Dante dall’eternità, una eredità che si infinita
Dante è stato, e continua ad esserlo, il faro della mia esistenza, non solo da un punto di vista letterario tout court. Il Poeta per eccellenza che, a parer mio, necessita di essere re-interpretato, ma soprattutto ri-vissuto in vista di un nuovo Rinascimento culturale. Una pietra miliare alla quale ciascuno di noi dovrebbe fare riferimento per non perdere di vista la magia della Bellezza, in questo tempo di leggerezza e di approssimazione dilaganti.
È quello che ho cercato di fare nel mio saggio dal titolo Dante ab aeterno che analizza il “pensare” di Dante mediante il pensiero di coloro che gli hanno illuminato il cammino, ma anche di coloro che hanno accolto la sua eredità.
Tra i grandi pensatori, filosofi, teologi che hanno costituito una preziosa fonte di ispirazione, non solo per la Commedia ma per l’intero suo percorso letterario e poetico, vi sono principalmente sant’Agostino, san Tommaso d’Aquino, Gioacchino da Fiore e Boezio.
Autorevoli personaggi i cui echi hanno rappresentato per Dante dei veri e propri archetipi, non solo filosofici e teologici, ma soprattutto esistenziali da far rivivere nella sublimità dei suoi versi. Veri e propri “lampadofori” che, esattamente come Virgilio nella Commedia, hanno illuminato il suo pensiero contribuendo ad accendere in lui la scintilla della genialità.
Ma se queste autorevoli figure hanno simboleggiato per Dante una prestigiosa fonte di ispirazione, a sua volta egli, giungendo dall’”eternità”, ha costituito una immanente rivelazione per coloro che sono venuti dopo di lui.
Tra questi autori ho scelto di evidenziare principalmente i richiami danteschi presenti in Petrarca e in Torquato Tasso, tra Umanesimo e Rinascimento.
Il libro riassume anche i punti salienti del viaggio dantesco nell’Oltretomba, con un’attenzione particolare allo straziante episodio del conte Ugolino, la cui tragica vicenda commosse nel profondo il sommo Poeta, sia in vita che nella versione metaforica mirabilmente raffigurata nella Commedia.
Il rapporto tra Dante e sant’Agostino è stato oggetto di diverse analisi e riflessioni al fine di stabilire i punti in comune tra questi due personaggi. Fondamentale a questo scopo è anche cercare di capire quali libri di Agostino Dante aveva avuto modo di leggere. Oltre a questo è necessario cercare di cogliere quei momenti nella Commedia in cui Dante personaggio parla di Agostino. È importante comprendere che l’immagine di Agostino che emerge nella Commedia è esattamente quella che Dante voleva veicolarci del santo. Noi conosciamo Agostino attraverso Dante.
Nella Commedia sono state individuate 13 citazioni agostiniane fatte da Dante tratte dai principali libri di Agostino: De civitate Dei, Confessiones, De doctrina Christiana, Sermones e De Trinitate.
Nel 24esimo canto del Paradiso (vv. 106-108) Dante sembra riferirsi alle Confessioni di sant’Agostino dichiarando che il solo fatto che il mondo si sia convertito al cristianesimo è un miracolo sufficiente per aderire alla fede e, rivolgendosi direttamente a San Pietro, riprende un passo del De Civitade Dei in cui Agostino spiega quando sia lecito a un autore parlare in prima persona.
Altro riferimento tangibile di Dante alle Confessioni di Sant’Agostino è la ripresa dell’immagine agostiniana del “dare la schiena alla luce” che viene applicata a Virgilio quando, in maniera inconsapevole, volge la schiena a Stazio nel XXII canto del Purgatorio (vv. 67-9).
Nelle Confessioni, Agostino si rammarica del fatto che in giovane età fosse stato attirato dai “desideri malvagi”, ignorando la loro vera natura e di aver voltato le spalle e il viso alla “luce”. Dante deve aver mutuato dal santo il significato divino attribuito alla luce, scegliendo di basare la rappresentazione della realtà ultraterrena del suo poema proprio sulla contrapposizione tra luce e tenebre.
Sembrerebbe che anche la concezione morale sulla quale si base l’intera Divina Commedia, e le severe leggi che la regolano, Dante l’abbia mutuata da Sant’Agostino.
Per quanto riguarda invece san Tommaso d’Aquino, la sua teoria (che prese il nome di “tomismo”) entrò in polemica con gli agostiniani per l’importanza attribuita all’intelletto nel rapporto tra fede e ragione. L’obiettivo del tomismo era quello di conciliare la filosofia aristotelica con la dottrina cristiana. Per san Tommaso la verità della fede è quella che si raggiunge attraverso l’indagine della verità della ragione. Nella Divina Commedia Dante interpreta il pensiero di Aristotele attraverso il pensiero di san Tommaso d’Aquino.
Il tomismo ha di sicuro contribuito a definire l’intera struttura dottrinale e astronomica della Divina Commedia. Quindi un’influenza davvero notevole quella che ebbe san Tommaso per Dante.
Dante si è ispirato al tomismo (a san Tommaso) sia per quanto riguarda il concetto del primato dell’intelletto sulla volontà, sia per quanto riguarda il rapporto tra perfezionamento naturale e grazia divina, così come nell’idea di Dio inteso come causa prima e motore immobile dell’universo.
È proprio all’aristotelismo cristiano di matrice tomista che Dante si ispira per il celebre verso “l’amor che move il sole e l’altre stelle”. La concezione aristotelica di Dio “motore immobile del mondo” si fonde alla concezione cristiana di “Dio che in se stesso è amore”.
Del resto, l’importanza di san Tommaso per Dante si evince anche dalla collocazione che ne fa Dante nella Divina Commedia: san Tommaso si trova tra gli Spiriti sapienti nel IV Cielo del Sole. E sarà proprio san Tommaso a presentare a Dante la ghirlanda di beati che lo circondano partendo da Alberto Magno fino ad arrivare a Sigieri di Brabante.
*Stefania Romito, responsabile per la Lombardia del sindacato libero scrittori italiani