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Dal Caffè delle Sette Porte al Caffè Gambrinus, una storia lunga più di un secolo

Ne abbiamo parlato con i cugini Michele Sergio e Massimiliano Rosati

Un’atmosfera accogliente, sobria e raffinata e decisamente in controtendenza con l’andamento dei tempi di oggi, è la cifra prioritaria che caratterizza lo storico Caffè Gambrinus, nel cuore di Napoli, a pochi metri da Piazza del Plebiscito e dal Teatro San Carlo, punto d’incontro per significativi appuntamenti culturali del capoluogo partenopeo. Un luogo attivo già dal 1860, anno dell’Unità d’Italia, quando era denominato il “Caffè delle Sette Porte”, poi gli anni brillanti della Belle époque ed infine il tramonto con la dolorosa chiusura durante il ventennio fascista, fino alla vera e propria rinascita che risale al 1973 quando è stato rilevato dai fratelli Sergio, attuali proprietari del locale, che ne hanno curato il pieno restyling fino a farne oggi un luogo di richiamo internazionale, sia per le prelibatezze che vengono servite, dalla pasticceria, alla gelateria e al caffè, e sia per la qualità degli illustri personaggi che si sono avvicendati in questi ultimi cinquant’anni ai tavolini del Caffè.

Ed è proprio dagli esponenti della terza generazione che ha rilevato il Gambrinus, i cugini Michele Sergio e Massimiliano Rosati, che vengo ricevuta davanti ad un fumante cappuccino accompagnato da pasticcini della migliore tradizione napoletana, elegantemente serviti dal personale del Bar, attento ad ogni dettaglio e sfumatura. E la nostra chiacchierata prende avvio da una recentissima notizia che i proprietari hanno l’orgoglio di comunicarmi, quella di aver esteso l’ampiezza del Caffè, avendo recuperato due ultime sale abbandonate da anni e con l’affaccio su via Chiaia. 

Il discorso poi fa un balzo indietro nel tempo, col ricordo della figura di D’Annunzio che fu tra i più assidui frequentatori del locale, ed intorno al quale si snodano vari aneddoti, tra cui la sua “scommessa “fatta con Ferdinando Russo che proprio a quei tavolini lui, pur non essendo napoletano, sarebbe riuscito a comporre una poesia in dialetto “A vucchella” (parola di sua invenzione…) e musicata e cantata negli anni dai più celebri chansonnier.

 E poi il richiamo ad Oscar Wilde, i cui aforismi furono scritti da lui proprio al Gambrinus, quando finita di scontare la pena raggiunse Napoli e frequentava assiduamente i locali dello storico Caffè (siamo proprio alla fine dell’Ottocento) lasciandosi andare, secondo notizie tramandate dalla tradizione, a momenti di vero e proprio soliloquio, in un dialogo costante con spiriti invisibili.

E ancora i continui incontri ai tavolini del locale tra la Serao e Scarfoglio gettando le basi per la fondazione e la nascita de “Il Mattino”.

In epoca più recente il Gambrinus è stato frequentato assiduamente da Cossiga, e con le sue visite si sono aperti i rapporti con le istituzioni e soprattutto si è andato delineando il rapporto tra figure rappresentative e cittadini comuni, così come agli inizi del 2000 ci sono state ripetute visite del Presidente Ciampi, che non accettava che la consumazione gli fosse offerta, ma faceva regolare fila alla cassa per pagare quanto dovuto. E poi le immancabili visite di Giorgio Napolitano e più recentemente di Sergio Mattarella, frequentatori habitué di questa culla di cultura, di tradizioni e di caffè gourmet, caffè speciali divenuti oramai anch’essi dei classici e che hanno certamente contribuito ad elevare Napoli a capitale mondiale del caffè.

Tanti gli aneddoti, i ricordi, i progetti che si alternano nel mio incontro con i proprietari, innumerevoli anche le ambizioni come quella di poter aprire in un futuro non lontano una sede a New York. Insomma un collage di passato, presente e futuro senza mai perdere di vistai capisaldi insostituibili e per molti versi esclusivi della ricca e variegata tradizione napoletana.

*Annella Prisco, scrittrice