Federico Capuozzo, Il popolo dei ricoveri. Racconti della Napoli in guerra (Martin Eden, 2020)
Ha la freschezza della narrazione popolare il volumetto tascabile nel quale Federico Capuozzo racconta sul filo della memoria gli anni della Seconda guerra mondiale a Napoli, città martoriata da oltre cento bombardamenti. E li racconta, con implicita citazione del Così parlò Bellavista (1977) di Luciano De Crescenzo, assumendo la particolare prospettiva di Salvatore Esposito, il portiere di un palazzo di via Nardones nel quale coesistono una serie di personaggi rappresentativi della composita stratificazione della società partenopea di metà Novecento.
Salvatore Esposito, che nei popolari Quartieri Spagnoli, tutti chiamano Croce ’e fierro, ha un passato da combattente nelle trincee della Prima guerra mondiale. Combattente tutt’altro che eroico, il quale, proprio non momento in cui stava compiendo un atto di automutilazione per non andare in prima linea, si trova coinvolto, suo malgrado, in una azione che lo porta a essere decorato con la Croce al Merito di Guerra.
Pregio del lungo racconto di Federico Capuozzo non è tanto la parte finale in cui si rievocano le condizioni di vita all’interno dei rifugi antiaerei, né la sottolineatura della penuria d’acqua e di generi di prima necessità e il dilagare della borsa nera e l’arricchirsi dei pescecani di guerra e il degrado morale e la prostituzione indotte dall’occupazione alleata. Queste sono cose già ampiamente narrate, a partire dal romanzo La pelle (1949) di Curzio Malaparte. Ma elemento d’indubbia originalità e motivo di più vivo interesse sono, invece, le pagine in cui l’Autore ricostruisce le vicende degli anni a ridosso della dichiarazione di guerra, dal 1937 al 1940. Sono gli anni dell’introduzione d’importanti innovazioni tecnologiche, dalla diffusione del telefono a quella delle lampadine elettrice destinate a soppiantare le vecchie lampade ad acetilene. E sono gli anni in cui, sotto l’occhiuta direzione dei funzionari del Partito Nazionale Fascista, la città si prepara alla guerra. Gli anni in cui, sotto il vincolo del segreto imposto a portieri e capi-palazzo, i tecnici del Comune danno inizio ai lavori di trasformazione delle principali cavità di tufo, presenti nel sottosuolo urbano, in rifugi antiaerei, dotati di acqua corrente, servizi igienici, illuminazione elettrica e altro ancora. Ma i segreti, si sa, a Napoli hanno vita difficile: sono destinati a diventare presto ‘segreti di Pulcinella’. Pertanto al nostro portiere, poco istruito ma cresciuto alla scuola della vita, non sfugge la considerazione che, forse, il vero obiettivo di quella finta segretezza, di quel gioco delle parti, sia un altro: «mettere in moto il passaparola, mettendo tutti in condizione di conoscere un segreto per evitare gli allarmismi di un’informativa completa. Lo scopo dei lavori, comunicato in modo ufficiale, avrebbe potuto provocare stati di agitazione. Così, invece, alla resa dei conti, ormai tutti erano a conoscenza di tutto e si trattava di notizie vecchie, con le quali s’era convissuto; e alla fine la verità spiattellata non avrebbe procurato preoccupazione più di tanto».
*Raffaele Messina, scrittore