Direttore o direttrice? Quando la polemica è “grammaticalmente” inappropriata
In altri paesi si combatte per la libertà dell’uso del proprio corpo, mentre in Italia ciò che affligge il genere femminile è il modo corretto e non discriminatorio di chiamare una donna in determinati contesti sociali e lavorativi, aspetto però sul quale la nostra meravigliosa lingua italiana lavora da anni.
È strano pensare come ancora nel 2021 sia necessario soffermarsi su determinati stereotipi che segnano il divario tra uomo e donna. Ed è ancora più strano credere che essi emergano quando si parla di lingua italiana, nata ormai quasi mille anni fa e oggetto di studio da sempre dei più grandi nomi della storia. E mentre in altri paesi la donna si batte sulla libertà dell’uso del proprio corpo, in Italia si fa un passo indietro battagliando su come sia giusto o sbagliato definire una donna in determinati ambiti, dimostrando la mancanza di autonomia anche quando si tratta semplicemente di lingua italiana.
La vicenda a cui si sta chiaramente facendo cenno è la più attuale polemica nata sul palco dell’Ariston durante il 71esimo Festival di Sanremo, in occasione del quale è stata ospite Beatrice Venezi, musicista e direttrice d’orchestra, la quale ha dichiarato di preferire il nome di “direttore” d’orchestra a quello di “direttrice” ritenuto dall’artista discriminatorio e non appropriato alla professione da lei rivestita. Tuttavia ciò su cui è bene soffermarsi non è tanto la vicenda sanremese, essendo la Venezi libera di farsi definire come meglio crede, ma bensì sul fatto che marcare questi stereotipi in ambito linguistico, dove vigono regole grammaticali e lessicali ben precise, non sta facendo altro che denigrare la nostra bellissima lingua, inclusiva di tantissimi termini che servono proprio ad evitare di sottolineare divari come questi.
A tal proposito è proprio l’Accademia della Crusca, la più autorevole istituzione linguistica italiana, a spiegare come esistano tre modi per definire la professione di Beatrice Venezi: direttore, la più tradizionale e declinata al maschile; direttrice, il cui uso è attestato ormai da secoli soprattutto nel ruolo dirigenziale scolastico; e infine direttora, termine coniato per differenziare il ruolo di dirigente scolastico da un qualsiasi ruolo dirigenziale. Quest’ultimo termine non ha avuto però grande successo, dal momento che l’uso di “direttrice” era attestato ormai da più tempo ma soprattutto perché si tratta di un sostantivo connotato dal suffisso -ora che lo accomuna a neologismi di poca fortuna.
Il fatto che esistano tre modi lessicalmente corretti per definire il suddetto ruolo per la figura femminile dovrebbe far riflettere. Ribadendo il fatto che nessuno giudica sbagliata la scelta della Venezi, è però ugualmente sbagliato definire l’uso di direttrice come discriminatorio, essendosi la lingua italiana evoluta nel tempo e di pari passo con le continue conquiste da parte del genere femminile. Infatti è importante ricordare che il ruolo di direttore d’orchestra nasce come professione rivestita in passato esclusivamente da uomini.
Dunque perché nascondere tali traguardi, corredati da tanti sforzi e sacrifici, rifiutando l’uso di un semplice, ma grammaticalmente corretto, femminile soprattutto in contesti importanti come il Festival di Sanremo?
Non è la forma che conta, ma la sostanza, come ha giustamente dichiarato Beatrice Venezi. È importante che le donne raggiungano obiettivi così come possono farlo gli uomini, che tali sforzi siano riconosciuti a pari merito e che abbiano le stesse possibilità che hanno gli uomini. Lasciamo poi alla lingua italiana il compito di non escludere le donne da queste conquiste, coniando termini che includano e non impongano il genere femminile e che ricordino che essere donne non significa essere diverse.
*Gaia Lammardo, giornalista