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Complessità del comportamento umano sociale: le Scienze comportamentali

La comprensione del comportamento umano investe problemi, infinitamente più complessi di quelli presenti nello sbarco dell’uomo sulla luna o nella comprensione della struttura delle molecole complesse.

Robert A. Hinde, etologo studioso del comportamento animale, si è impegnato nello studio del comportamento umano sociale.

Gli etologi di scuola inglese focalizzano la loro attenzione sullo scambio continuo tra fattori genetici e fattori ambientali durante tutto lo sviluppo del comportamento umano sociale.

Hinde rileva l’utilità degli studi comparativi, perché lì dove gli animali sono diversi dall’uomo si possono trovare tracce di comportamenti analoghi in forma semplificata o esagerata che possono giovare a capire gli esseri umani.

D’altra parte la complessità del comportamento sociale umano richiede strumenti di indagine molteplici e sofisticati all’interno di una teoria delle relazioni interpersonali, che possa costituire il punto di incontro tra le varie scienze che si occupano del comportamento.

Comportamento adulto funziona da modello. Laurence Wylie, antropologo, ritiene, secondo i suoi studi, che i genitori francesi, a differenza di quelli americani, scoraggino l’aggressività fisica dei figli.

Secondo l’antropologa E. Bourguignon, l’atteggiamento permissivo e incoerente della famiglia priva il/la bambino/a di precisi punti di riferimento generando insicurezza emotiva, che mobilita a sua volta un tipo di aggressività difensiva.

L’identificazione è stata sempre riconosciuta come uno dei principali inibitori dell’aggressività.

Riconoscere l’altro come uguale a sé non solo impedisce di fargli male, ma stimola anche il comportamento empatico e prosociale.

“ Gli uomini possono essere condotti al bene attraverso la conoscenza, ma solo da qualche parte “ (Wittgenstein), vale a dire la scienza non è sufficiente per fondare una nuova etica.

Ma una migliore conoscenza come comprensione della natura biologica e sociale dell’essere umano è la condizione necessaria per fondare scelte etiche e educative che non contrastino con le potenzialità umane.

Con questa premessa si comprende perché è necessario educare al problema della complessità.

Bisogna, quindi, imparare ad accettare la complessità e la pluralità delle posizioni, poiché è impossibile definire una cosa in sé: “ La materia: corpuscoli o onde?”; infatti l’osservatore condiziona la realtà: – Non posso avere relazione con un altro se non metto in conto la possibilità di conflitto per una percezione diversa della realtà. Non esiste lo “sbagliato”, ma la “ diversità “, perciò non è facile convivere con tante diversità -.

I “ punti di vista “ sono i diversi modi di rapportarsi, perciò non c’è possibilità di dialogo se la persona non riconosce i diversi punti di vista: – Sei mio amico solo se sei uguale a me -.(Monismo Oggettivo)  

   Il suddetto esempio rappresenta una semplificazione molto forte dove il vincolo per l’adulto è l’incapacità di discernere, perciò una soluzione sola è quella giusta.

Secondo Herman Hesse la realtà non esiste, in quanto è una nostra proiezione: – I veri problemi li hanno coloro che credono esista una sola realtà e contro le immagini non si riesce mai a vincere o a perdere -.

Come fare, ad esempio, a non litigare da solo quando ho tanti “ punti di vista “ dentro di me?

Perciò bisogna saper relativizzare il “ punto di vista “.

Come imparare, allora, a contrastare? (Pedagogia del conflitto).

– Il conflitto non è piacevole, ma siccome esiste persino dentro di me, devo imparare ad accettarlo anche fuori di me, gestendolo nel modo migliore -.

Quindi conflitto come:

1) Occasione di Apprendimento Affettivo (La soluzione aggressiva al conflitto è primordiale)

2) Occasione per Strutturare la Libertà di Scelta (Sovente ci si trova a ripetere certe modalità se messi di fronte agli stessi stimoli, per questo bisogna imparare a scegliere)

3) Occasione di Co-Evoluzione (Bisogna imparare a comprendere ciò che sta avvenendo, a decentrarsi per uscire dal proprio “ IO “, da se stessi; disponibili, quindi, a rendere parlabili più cose, anche il conflitto.

L’evitabilità della soluzione distruttiva dei conflitti non può basarsi solo sull’intervento repressivo dell’aggressività, piuttosto esso richiede un complesso processo di apprendimento e di attivazione di norme, di valori, di competenze cognitive e di comportamenti di scelta, tutti orientati ad una dinamica sociale di segno positivo.

Comportamento prosociale (di aiuto). Espressione di norme interiorizzate, la cui motivazione di “ beneficiare l’altro “ costituisce l’unica matrice di tale comportamento.

a) Altruismo: comportamento sociale positivo, spontaneo teso a beneficiare l’altro.(gratuito volere);

b) Empatia: risposta altruistica, la quale si differenzia dal comportamento altruistico, che implica un processo cognitivo di benefici / costi di tale comportamento.

Secondo questa ottica, cioè della presenza di un elemento cognitivo nel processo di attivazione del comportamento sociale positivo è interessante evidenziare alcune impostazioni e teorie:

1) Tensione promotiva: secondo questa impostazione la tensione promotiva sta alla base del comportamento di aiuto, in cui il processo cognitivo consente di percepire il bisogno dell’altro come parte del proprio mondo di bisogni. (Hornstein)

2) Processo di attribuzione dei valori: secondo cui l’attuazione di un qualsiasi comportamento positivo è data da un processo di attribuzione di valori sia di carattere utilitaristico sia di carattere normativo in stretta connessione con la stima di sé.

( Reykowski )

3) Teoria dell’equità: secondo la quale ognuno è consapevole del fatto che se si persegue solo il proprio bene, si troverà a subire un inevitabile danno; infatti, nel gruppo risalta la tendenza a premiare chi si comporta in maniera equa (comportamento equo = valore sociale e, come tale, esigenza universalmente avvertita).

Perché non usiamo le scienze comportamentali? Molti problemi umani potrebbero essere risolti se si rinunciasse una volta per tutte a chiamare in causa le cosiddette “inclinazioni sbagliate” e si incominciasse invece ad applicare ciò che si sa sul comportamento umano.(B.F.Skinner).

La specie umana è emersa trionfalmente nella lunga competizione con altre specie: i suoi membri possono acquisire dei repertori comportamentali di una complessità unica e straordinaria.

Il linguaggio ha rappresentato forse la più grande acquisizione, ed ha condotto l’ambiente sociale in cui si sono prodotte arte, letteratura, religione, legge e scienza.

Grazie alle tecnologie della fisica e della biologia la specie ha risolto problemi di fantastica difficoltà.

Eppure, per quanto riguarda il suo comportamento c’è sempre qualcosa che sembra “andare storto”.

Perché gli essere umani persistono nel fare le cose come le hanno sempre fatte?

I modi di agire radicati pospongono o bloccano ogni progresso verso qualcosa di migliore. I recenti progressi nella scienza del comportamento hanno condotto ad acquisizioni sostanziali nei campi speciali del governo, dell’industria, delle scuole, nelle istituzioni di cura per psicotici, nei consultori familiari e centri di orientamento.

Perché essi non vengono ampiamente accettati per la soluzione dei nostri problemi? Il denaro ha il suo peso perché i cambiamenti comportano delle conseguenze economiche; ma l’ostacolo maggiore è rappresentato dal radicamento di vecchie pratiche: teorie antiquate che sono penetrate nel nostro linguaggio e nella nostra cultura ostacolano promettenti alternative scientifiche.

Quindi non è tanto la complessità del comportamento umano a creare difficoltà quanto la consuetudine tradizionale di cercare delle spiegazioni all’interno del soggetto del comportamento. E’ opinione comune che le persone agiscono come agiscono a causa dei loro sentimenti, stati mentali, obiettivi, ecc.

Una scienza del comportamento deve guardare altrove.

Essa si volge all’ambiente:

L’ambiente che ha prodotto la dotazione genetica della specie, attraverso la selezione naturale, e che poi forma e mantiene il comportamento mediante un altro processo selettivo definito “condizionamento operante”.

Perciò analizzando in che modo l’ambiente esercita il controllo in questi due modi si può incominciare a capire il comportamento e, modificando l’ambiente, a cambiarlo.

Sono numerosi gli esempi in cui la costante preoccupazione per una spiegazione interiore abbia distratto l’attenzione dai dati ambientali, che avrebbe potuto avvicinare la ricerca per la soluzione dei problemi socio-umani.

Ad esempio un sentimento o stato mentale familiare a chiunque è la fiducia; ma essa non è la chiave di niente.

Fiducia è solo una delle centinaia di parole che si riferiscono a sentimenti o stati mentali, termini che per la loro stessa natura sono nemici dell’approccio scientifico.

Nel suo uso psicologico, il termine “inclinazione”ne è un esempio, per cui parlando di inclinazioni si distoglie l’attenzione dal ruolo dell’ambiente.

Se si pensa alla grande dotazione di sentimenti contro la guerra che esiste in tutto il mondo e a quante persone nel mondo vorrebbero fare qualcosa per porre fine alle guerre, “ma in che modo?” si comprende che se qualcosa può essere fatto non è liberando i sentimenti, ma specificando il percorso da compiere onde costruire un mondo pacifico.

Spostare l’epicentro della ricerca dalle condizioni osservabili alla mente degli esseri umani significa abbandonare ogni speranza di soluzione.

Quanto prima saranno abbandonate le spiegazioni del comportamento in termini di sentimento o stati mentali, tanto prima la ricerca volgerà l’attenzione alle condizioni genetiche ed ambientali in cui avviene il comportamento.

La scienza del comportamento ha già raggiunto notevoli traguardi al riguardo per assicurare un successo ragionevole nell’interpretazione, previsione e controllo del comportamento umano.

Qualsiasi rifiuto, nel trarre vantaggio dalle conoscenze già a disposizione della scienza, potrebbe significare la differenza tra la sopravvivenza e la distruzione della specie umana.

*Laura Margherita Volante, sociologa