Dalla grande migrazione ai gloriosi giornali per gli italiani nel mondo, oggi in crisi
La seconda metà del XIX secolo e gli inizi del XX, testimoni del processo migratorio transoceanico con carattere di massa, si caratterizzarono per la centralità sul piano storico e sociologico degli studi delle dinamiche nella società, soprattutto durante il passaggio al ‘900.
Un fenomeno migratorio di enorme portata che, a partire dal decennio 1871-1880 determinò negli Stati Uniti, un insediamento di più di due milioni e ottocentomila immigrati dall’Europa Occidentale di cui solo il dieci per cento dall’Europa del Sud. Per passare entro la fine dell’800 a nove milioni provenienti soprattutto dal Sud Europa.
Volendo soffermare la nostra attenzione sulla vicenda migratoria italiana, tra il 1861 e il 1985, dall’Italia presero il mare quasi 30 milioni di emigranti. A caratterizzare il periodo della ‘Grande Migrazione’ la partenza di oltre 14 milioni di italiani nei decenni successivi all’Unità d’Italia (1876-1915).
Di questi circa un terzo sognava il Nord America, alla smodata ricerca di manodopera.
Non erano solo gli strati più poveri della società a partire, spesso senza riserve economiche per pagare il biglietto, tra gli emigranti rientrava anche un folto numero di piccoli ‘possidenti’ che giunti nel paese di destinazione riuscivano a comprare casa o mettere su esercizi commerciali.
Dalla Liguria al Veneto passando per Centro e il Meridione d’Italia, i nostri connazionali seguirono la via transoceanica verso mete diverse per una vita migliore. Le destinazioni più ambite furono gli Stati Uniti ma anche Argentina, Uruguay e il Brasile in un secondo tempo l’Australia. L’avventura veniva programmata, di solito per motivi economici partiva solo l’uomo che, superato il periodo di adattamento, avrebbe atteso successivamente il resto dei famigliari.
Il Nuovo Mondo non fu per tutti, molti morirono prima. La navigazione durava oltre un mese e in condizioni di estremo disagio per i passeggeri di terza classe.
Ellis Island, alla foce del fiume Hudson nella baia di New York, fu l’approdo dei bastimenti di emigranti sottoposti ad umiliante e scrupoloso controllo dell’ufficio immigrazione.
Era pensiero corrente che gli italiani fossero portatori di malattie gravi. Ai controlli non superati seguivano anche tre giorni di cella, una X marchiata sui vestiti e rispedizione al mittente. Per i più fortunati , con in mano i documenti che indicavano ‘white’ ovvero il colore della pelle e spesse volte un punto interrogativo segno del razzismo americano verso gli italiani, iniziava la sfida per l’integrazione.
Entro il 1920 negli Stati Uniti arrivarono popolazioni meno abbienti, non alfabetizzate, più disorganizzate rispetto al passato che crearono preoccupazione e allarme. Considerati ‘invasori’ si innescò un processo lungo quarantadue anni di alternati e continuati provvedimenti legislativi contro l’emigrazione fino al 1924, anno della proclamazione del Johnson Act, che chiuse le frontiere isolando rigorosamente coloro che tentavano di entrare negli States.
A questa premessa, si accompagna la narrazione dello status di immigrato negli Stati Uniti, e nelle due Americhe, emersa dalle documentazioni e ricerche curate da sociologi che impressero carattere istituzionale alla disciplina sociologica, progressivamente sperimentata e raffinata tra il XIX e il XX secolo, sviluppando per essa particolare attenzione come strumento di rappresentazione della realtà.
L’insediamento degli emigranti negli Stati Uniti non fu dunque un processo semplice, considerate anzitutto la scarsa alfabetizzazione, marginalità, povertà e degrado sociale. Il tutto all’interno di un quadro istituzionale e sociale che vedeva forti contrapposizioni tra chi riteneva gli immigrati una risorsa di sviluppo e chi tendeva a respingerli considerandoli socialmente destabilizzanti, un rischio per l’equilibrio della comunità americana.
La difficoltà di esprimersi in lingua inglese per tutte le realtà europee dell’emigrazione e per le italiane creò una sorta di autoisolamento insieme alla necessità di relazione tra le famiglie, lontane dai loro nuclei rimasti nei paesi di origine. Per l’esigenza di stare uniti e mantenere il senso appartenenza alle loro radici gli italiani tesero a formare quartieri con connotazioni profondamente socio-culturali. Gli insediamenti abitativi, di Little Sicily o Little Italy rappresentano uno degli esempi più rilevanti.
Località contigue a New York come Brooklyn, New Jersey e Philadelphia furono forme di aggregazione delle comunità italiane attraverso la riproduzioni di tradizioni, usi, costumi, affiatamento nel vicinato spesso formato da emigrati provenienti da medesimi luoghi della Sicilia, Calabria, Abruzzo, Puglia e altre regioni d’Italia. Mossi dal forte desiderio di stare insieme le comunità di emigranti italiani vivevano con grande spirito di gruppo e solidarietà gli uni con gli altri, rafforzando le radici del passato,.senza mai perdere i legami con la madre Patria.
Nello spirito di una Italia parallela, percepita quasi come dilatazione della Penisola, maturò l’interesse alle dinamiche comunicative fin dal primo periodo della migrazione italiana dell’800. Tante famiglie, uomini donne bambini giovani e anziani che tra le lacrime avevano lasciato affetti, calore, abitazioni, portandosi dietro poche e povere cose custodite in valigie di cartone, dopo il primo periodo di transizione da una esistenza all’altra, uniti da un infinito legame con la loro Terra, iniziarono ad avvertire l’esigenza di comunicare e rilanciare le loro storie tra difficoltà e affermazione al di là dell’Oceano. Il grande desiderio di conservazione della loro italianità, animò la nascita di un giornalismo frizzante poliedrico nei contenuti declinato da numerose testate periodiche e non, testimoni di movimenti umani.
Fin dal periodo risorgimentale e post-unitario tra 1830 e il 1880, avvenne una diffusione editoriale in tutti i paesi dove gli italiani andarono esuli o per trovare lavoro. Ad esordire la stampa dell’esilio, così definiti i primi giornali italiani a quel tempo. Esperienza ripetuta per limitazioni delle libertà durante il ventennio fascista e fino alla fine del secondo conflitto mondiale. Nel New Jersey, Connecticut e New York abitati da vaste comunità italiane, dilagò in quella fase storica, la stampa di fogli quotidiani, settimanali e mensili.
Il ruolo socio-culturale dei giornali per le comunità italiane all’estero è stato e continua ad essere fondamentale. Oltre a mantenere vivo il legame con il paese d’origine, la stampa italica ha fornito uno strumento primario per la ricostruzione storica della ‘Grande Migrazione’. Uno studio sociologico, attraverso le pagine di giornali, forse (le fonti sono incerte) 150 pubblicati negli States tra il 1884 e il 1944, ha messo in luce, il livello di integrazione, modus operandi, fatti, sogni, disagi e successi degli immigrati italiani, approfondendo la più grande storia della migrazione di massa.
L’italo Americano, L’Eco d’Italia, La Libertà, Questione Sociale, Il Progresso Italo-Americano, i fogli italiani più diffusi tra gli italiani negli Stati Uniti. Per le persone trapiantate all’estero, i giornali pubblicati in lingua italiana, oltre a fornire servizi sociali utili rappresentavano una panoramica di avvenimenti politici, economici, di cronaca e cultura che avvenivano in patria.
Negli anni di grande attività, partners del sistema evolutivo economico – imprenditoriale dei progetti editoriali, istituzioni culturali, ma anche sindacati, banche, ordini religiosi.
Oggi, malgrado si registrino sintomi di positiva attività, si è rilevata a partire degli ultimi decenni una contrazione della stampa degli italiani all’estero, molti giornali hanno sospeso la pubblicazione. Tra questi la Voce d’Italia (Venezuela) è stata on-line fino al 2012, il Corriere Canadese ha pubblicato fino al maggio del 2013, Gente d’Italia (Uruguay) fino al 2016. America Oggi (dal primo gennaio del 2016, non viene più distribuito insieme a ‘La Repubblica’ che per mancanza di fondi ha abbandonato la sua avventura americana) rimane l’unico quotidiano italiano stampato negli Stati Uniti, è stato diretto da Stefano Vaccara passato a ‘La Voce di New York’ un giornale indipendente online con sede a New York, che seppur con difficoltà sta mantenendo un ottimo trend di diffusione.
Appartenente ad una corporation privata, di cui Stefano Vaccara è anche fondatore nel 2013, reduce da un recente restyling, La Voce di New York, con il sacrificio di tutti i collaboratori, non escluso il direttore, si fa strada all’insegna dello slogan “Liberty meets Beauty” (la libertà incontra la bellezza) ma come scritto da vaccara nel suo editoriale di fine anno : ‘’Il giornale rischia nel 2020 di non poter più continuare a rispettare i valori con cui è nato a causa delle sue condizioni economiche (…)Finora ha resistito per gli enormi sacrifici di chi scrive queste righe e dei suoi collaboratori, ma così non potrà continuare. (…) il giornale ha mai ricevuto alcun contributo dal governo italiano. Ritengo che un giornale debba poter vivere soprattutto del contributo di chi lo legge’’. Sottolineando la grande crisi che attraversa l’editoria, soprattutto quella indipendente dalle grandi proprietà, il direttore Vaccara evidenzia “il giornale di carta che si mantiene grazie a chi lo compra in edicola è ormai in estinzione, mentre, per le versioni in rete, si continua a credere che tutto debba essere gratis”.
Sull’onda di quanto già accade negli Stati Uniti, Stefano Vaccara auspica allora per ‘’il futuro del giornalismo indipendente, quindi non di proprietà di grandi conglomerati editoriali o di multinazionali con tutt’altri interessi che nell’editoria, debba essere fondato sulla struttura dell’organizzazione “non profit”.
E’ quanto mai certo quanto, l’attività pioneristica della stampa rivolta ai conterranei all’estero, abbia svolto e continua a svolgere un’opera essenziale nell’accompagnare la vita degli italiani nel mondo, rappresentando la loro italianità. Un ruolo efficace che ha mantenuto vivi i contatti tra gli italiani lontani di paesi d’origine, a cavallo di tre secoli.
Un’ulteriore flessione della stampa degli italiani all’estero, indebolirebbe fortemente la diffusione di storia civiltà e cultura propagate tra i continenti.
*Mimma Cucinotta, Direttore responsabile di Paese Italia Press