possibile. 

L’urbanistica, l’architettura, la scenografia naturalistica conservano un alone di “mistero ontologico”, che pervade l’iride del mio occhio-macchina-fotografica. 

Io sono un mero esecutore di una obbedienza speculativa, dalla quale non riesco e non voglio sottrarmi.  La mia realtà non è né onirica, né surrealista e neanche materialista, essa è semplicemente enigmatica.     

E’ vero che vai a studiarti i luoghi e programmi le foto a tavolino? Una “sedimentazione mnestica” è assolutamente necessaria prima di eseguire il fatidico “scatto”.  La mia scuola più che di impronta fotografica proviene da un insegnamento cinematografico.  Il “sopralluogo” è necessario onde valutare i volumi e le luci del luogo che sarà fotografato.  Da tale sopralluogo ne evinco un contatto rudimentale e istintivo. Da tale contatto “rudimentale ed istintivo” avviene la successiva elaborazione speculativa ed immaginifica. 

Rielaboro mentalmente tutto il processo fotografico nel ridurre al minimo gli imprevisti. 

La certosina meticolosità esecutiva è di fondamentale importanza, onde estrapolare il meglio dalla location di pertinenza. 

La ragione sussegue all’istinto e l’istinto emerge da una limpidezza di relazione in cui la equazione io/tu viene a estinguersi. 

Ovverosia che la immedesimazione del fotografo pregiudica la più o meno riuscita di uno “scatto artistico”. 

Pianificare un rapporto istintuale diventa nevralgico al fine di non farsi prendere da una emozione, che potrebbe solo portare a uno “scatto” immediato e superficiale. 

Potrei definirmi “leonardesco” per un approccio scientifico con un qualcosa che scientifico non lo è affatto.    

Quali sono le difficoltà operative per arrivare al raggiungimento del target? Enormi! Ogni qual volta esco nel mondo, per fotografarne una parte, mi porto dietro una cospicua valigia di “caccavelle metafisiche” (caccavelle: termine napoletano per indicare oggetti di vario tipo, oramai non più utilizzabili). 

Il peso materiale del bagaglio semiotico e metafisico non è indifferente, onde comporre le mie istallazioni iper-reali, ma allo stesso tempo irreali. 

Mi conviene coordinarmi con le autorità del territorio per poter accedere in luoghi “sensibili” da un punto di vista di conservazione dei beni archeologici o artistici. 

Anche se, ci tengo a precisare, i mei interventi non sono, assolutamente, invasivi o deturpativi al fine della tutela di un bene che sia di proprietà della comunità intera.   

Sappiamo che hai vinto ad agosto 2022 il primo premio per la sezione fotografia della BeneBiennale di Benevento. Bella la “Rocca dei Rettori”? Dire “bella” è riduttivo. 

Sotto al vedibile si conserva un “nascosto” che eccita la mia pupilla fotografica. 

Il fascino della “sedimentazione del tempo” si combina con la stratificazione architettonica di varie epoche alle quali mi sento di appartenere.

Il senso di appartenenza alla storia mi spinge a intervenire artisticamente. 

Mi piacerebbe, se fosse possibile, che le istituzioni del luogo mi dessero l’assenso per poter compiere le mie “installazioni metafisiche” per ricondurle in una mostra fotografica che desse memoria scritta per un qualcosa che lo merita ampiamente. 

Sono fatalista e penso che, se c’è lungimiranza.

Tale realizzazione potrebbe, prima o poi, realizzarsi.  

Le persone di cultura, delle quali mi onoro di contornarmi, saranno loro che chiederanno e accompagneranno nel giungere a compimento di tale eccezionale realizzazione. 

Dovresti essere presente a Istanbul, a Forlì nel 2023 …? La mia presenza dovrebbe essere confermata. Un “extra-glocal” è necessario per la crescita di un artista. Non sono un esterofilo, io devo moltissimo alla mia “napoletanità”, della quale ne sono esplicitamente fiero. 

Se non fossi figlio di Ercolano, Pompei, Capodimonte, del Decumano, di San Gregorio Armeno, del tufo giallo di Pozzuoli, dei Campi Flegrei, di Cuma, Procida e ancora molto altro non farei quello che mi auguro di fare al meglio. 

Ma uno scambio di più ampio respiro nutre la inventiva di una persona che vuole sempre più approfondire e toccare con mano i connotati essenziali del mondo.   

Con quali fotografi, di livello mondiale, hai rapporti di stima? Il “navigare” sui social mi ha offerto l’opportunità di incrociare il lavoro fotografico di encomiabili fotografi di acclarata fama mondiale.Così è accaduto per Eugenio Recuenco, Pedro Valtierra, Andres Gallego che mi hanno regalato documentabili segni di consenso per quanto concerne la mia produzione artistica. Eugenio Recuenco, non sapendo, mi ha scritto dicendo che ha già realizzato un video promozionale per la Regione Campania, contributo che ho immediatamente visionato. 

Chi meglio di un cotal latino poteva “sentire” il respiro napoletano.    

Pensi di realizzare una mostra insieme a chi? Da buon napoletano dovrei essere scaramantico e dovrei tacere alla domanda postami. 

Ma il dovere di informazione mi spinge a derogare a tale mio sensibile imperativo alchemico.  Sarebbe un sogno poter fare una “bipersonale” con i tre “mostri” sopra citati.   Ma, nei fatti, la concreta possibilità di vicinanza sembra favorire una sperata possibilità con il grande Pedro Valtierra. 

Chi mi circonda e mi supporta sta lavorando alacremente in tal senso. 

Napoli è aperta alla fotografia contemporanea? Non lo è mai stata! Bisogna che si faccia una comparazione tra la inusitata potenza creatrice, insita nell’humus del territorio campano, e quanto i “nostri nobili” fotografi hanno espresso in tal senso. 

I “nomi blasonati” della fotografia napoletana sono figli di intricati percorsi di dubbia valenza artistica. 

Una fotografia è un documento inoppugnabile. 

L’arretratezza semiotica della fotografia napoletana, così detta  “di spicco”, viene obliata dalla potenza fotografica di moltissimi fotografi sparsi ai quattro angoli del mondo.   “Nessun fotografo napoletano di spicco ha capito Napoli” neanche lontanamente.  La loro notorietà è dovuta a sottili meccanismi di esaltazione  decisa in ristretti e discutibili salotti culturali.  La Regione Campania ha dovuto convocare l’eccelso spagnolo Eugenio Recuenco per “fotografare” l’anima di Napoli. 

Più esplicito di così?! 

Nessun fotografo blasonato napoletano è stato chiamato a sua volta, dalla regione di Madrid, per realizzare un video artistico-culturale promozionale.  

Non parliamo, poi, della semplice organizzazione strumentale, che contraddistingue i grandi fotografi del mondo. 

Quasi tutti si muovono con mezzi di trasporto di grande capienza ogni qual volta vanno a realizzare i loro set fotografici, con la collaborazione di una schiera di tecnici tale da fare invidia ai più noti set cinematografici. 

Napoli possiede e ha posseduto buoni fotografi tenuti opportunatamente in ombra dal “baronaggio” dei “noti incapaci”. 

Ciò che affermo, a tal proposito, è una fotografia leggibile e disponibile agli occhi di tutti.          

Quali sono le città che abbracciano meglio l’arte fotografica attuale? Se ci riferiamo alla sola Italia certamente Milano possiede un mercato leader e di buon livello. Ma ci sono eventi inerenti alla fotografia e di prestigio sparsi in varie realtà del territorio italiano. 

Napoli, ovviamente, è assolutamente fuori da tali circuiti.

 Si fanno eventi, in Campania, ma non di caratura paragonabili a una finestra nazionale o internazionale. 

Auspico che anche in Campania si possa avere una fiera/mercato della fotografia degna della stupenda ricchezza creativa tipica del suo vulcanico territorio. 

Ci vuole, in Campania, un’imprenditorialità artistica e che non cerchi di raccattare le briciole dell’immediato. 

Ci vuole sinergia tra le grandi gallerie d’arte, che ci sono in Campania, onde raggiungere un obiettivo che punti a un bene comune.    

Quali maestri della fotografia vorresti “ricalcare”? Sbagliereste se mi consideraste presuntuoso se vi dicessi che non ho maestri da “ricalcare”. 

Io apprendo anche dalla fotografia scattata dalla mia nipotina con il suo smartphone. 

Per dire che cerco lo spunto o l’errore da chiunque, tale da educarmi alla costruzione di un percorso che sia mio personale. 

Ad esempio, la mia formazione è antitetica al baronaggio della fotografia di spicco napoletana. A proposito del concetto di “ricalcare”, io cerco di non ricalcare i grandi maestri della ignoranza fotografica napoletana. 

Forse, il mio antico e caro amico “Oreste Pipolo” mi ha educato, con la sua istrionica personalità, non tanto nella tecnica fotografica, ma a sentire e a vedere l’anima più autentica di Napoli. 

Nella sua irrefrenabile e spassionata volontà di vedere Napoli, Oreste Pipolo ha troppo presto bruciato per sempre i suoi occhi. 

In conclusione, ci sembra giusto e opportuno riprendere uno scritto di Flavio Gioia, che ci permette di meglio intendere i suoi ulteriori propositi:

Reperti contemporanei Suddividere la conoscenza tra passato, presente e futuro non rende onore alla cosa da conoscere.

La cosa da conoscere è per sua natura svincolata dalle determinazioni classificatorie del tempo. 

La cosa da conoscere non è collocabile né all’interno di un certo tempo e neanche intercettabile all’interno di un certo luogo.

La cosa da conoscere è, per sua natura, metafisicamente apolide. 

Abbinare una semiotica attuale con una passata è una inesatta classificazione artistica.

Esiste un continuum mai interrotto per il quale la cosa perde i connotati di coordinate cronologiche e spaziali. 

Tenere insieme il passato con il presente è una imprecisa connotazione di entrambi. 

C’è, alla base del Tutto, un “sentiment” assolutamente indifferente alle catalogazioni valoriali. 

Ogni “reperto” del passato sarà sempre contemporaneo essendo apatico allo scorrere del tempo. 

Così come, per il medesimo motivo, ogni segno del presente sarà contestualizzabile con i reperti del passato.

“Fotografare la realtà” vuol dire impressionare lo sguardo di tale “sentiment”.

Far emergere un “assoluto” avulso dalle contestualizzazioni temporali o locali che siano. 

Esiste un “bagaglio semantico” appropriato per ogni dove e per ogni quando. 

Tale “semema” impregna di sé indifferente alle molteplici differenze. 

Nessuna idiosincrasia tra passato e futuro ma splendida armonia nella indifferenza di quei valori che noi tendiamo a differenziare.

Ecco, invece, un nostro recente contributo critico sull’operatività del fotografo Flavio Gioia, che riproponiamo per giusta sintesi: L’autore-fotografo Flavio Gioia ci offre immagini emblematiche, di ricerca e di rilievo filosofico. 

Versato nel campo della filosofia – ha in preparazione più libri e cataloghi – coniuga la sua indagine per immagini con scelte ponderate, meditatissime, che sfiorano la metafisica.

Riesce nel controllare luoghi, da quelli d’archeologia industriale a quelli paesaggistici consumati dal tempo e dai clamori, a introdurre flessibili corpi inanimati per rendere diversità compositive allarmate e/o intriganti, nonché interessanti. La resa della qualità fotografica delle sue prodizioni fotografiche promuove sempre un’analisi del contesto e avvalora una “firma” di una teoria di sentimenti.

Quegli elementi corporei introdotti nella scena assicurano un valore aggiunto e una lettura che va oltre, il tempo e lo spazio.

Certamente, Flavio Gioia intende modificare la percezione e da univoca la porta a multipla scenografia ambientale e raggiunge soglie icastiche.

Gli elementi caricano, decisamente, di senso il luogo e lo dettagliano in un prisma di virtualità compositive.    

Senza dubbio, la carica intellettuale e filosofica permea una nuova immagine, un nuovo assetto, una nuova visione.

Ciò che inserisce dialoga col luogo e nel rispetto dell’ambiente sottolinea differenti, possibili, potenziali letture, anche trasversali.

L’ampio e incisivo ventaglio delle soluzioni che propone stabilisce una nuova frontiera visiva, tutta tesa a far riflettere sul passato, sul presente e su un arco prossimo del profilo futuro. E continua nei suoi incessanti sopralluoghi, per il momento tra isole ed entroterra, con metodo e sicurezza. 

Flavio Gioia (Napoli, 1957)

Ha vinto ad agosto 2022 il primo premio per la sezione fotografia alla BeneBiennale di Benevento, allestita alla “Rocca dei Rettori”, splendida monumentale location. 

Cinefilo e studioso di filosofia del cinema: filosofia del “non-immaginabile” in qualità di reale immagine del reale.  

Ha buona conoscenza di tecnica di programmi di montaggio video e di modificazione fotografica, nonché di ripresa cinematografica e fotografica.

Ha esperienza decennale in ambito fotografico nello specifico di fotografia di antiquariato, architettura e di mostre di pittura, nonché di fotografia pubblicitaria.

Detiene esperienze in ambito locale di produzione e di post-produzione di programmi televisivi (Blu-notte e Miss Muretto). 

E’ stato tra i primi in Italia a realizzare con mezzi propri un “book-trailer” su di un suo proprio testo di poesie (Il canto del mediterraneo). 

A seguito e a conclusione della sua pluriennale esperienza come skipper ha pubblicato un opuscolo, edito da Intra Moenia, di ricette dal sapore Mediterraneo dedicato agli appassionati velisti (Il vento in pentola).

*Maurizio Vitiello, critico