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Emigrazione o immigrazione?

Nella mitologia greca Apollo era il dio della medicina e della poesia; Aristotele stesso sosteneva la forza guaritrice della catarsi. 

Il rapporto tra medicina e letteratura é sempre stato vivo attraverso scrittori medici illustri; ricordiamo per citarne alcuni: F. Rabelais (1494-1553); T.S.Smollet (1721-1771); O.Goldsmith (1730-1774); L.Keats (1795-1891); A.Conan Doyle (1859-1930); A.Cechov (1860-1904); W.S.Maugham (1874-1965); W.C.Williams (1883-1963); A.J.Cronin (1896-1981); W.Percy (1916-1990), ecc.

Redi (1626-1698); Tobino, lo scrittore psichiatra di Viareggio e il medico romano Armando Patti rappresentano solo tre esempi dei nostri. (Talento – Lorenzo editore – To).

La medicina, quindi, è un’arte, meno celeste forse della letteratura, più staccata dalle cose terrene e dalle corsie, ma che rispecchia certamente in alcuni il bisogno di soddisfare il passaggio dalla materia all’anima, a quell’anima universale, di cui ognuno di noi, indipendentemente dal ruolo che ricopre, è testimone.

Con tale premessa alcuni si chiederanno, a questo punto, che cosa centri l’interrogativo del titolo “Emigrazione o immigrazione”.

Il quesito intende rilevare che i due termini della questione sono, in sostanza, le facce di una stessa medaglia, di una stessa anima che, dietro la spinta di una motivazione forte, passa da un cerchio all’altro.

L’Italia, paese di anime emigranti, oggi, è diventato il paese di anime immigrate, di extracomunitari; per molti, ciò rappresenta un problema inquietante, più concreto e visibile di quello degli ufo o extraterrestri, i quali – voci autorevoli ne affermano l’esistenza – invaderanno, forse, il nostro pianeta come fecero i colonizzatori dopo Cristoforo Colombo?

Non si vuole qui né volare sulle ali della fantascienza né costruire previsioni autorealizzanti, ma solo essere realisti cercando di mettersi da diversi punti di osservazione del problema, se si vuole affrontarlo ispirandosi ai principi di giustizia per farci costruttori di pace, partendo dai punti di unione e non da quelli di divisione.

Qual è il punto di unione se non la persona in quanto tale, i cui diritti sono universali, inalienabili e inviolabili: quante carte internazionali declamano i diritti, spesso violati in ogni parte del pianeta, soprattutto quelli riguardanti i bambini, che sono i nostri figli.

A proposito della persona umana è bene ricordare la lettera enciclica “Pacem in terris”, indirizzata a tutti gli esseri umani di buona volontà da Giovanni XXIII°, sulla pace di tutti i popoli da costruire nella verità, nella giustizia, nella carità e nella libertà (11 aprile 1963).

L’immigrato è una persona, soggetto di diritti, il quale si trova in condizione di gravi difficoltà sia economiche sia sociali, perciò in condizioni precarie di sopravvivenza è il primo essere umano portatore di diritti, fra i quali emerge il diritto all’assistenza sanitaria.

Quando ci si pone in tale ottica, nell’ottica di uomini giusti, diventa automatico farsi prossimi: spariscono di colpo le complicazioni, produzioni della nostra mente, di quella ragione manipolatrice di emozioni, protettrice da verità scomode per pacificare le coscienze, in una sorta di convinta sincerità. 

“E chi è il prossimo mio?” 

disse un dottore di legge a Gesù,

volendosi giustificare, 

e Gesù rispose: 

“Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico…”. 

(Lc 10,23-30a)

La lezione più grande, quindi, che deriva dall’incontro con il paziente immigrato riguarda la dimensione sociale: la nostra capacità o incapacità di aiutare chi ha bisogno.

“Non c’è umanità senza compassione

e senza pietà…

Perciò questo samaritano sarà sempre uno scandalo,

un tormento, un rimprovero

per tutte le religioni inutili sulla terra.

Perciò “Gesù gli disse: va’ e anche tu fa’ lo stesso”.

Perché non c’è altro da fare. 

Diversamente l’uomo non si salva.

Né tu né lui.

E il povero dovrà morire; e tu sarai inutile.

Quando non rischi di essere persino dannoso:

pur sognando di cambiare il mondo

e di fare la più grande rivoluzione.

Sono appunto i samaritani che si fermano…

Perciò la creazione continua.

E la terra non sarà distrutta. Speriamo.

(D.M.Turoldo – Amare – edizioni paoline)

*Laura Margherita Volante, sociologa