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Dei Beni Culturali: intervista ad Alberto Samonà

La nostra civiltà guarda ormai al patrimonio culturale come ad una grande responsabilità, consapevole della necessità di trasmetterne l’eredità e perciò di custodirlo, di tutelarne la fragilità, di renderlo visibile e valorizzarlo. Ma perché tutto questo avvenga, è necessario anzitutto ‘riconoscerlo’ nelle sue componenti e nelle sue peculiarità, o se si preferisce nella sua identità. La fruizione del pubblico è l’ultimo, benché certo il non meno importante, anello della catena.  Nell’immaginario collettivo non sempre è chiaramente percepito il processo plurale richiesto dalla ‘macchina’ dei Beni Culturali: perché essa lavori a regime – come si suol dire – funzionari di musei e sovrintendenze, di biblioteche, teatri e conservatòri, di ‘parchi’, etc., devono operare di concerto con intellettuali, artisti, artigiani, studiosi, ed assai spesso con tanti studenti universitari e generosi volontari, impegnati in una sinergia che sola consente la realizzazione di esposizioni, visite guidate, concerti, convegni, spettacoli, manifestazioni folkloriche, e così via. Ma come negare che la ‘macchina’ va avanti per inerzia, stenta, o s’inceppa addirittura, senza amministratori competenti? E parliamo di sindaci, di assessori comunali e assessori regionali, di ministri, che incidono sul ‘funzionamento’ bene se, oltre ad esser devoti ai propri compiti, sono dotati di risorse intellettuali atte a servire la comunità in un campo così complesso e delicato; male in caso contrario.

A tal proposito, la redazione Verbum Press ha voluto intervistare Alberto Samonà, Assessore dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana (dal 2020 al 2022), sollecitata dalla sua recente nomina per volontà del Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano nel Consiglio di Amministrazione del Colosseo – uno dei monumenti-simbolo più noti, se non il più noto in assoluto, dell’eredità culturale italiana.

Assessore, lei ha raccolto un’eredità per molti versi difficile, e che l’ha vista avvicendarsi a un predecessore di chiara fama, il compianto prof. Sebastiano Tusa, dopo l’interim del governatore Musumeci. Ci sentiamo di affermare che ha operato brillantemente sul piano della valorizzazione dei siti archeologici e musei (anche piccoli e privati), del patrimonio artistico e folklorico, della letteratura, dell’internazionalizzazione.  Riteniamo che, se avesse avuto più tempo e se avesse ricevuto input fattivi (e collaborazioni) a livello locale, avrebbe fatto di più e sarebbe intervenuto con energia in un settore palesemente in sofferenza, qual è quello del patrimonio librario e archivistico, non sempre adeguatamente custodito, figurarsi valorizzato. Pensiamo nella fattispecie – chiedendo venia per il ‘campanilismo’ imputabile alle intervistatrici – alla Biblioteca Regionale di Messina sacrificata in locali angusti, con l’emeroteca dislocata a distanza di chilometri, e il ‘tesoro’ dei libri in depositi a stento accessibili al personale stesso. Ci chiediamo se l’amministrazione comunale non abbia perso una buona occasione contando solo sulle risorse (economiche e logistiche) rivenienti dalla Regione, purtroppo esigue, e trascurando di valutare il sogno da decenni accarezzato da un manipolo di cittadini idealisti: quello della ‘cittadella della cultura’. Forse, sotto l’egida del comune (o magari della città metropolitana) si sarebbero potuti chiamare ad un tavolo i soggetti competenti e l’università per un progetto PNRR, che tentasse di dar vita a quel ‘sogno’. Ci chiediamo come altri comuni si siano regolati. 

In realtà molte amministrazioni comunali ne hanno approfittato: per esempio riguardo alla misura relativa ai borghi con meno di cinquemila abitanti, le domande sono state tantissime e la Sicilia è risultata, alla fine della selezione, la prima regione d’Italia per ampiezza della risorsa economica destinata dal PNRR, segno che le idee progettuali c’erano e che molti comuni non si sono fatti trovare impreparati.

Sarebbe di grande interesse capire dove e se sul territorio siciliano si sia avuta una corretta applicazione della sua “Carta di Catania”, che avrebbe potuto (e potrebbe) mettere in luce molto ‘sommerso’, al momento negletto e / o a rischio, sia del patrimonio museale, sia di quello librario e archivistico. Abbiamo toccato il tasto dolente della Biblioteca Regionale di Messina, ma anche il Museo Regionale esigerebbe interventi importanti: i depositi traboccano di reperti non collocati e molti – pare –  non inventariati: la razionalizzazione è fuori portata ovviamente fino a che non si procederà ad una classificazione completa e non si troveranno soluzioni idonee per il ricollocamento.

I due decreti che ho firmato e che introducono la Carta di Catania sono attualmente in vigore, ma per la sua applicazione manca ancora un regolamento di attuazione che dovrà essere emanato dagli Uffici Regionali, per cui dopo il mio atto ‘politico’, per farla diventare pienamente operativa occorre un comportamento conseguente che ne dia attuazione. Tuttavia, anche in assenza di questo durante il periodo in cui sono stato assessore sono state diverse le iniziative di musei e istituti culturali che si sono ispirati al contenuto della Carta di Catania, esponendo importanti testimonianze del nostro patrimonio culturale che erano rimaste per anni chiuse nei depositi.

Si faccia presto, dunque, con i decreti attuativi, che consentirebbero l’inventario di  ‘Beni’ ascrivibili a varie tipologie ed epoche, e tanto più che la logica della “Carta di Catania” fu –  lo ricordiamo al lettore – quella della cooperazione nella valorizzazione del patrimonio culturale tra Regione e Istituzioni altre, civili e religiose, o Associazioni ed Enti anche privati, purché in grado di fornire adeguate garanzie per la custodia degli oggetti da inventariare e la competenza degli artefici: a fronte della sempre lamentata carenza di personale delle sovrintendenze, delle diocesi e delle congregazioni – forse questo è il punto più dolente, per il geloso senso di ‘proprietà’ spesso riscontrabile in fatto di Beni religiosi – l’applicazione della “Carta” avrebbe effetti positivi, offrendo per altro notevoli opportunità di formazione ai giovani: prevede infatti di tirocini di studenti universitari, e chissà che non si possa pensare anche a iniziative di scuola-lavoro inserite negli orizzonti del rinnovamento in atto nelle scuole superiori ad opera del Ministro Valditara. Le chiedo a questo punto, dottor Samonà, se a suo avviso anche le associazioni culturali possono in questo lavoro aiutare le istituzioni, e casomai come.

Assolutamente sì. Per esempio – come si è fatto in diversi contesti della nostra Isola – attraverso le concessioni di aree archeologiche da parte dei parchi, finalizzate alla loro piena valorizzazione. I volontari delle associazioni hanno, spesso, un amore e un’attenzione particolare verso i nostri beni monumentali e culturali e dunque, a mio parere, si tratta di buone pratiche che vanno proseguite e incentivate.

Ci dica qualcosa circa la sua costante apertura alle relazioni internazionali: pensiamo anzi tutto alla Grecia, ‘Madrepatria’ e maestra alla Sicilia, prima che a Roma; ma anche al Metropolitan Musaeum, o al mondo accademico britannico, francese, e altro. Non deve essere stato facile, per una serie di ragioni determinate dalla pandemia, dalla scarsezza di risorse economiche, e magari da pregiudizi culturali. Speriamo che il dialogo non si interrompa … E comunque, ci piacerebbe se volesse rilasciare qualche dichiarazione spontanea; gradiremmo un pensiero anche sul ‘ponte’ culturale con la Calabria, che precede e motiva – se vogliamo – l’auspicata costruzione del ponte materiale.  Stretta è stata la sua collaborazione con l’intelligente, vulcanico, Nino Spirlì: mostraste come la tutela e la gestione dei B. C., se indirizzate alla promozione territoriale, possano supportare l’economia.  

Riguardo ai rapporti con la Grecia, quella di riportare ad Atene il frammento del Partenone che si trovava da duecento anni in Sicilia è stata un’operazione per niente facile. Abbiamo attivato relazioni diplomatiche ai massimi livelli con le Autorità Elleniche e lo abbiamo fatto per un anno e mezzo in gran segreto per evitare che un passo falso potesse far saltare l’iniziativa. Alla fine, siamo riusciti a trasferire il cosiddetto ‘reperto Fagan’ al Museo dell’Acropoli di Atene con un’operazione che è stata vantaggiosa anche per la Sicilia, grazie alle relazioni culturali avviate tra il museo ateniese e il Salinas di Palermo, nel quale è arrivata una preziosa statua proveniente direttamente dalla Capitale greca. E inoltre fra le due istituzioni sono nate interessanti collaborazioni destinate a dare i propri frutti. Personalmente continuo ad avere rapporti stretti di cordiale scambio con gli amici greci e con le Autorità della Repubblica Ellenica. Riguardo al ‘Ponte per la Cultura’ avviato con la Regione Calabria quando era presidente della Regione Nino Spirlì, le relazioni sono proseguite ad esempio fra il festival Naxoslegge e interessanti realtà museali calabre. Direi che le nostre due regioni hanno molti aspetti in comune che vanno ulteriormente approfonditi, e rapporti da consolidare ulteriormente: per fare un esempio, un tema comune, a mio parere importantissimo, è dato dalla Sicilia Greca e dalla profonda simbiosi con la storia e l’identità dei territori calabresi della Magna Grecia.

Auspichiamo di coinvolgere lei ed altri intellettuali in una piccola crociata (non certo personale, ma della Consulta Universitaria di Studi Latini) per la tutela dello studio delle lingue classiche nei licei ‘tradizionali’ sopravviventi. Se saranno dimenticate, i dati archeologici e storici non saranno più correttamente interpretati dalle generazioni future. Persino Elon Musk ha spezzato una lancia per gli studi classici, durante un’intervista concessa al direttore Nicola Porro e trasmessa a Quarta Repubblica il 20 giugno c. a.: ed è interessante che lo abbia fatto nel contesto di un monito generale alla tutela della identità italiana, che egli ritiene minacciata dalla pressione della ‘globalizzazione’. È quasi un paradosso, che il monito venga da un grandissimo magnate del Web.

La difesa della lingua greca e della lingua latina è sacrosanta. Così come lo studio dell’antichità classica, che qualche fautore della cosiddetta ‘cancel culture’ vorrebbe decapitare nel nome di un non meglio identificato progressismo culturale, che non è altro che il trionfo dell’ignoranza. Occorre comprendere che per mettere in atto una vera istruzione è necessario che a questa si accompagni una profonda educazione. Educazione che è possibile laddove si valorizzino le radici della nostra civiltà, che risiedono anche e soprattutto nell’antichità classica. La sua risposta rivela la sensibilità di chi, in gioventù, gli studi classici li ha praticati: non si tratta solo di lingue ‘morte’, di storie, di iscrizioni e documenti, ma prima di tutto di valori: democrazia, dialogo interculturale, superamento di pregiudizi di ‘razza’ e genere, ai quali i giovanissimi devono essere educati e che sarebbero resi più accessibili con un rinnovamento dei programmi. Su questo fronte la Consulta sta lavorando molto, e ci aspettiamo che la formazione dei giovani docenti di Latino e Greco – che a dispetto della cancel culture rimane prevista – punti sulla consapevolezza della organicità di questi saperi alla civiltà ‘occidentale’, rafforzando gli European Soft Skills. Ma di questo – magari – vorrà parlarci altra volta. Intanto, ci congratuliamo vivamente per la sua nomina nel CdA del Colosseo, che segnala la meritata stima nella quale la tiene il Ministro Sangiuliano.    

La ringrazio. È per me un grande onore essere stato nominato consigliere di amministrazione del Parco Archeologico del Colosseo direttamente dal Ministro della Cultura, perché vuol dire che ciò che si è fatto in favore del nostro patrimonio culturale non è passato inosservato e anzi, è stato notato e apprezzato ai massimi livelli.

*Rosa Maria Lucifora, docente di Greco e Latino Università degli Studi della Basilicata