VerbumPress

Comunicare la scienza oggi, quali strategie?

L’ obiettivo è sempre quello di favorire lo scambio e la diffusione dei risultati acquisiti

Alla parola scienziato (ora si dice “ricercatore”) nel nostro immaginario è associata l’immagine di un uomo sovente solitario in un laboratorio circondato da alambicchi, provette e ampolle, spesso dedito a discipline completamente differenti tra loro (quali, astronomia e chimica), come lo ritraggono i dipinti del 1500-1600.

No, lo scienziato non è più quello! Lavora in gruppo, spesso davanti a un PC, in laboratori con sofisticate attrezzature che svolgono velocemente analisi che prima richiedevano molti giorni di lavoro di tanti operatori. E’ estremamente specializzato poiché si dedica a una branca di una sola disciplina. Non solo, è uscito dalla sua turris eburnea, per comunicare con il grande pubblico, smentendo, così due grandi pregiudizi: il ricercatore-divulgatore sottrae energie al suo “vero” compito, la ricerca; il ricercatore-divulgatore non è in grado di farsi capire.

Negli ultimi anni una formazione di base in comunicazione è stata considerata necessaria per chi lavora o sta per intraprendere una carriera nella ricerca tanto da richiedere l’istituzione di un corso di laurea ad hoc, quello in “Scienze della comunicazione”, che consente di conoscere i linguaggi della comunicazione d’impresa e della scienza, e il funzionamento di media tradizionali e nuovi. Sono stati altresì istituiti master specifici in Comunicazione Scientifica. In Gran Bretagna, per esempio, la maggior parte dei Research Council offre ai dottorandi alcuni giorni di formazione su comunicazione e media, mentre veri e propri corsi vengono proposti dalle università.

Il primo obiettivo della comunicazione scientifica è sempre stato quello di favorire, nell’ambito della comunità scientifica, lo scambio e la diffusione dei risultati acquisiti e delle scoperte effettuate, per facilitare anche sulla base di nuove collaborazioni ogni ulteriore progresso nei vari campi di ricerca. Tale scopo viene tuttora perseguito con metodi classici come la partecipazione a congressi e, soprattutto, con la pubblicazione dei risultati della ricerca su riviste specialistiche. I comitati editoriali di queste riviste sottopongono il lavoro presentato per la pubblicazione alla “valutazione paritaria” (peer review, in inglese), effettuata da parte di esperti del settore di cui tratta la pubblicazione stessa, i quali ne stabiliscono l’idoneità o meno alla pubblicazione.

Negli ultimi venti anni, ai suddetti metodi, sempre imprescindibili, si sono aggiunti i social network, come “ResearchGate” e “LinkedIn”. 

Il primo, lanciato nel 2008, è un social network gratuito dedicato a tutte le discipline scientifiche nel quale gli scienziati e i ricercatori possono condividere articoli, chiedere e rispondere a quesiti, e trovare collaboratori. Il secondo, nato nel 2003, è attivo nel favorire contatti professionali di singoli professionisti e aziende e nella diffusione di contenuti specifici relativi al mercato del lavoro. 

La conoscenza scientifica può essere divulgata al grande pubblico solo dopo il vaglio della comunità scientifica. E qui entra in gioco la seconda e non meno importante funzione della comunicazione scientifica, quella propriamente detta della “divulgazione scientifica”, diretta a raggiungere con un linguaggio più semplice possibile un pubblico più ampio possibile. Pertanto oggi, anziché essere bollata come una perdita di tempo, la divulgazione viene addirittura considerata come un “dovere”. 

Infatti, se tanti ricercatori finiscono per appassionarsi alla divulgazione della scienza è anche perché hanno dovuto fare di necessità virtù. Il grande paradosso che vive oggi la scienza è quello di avere la funzione di guida (poche altre culture sono capaci di cambiare così a fondo e rapidamente il nostro modo di vivere e di pensare) ma di essere tra le meno diffuse e condivise. Le indagini internazionali, quasi all’unanimità, hanno evidenziato la carenza di cultura scientifica dei cittadini anche nei paesi più avanzati. Una carenza resa peraltro sempre più grave dal continuo e veloce aumento delle conoscenze e delle loro applicazioni pratiche. Non va, inoltre, sottovalutato che le occasioni di attrito fra scienza e società non fanno che aumentare, sia per le conseguenze dell’introduzione di nuove tecnologie, sia per le scelte cui siamo costretti dalle nuove possibilità che ci vengono offerte, sia per l’impatto delle nuove conoscenze su credenze e valori sui quali si basano identità, culture e modi di pensare.

Così, se per i ricercatori fino a poco tempo fa comunicare con la società era un optional, oggi è diventato una necessità. E nessuno, nel mondo scientifico, può più permettersi di ignorarla.

Infatti, le decisioni importanti che riguardano il lavoro degli scienziati non vengono più prese nell’ambito della sola comunità scientifica o del ministero competente, ma sono sempre più spesso il frutto di una difficile contrattazione fra diversi soggetti sociali: i politici nazionali e quelli locali, le imprese e le loro associazioni, i gruppi di interesse, le “autorità morali” e i media. Pertanto, i ricercatori, tramite una comunicazione efficace, devono attirare l’attenzione del pubblico “sensu lato”, informandolo correttamente e acquisendo, quindi, il suo consenso.

L’obiettivo di fondo, per l’appunto, è quello di stabilire con la società un rapporto più profondo e più solido, basato sulla fiducia reciproca. Solo su questa base, si può superare l’inevitabile divario che in qualche misura ci sarà sempre fra chi detiene conoscenze molto complesse e tutti gli altri; ciò anche al fine di fronteggiare eventuali esplosioni di irrazionalità, come quelle a cui stiamo attualmente assistendo (si pensi ai no-vax). La divulgazione scientifica ha, così, anche un ruolo sociale: persone bene informate sono anche cittadini più consapevoli.

Per divulgare la scienza non è sufficiente la sola bontà dell’argomentazione. La comunicazione semplice ma che risulti “emotivamente piatta”, cioè non coinvolgente, non “arriva”. E’ necessario, quindi, interessare il pubblico, appassionarlo, compito arduo in un mondo in cui tutti alzano sempre di più la voce e ricorrono ai sistemi più fantasiosi per farsi udire da un pubblicato “bombardato” da moltissime notizie di diversa natura.

A tal fine, è fondamentale il ruolo dei ricercatori! Anche se la comunicazione della scienza viene sempre più spesso affidata a professionisti, sono sempre i ricercatori il primo anello della catena comunicativa. Ogni scelta fatta all’inizio di questa catena condizionerà tutto quello che verrà dopo, nel bene e nel male. Inoltre, proprio per la natura molto particolare della scienza rispetto ad altri settori, è difficile che un non esperto riesca a padroneggiare il tema con la stessa profondità che ha il ricercatore che ci lavora, o che riesca a vederne tutte le implicazioni, anche future. Il ricercatore, quindi, ha più degli altri i mezzi per impostare correttamente la comunicazione, e a volte anche per farla in prima persona, situazione questa in cui saprà trasmettere anche la passione e l’amore per il suo lavoro! Oltre a diffondere sapere, raccontare la scienza aiuta a far conoscere il valore del pensare scientifico e di un atteggiamento razionale di fronte anche a problemi che con la scienza hanno poco a che fare. 

Ma come si può divulgare la scienza? La divulgazione scientifica ha una lunga storia nella cultura europea. Le opere enciclopediche esistono da circa 2000 anni; la più antica che si è tramandata è Naturalis historia, scritta nel I secolo da Plinio il Vecchio mentre Glossarium Bobiense è una delle prime enciclopedie dell’alto medioevo (476-1000 d.C.). L’enciclopedia moderna si è evoluta dai dizionari intorno al XVII secolo. Tuttavia, la più nota e importante fra le prime enciclopedie della storia è l’ “Encyclopédie” o “Dizionario ragionato delle scienze, delle arti e dei mestieri” curata da Diderot e D’Alembert, la quale consta di ben diciassette volumi di voci ed undici di tavole illustrate, pubblicati tra il 1751 e il 1772. 

Le prime riviste scientifiche hanno invece visto la luce nel 1665 contemporaneamente in Francia e in Inghilterra. Appena tre anni dopo, nel 1668 apparve la più antica rivista italiana, il “Giornale de’ Letterati” di Roma, trimestrale letterario fondato dal bergamasco Francesco Nazzari. A fine secolo, nacquero nella penisola altri Giornali de’ Letterati, ma di indirizzo scientifico più che letterario; i più importanti furono i due redatti da Benedetto Bacchini a Parma (dal 1680 al 1690) e  Modena (dal 1692 ai 1695). 

Tra i singoli divulgatori ante litteram non possiamo non ricordare il nostro Galileo, al quale la chiesa non perdonò proprio il fatto di aver scritto in volgare anziché nel latino sconosciuto ai più.

Va precisato, infatti, che in età moderna (cioè tra la metà del XV secolo e la fine del XVIII),

il latino era la lingua della scienza sia in Italia sia all’estero. In latino scrissero anche i primi scienziati moderni come Copernico, Gauss e Newton. Del resto, la parola “scienza” deriva dal latino scientia, che significa conoscenza. Poi il latino fu sostituito dalle varie lingue nazionali (francese, inglese e tedesco, in primis). Oggi la lingua veicolare della scienza è l’inglese, diventato tale a seguito delle vicende storiche e politiche dell’occidente. Anche se, ancora fino al 2012, la descrizione di specie vegetali nuove per la scienza doveva essere obbligatoriamente in latino.

Chiusa questa breve parentesi di natura storica, si può affermare che la divulgazione scientifica per il grande pubblico si è affermata solo a metà del secolo scorso, quando si poteva contare solo sulla carta stampata, solitamente su riviste di settore e su enciclopedie, queste ultime non sempre alla portata di tutti. Un’opportunità di divulgazione, rivolta soprattutto ai bambini, fu offerta dalla Panini Editore, casa editrice nata nel 1961 per lanciare sul mercato la prima collezione di figurine di calciatori, per la quale è a tutti nota. Pochi però forse ricordano che, oltre al calcio, nella collana “Le grandi raccolte per la gioventù”, la casa editrice nel 1965 pubblicò la raccolta “Animali di tutto il mondo” e nel 1966 quella a tema “La Terra”. Il primo album raccoglieva immagini di animali di molte specie (da me avidamente collezionate!) corredate da informazioni sulla biologia ed ecologia di ogni specie, e il secondo splendide fotografie e disegni di carattere geografico, anch’esse con le informazioni essenziali relative a ogni località.

Per quanto attiene alla televisione, i primi programmi di divulgazione scientifica della RAI risalgono agli anni Cinquanta. I miei coetanei e qualcuno un po’ più anziano ricorderanno Angelo Lombardi, che il 7 febbraio 1956, condusse la prima punta de “L’amico degli animali”, appellativo con cui è tuttora ricordato. In Italia, però, il divulgatore scientifico per antonomasia è Piero Angela, che in quasi cinquant’anni di carriera ha condotto programmi storici e famosi come “Il futuro dello spazio”, “Nel cosmo alla ricerca della vita”, e i celeberrimi “Quark” e “SuperQuark”.  Oggi, i documentari televisivi a carattere scientifico in qualunque disciplina non si contano più, dato il gran numero di emittenti che mandano in onda anche prodotti stranieri, tra i quali ricordiamo soprattutto quelli del britannico David Attenborough, un pioniere del documentario naturalistico ed uno dei massimi divulgatori scientifici a livello mondiale. Per non parlare poi dell’ingresso sulla scena dei di emittenti televisive come Discovery Channel e NatGeo. 

E che dire dei social media? Può la scienza sfruttare la potenza di questi canali di comunicazione? Proprio nella comunicazione scientifica, oggi è impossibile prescindere dai social network. Infatti, 

con l’avvento dei dispositivi mobili (smartphone, tablet, ecc.) e delle “app”, l’utilizzo dei social network è aumentato in tutte le fasce d’età, permettendo a istituzioni scientifiche e a singoli ricercatori su di essi presenti di raggiungere qualunque tipo di pubblico e di qualunque età.
Gli utenti, che aumentano giorno dopo giorno, non sono solo presenti ma parte attiva di essi, su cui condividono e creano contatti giornalmente. Secondo un’inchiesta del 2017 della prestigiosa rivista “Nature”, quasi il 90% degli scienziati usa YouTube, Instagram, Twitter e Tik Tok (oggi appannaggio soprattutto dei giovanissimi ma candidata a diventare l’app del futuro) per motivi professionali, per interfacciarsi col pubblico, per cercare di promuovere la propria ricerca o, semplicemente, per fare divulgazione. I social permettono un’interazione diretta tra scienziati e appassionati, in quanto danno la possibilità di parlare direttamente con gli esperti, senza nessun tipo di filtro. Non vanno, tuttavia, sottovalutati i Podcast, file audio che vengono pubblicati periodicamente online e che possono essere ascoltati in streaming o scaricati in diversi formati, e possono quindi essere seguiti in qualsiasi momento, anche quando non si è connessi alla rete, per esempio durante un viaggio, una passeggiata, e così via. E che dire dei “webinar”, tenuti su specifiche piattaforme e sui social network, che hanno occupato le giornate di lockdown non solo degli addetti ai lavori ma di tutti gli appassionati, trasformandole in preziose occasioni di arricchimento?

Ora esaminiamo brevemente un’altra modalità della divulgazione scientifica, la narrazione. 

Fino a qualche tempo fa, essa ha avuta una connotazione negativa nell’ambito delle scienze perché collegata alla fantascienza, un genere letterario in cui l’elemento scientifico si impone in maniera fantasiosa anche se è rappresentato in maniera non del tutto slegata dalla scienza tanto da essere stato, in certi casi, addirittura anticipatore rispetto ai tempi: pensiamo ai romanzi di Giulio Verne. 

Al contrario di quanto si pensava, negli ultimi anni, la narrazione si è rivelata uno tra gli strumenti più appropriati e potenzialmente più importanti quando si comunicano argomenti scientifici a un pubblico di non addetti ai lavori. Ricerche recenti hanno mostrato che gli argomenti scientifici divulgati tramite narrazione vengono compresi più facilmente e il pubblico li trova più accattivanti. Negli ultimi anni, in Italia e negli Stati Uniti sono stati istituiti master e dottorati in divulgazione della scienza tramite la narrazione. In particolare, la diffusione di argomenti scientifici sotto forma di fiabe, favole e fumetti è a maggior ragione più opportuna quando i non addetti ai lavori sono bambini in età scolare e pre-scolare ai quali non è sicuramente facile fare comprendere determinati argomenti.  

Si è detto della necessità e del dovere di divulgare la scienza ma non si può non considerare anche il desiderio di far conoscere i risultati delle proprie ricerche o, più in generale, del campo di studi nel quale si lavora. Tale aspirazione è assolutamente naturale anche se è taciuta dalla stragrande maggioranza dei ricercatori. È bello, infatti, uscire dai confini della specializzazione e condividere con gli altri le proprie passioni. Ed è estremamente gratificante riuscire a far comprendere argomenti anche ostici ed essere per questo ringraziati.

*Ester Cecere, CNR Talassografico