Dialogando con la materia Intervista allo scultore sardo Nino Etzi
Quando parlo con Nino o guardo le sue opere entro in contatto con una Sardegna che affonda le radici lontano, nel profondo di una cultura antica, ma le cui foglie sembrano toccare i cieli di un futuro che sta arrivando ma non è ancora qui.
Nella sua casa a Sinnai, paese situato nelle colline sopra Cagliari, faccio sempre (con una scusa o con un’altra) un giro tra le stanze arredate con opere d’arte sue e di altri grandi artisti sardi, per poi scendere nel laboratorio dove gli occhi si riempiono di bellezza e il naso del profumo inebriante del legno di ginepro.
Quando si entra a casa di Nino il tempo si ferma e i pensieri e le preoccupazioni della vita restano fuori dal cancello. Tutto si fa gioco, curiosità e incanto.
Ci sediamo nel cortile, al fresco degli alberi di limone, e iniziamo a conversare accompagnati da un bicchiere di Vermentino (presentato rigorosamente dentro ad una bottiglia di aceto) e da quelle delizie di un tempo che Nino sa preparare ad arte, come le mandole tostate e salate, la pancia di maiale bollita e condita in foglie di mirto o il gateau di mandorle e miele di montagna. Si parla di arte, di storie di un passato che io non ho conosciuto e di progetti futuri. Vorrei oggi condividere con voi le nostre chiacchiere che raccontano di un artista e del suo rapporto con la materia.
Nino Etzi, classe 1946, scultore autodidatta poco interessato al falso luccichio di gran parte del mondo dell’arte contemporanea, solitario ma aperto all’incontro e allo scambio intellettuale. Le sue opere variano per materiali, colori, idee, linee e soggetti ma la costante che le riunisce tutte credo sia la ricerca della “musicalità della forma”. Come Nino stesso mi spiega, infatti, il suo lavoro artistico si focalizza maggiormente sul trasmettere emozioni e messaggi attraverso l’estetica, mentre il soggetto diventa spesso solamente un pretesto. La linea è sempre essenziale, semplice, come la materia con la quale instaura un dialogo intimo, valorizzandone le caratteristiche naturali come i nodi del legno, le spaccature naturali della pietra, la forma dell’osso, le pieghe della carta.
Nino, come hai iniziato ad interessarti alla scultura? Da bambino a Natale non ricevevo regali, per cui mi sono adattato a farmeli da me. Quando avevo 8 o 10 anni ho iniziato, con dei coltellini vecchi e arrugginiti, ad intagliare la corteccia di pino e poi di sughero per realizzare delle piccole maschere. Quando mi sono stufato ho iniziato a lavorare il legno, molto più duro. Ricordo che la mia prima opera fu il calcio di un fucile, tratto da una doga di botte.
Hai studiato scultura o lavorato in qualche bottega? No, sono autodidatta. Ho studiato alle professionali, ma avevo un professore bravissimo di disegno che mi ha insegnato tantissimo, professor Gianeri. Era parente di Enrico Gianeri, noto Gec, caricaturista e vignettista satirico nonché il primo studioso italiano della storia della caricatura e della grafica umoristico-satirica. In seguito ho lavorato come tipografo, facevo il linotipista quindi mi occupavo della composizione dei testi (libri, giornali, riviste) e dell’impaginazione tipografica. Credo che questo lavoro, nonostante fosse poco creativo e con mille limiti, sia stato molto istruttivo, la mia arte ne ha giovato tantissimo.
Guardando le opere nel tuo studio si nota un interesse curioso per il riuso. Tutto il materiale che scolpisco e lavoro è di recupero, non soltanto le opere più evidenti, create dall’assemblaggio di oggetti visibili. Le sculture in osso sono ricavate da scarti di macelleria, il legno da tronchi secchi e anche la pietra è per lo più materiale trovato gettato in campagna e proveniente dai ruderi delle vecchie case campidanesi distrutte negli anni ’60. Porto a casa quello che trovo, poi al momento buono decido che farne. Non parto da un progetto predefinito in mente, a me interessa la materia per poi elaborarla con comodo.
Che rapporto hai con la materia? Io ricerco costantemente un dialogo con essa, in particolar modo con il legno che credo sia il più difficile da lavorare. Al legno ho tolto l’anima. Ho scavato cercando di arrivare al suo Io, l’ho spolpato fino all’osso, togliendo tutto il superfluo fino a lasciargli l’indispensabile. È come se scavassi nell’uomo per togliere tutta la futilità e arrivando alla sua essenza. Tra i tipi di legno che lavoro, il ginepro è il peggiore. Il ginepro è una materia selvatica, egoista, che non dialoga con te. Tu devi carpirne i segreti, devi assecondare le sue movenze. Devi scenderci a patti, c’è poco da fare, altrimenti ti imbroglia! Se fai un’azione contro la sua natura, si vendica! Mi è capitato spesso che, a lavoro quasi finito, bastava un colpo di scalpello o di coltello in più perché si rompesse, perdendo così tutta l’opera.
Tra le mie opere preferite, realizzate da Nino Etzi, c’è Maestrale, una scultura in ginepro la cui forma e il profumo mi trasportano in un attimo nelle spiagge sarde del sud Sardegna dove sono cresciuta. Ho deciso quindi di scattarne una foto proprio lì, tra i ginepri secolari, l’elicriso, la sabbia e il mare cristallino e di accompagnarla ad una poesia che lo scultore sinnaese ha dedicato a quel vento che spira forte da nord ovest sulla nostra terra.
SU MAESTRALI
S’intendint chescias
chi passant intra mesu is forras
e is cambus spruppaus
de su maestrali impiedosu.
Funti is chescias
de una solitudini secolari.
Funti is frastimus
de una boxi non ascurtàda.
De un essiri bintu
ma non sottomittiu.
Oi ‘ndi ‘essint puru
de is fabbricas abbandonadas
e de is ischeletrus
nieddus de is narbonis.
… e su maestrali, surdu,
sodigat a sulai.
Poesia di Nino Etzi
MAESTRALE
Sinistri lamenti
passano tra le pietre
e i rami scarniti
dal maestrale impietoso.
Sono i lamenti
di una solitudine secolare.
Sono le imprecazioni
di una voce non ascoltata.
Di un essere vinto
ma non sottomesso.
Oggi escono pure
dalle fabbriche abbandonate
e dagli scheletri
anneriti dai roghi.
…e il maestrale, sordo,
prosegue imperterrito il suo cammino.
Traduzione di Nino Etzi
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Instagram – https://www.instagram.com/nino.etzi
*Francesca Anedda, storico dell’arte