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Che cosa prevede la riforma Cartabia?

Ne abbiamo parlato con Giorgio Spangher, Direttore della Scuola di Alta Formazione in Intelligence, Security, Investigation, UnitelmaSapienza

Marta Cartabia, l’ex ministra della Giustizia del governo Draghi è la prima firmataria di una riforma del sistema della giustizia che porta il suo nome. La legge, che rientra nelle pratiche riformatorie previste dall’accordo sottoscritto dall’Italia con l’Unione europea nel Piano nazionale di ripresa e resilienza PNRR, mira ad apportare delle profonde trasformazioni nella giustizia penale e nei suoi processi. L’obiettivo della riforma? Ridurre le tempistiche processuali penali per garantire l’equità del processo per tutti gli interessati. Cambierà l’iter processuale penale? La riforma ha visto poi interventi netti e decisi anche sul sistema sanzionatorio e sulla giustizia riparativa.

Il principale proposito intorno a cui ruotano tutti gli interventi della riforma Cartabia è quello di garantire una durata ragionevole del processo per tutte le parti coinvolte. Che ne pensa Giorgio Spangher? L’obiettivo della riforma è sicuramente quello di ridurre i tempi del processo penale, che in Italia è tra i più lunghi rispetto agli altri Paesi europei. Questo obiettivo nella impossibilità di procedere ad una depenalizzazione del carico giudiziario e della possibilità di approvare una amnistia viene perseguito attraverso strumenti processuali di decongestionamento del carico giudiziario. Questo risultato per la riforma viene perseguito, in relazione ai reati meno gravi, quelli che maggiormente appesantiscono il lavoro degli uffici, attraverso regole di giudizio prognostiche sulle possibilità di condanna, sulla base del materiale investigativo, nonché attraverso le previsioni di accesso a decisioni premiali richieste dall’imputato che sono favorite da sconti di pena e misure alternative o sostitutive rispetto al carcere. E’ evidente che il riferito alleggerimento delle fattispecie non gravi destinate a non avere un grande impatto sociale, pur conservando il loro rilievo penale (si pensi alla non punibilità per la particolare tenuità del fatto, che ha tutti gli elementi tipici del fatto di reato, ma che va esente da pena, per la mancanza di proporzionalità anche tra la pena minima e le modalità dell’attività posta in essere dall’indagato: es. furto della scatoletta di tonno nel supermercato) consente di celebrare più velocemente la restante materia oggetto di rilievo penale.

In merito al processo penale la riforma Cartabia punta poi a velocizzarlo, andando ad eliminare tutti gli aspetti che maggiormente lo rallentano e ne aumentano il carico. Cosa ne pensa? Sarà davvero così? Normalmente lo strumento processuale non basta, a struttura invariata ancorché decongestionato. Ci vogliono risorse umane, tecnologiche, organizzazione dell’apparato amministrativo e di cancelleria, informatizzazione della macchina giudiziaria, distribuzione degli uffici sul territorio superando le logiche localistiche, pur significative. Va tuttavia detto che il problema della durata dei processi non può essere il metro della giustizia penale: prima vengono le garanzie del giusto processo. Sotto il giusto processo deve avere per una durata ragionevole che può essere anche non breve. Il discorso non va invertito. Un processo breve senza garanzia, non è un giusto processo.

La riforma Cartabia mira ad una sempre maggiore digitalizzazione del processo penale. Quanto influirà questo aspetto secondo lei? I tempi delle indagini preliminari non sono accorciati con la riforma, restano quelli attualmente vigenti ed non potrebbe essere diversamente. Si è cercato di ridurre i c.d. tempi morti, quelli della stasi processuale, quando cioè, le attività di indagine sono esaurite e sono necessari successivi adempimenti (materiali destinati a far proseguire il processo).

La riforma Cartabia ha stabilito dei limiti di durata delle indagini preliminari. Quali le nuove disposizioni? La riforma cerca di ridurre i comportamenti non corretti di tutti i protagonisti del processo, giudici, avvocati e pubblici ministeri, correggendo l’uso strumentale di alcune previsioni di legge che vengono sfruttate a fini dilatori. Sotto questo aspetto la riforma richiama tutti al senso di responsabilità della questione del processo. Anche l’imputato è chiamato a considerare unitamente al suo difensore che quello è il suo processo nel quale è chiamato ad essere presente ed anche ad esercitare i suoi diritti ed a fare personalmente scelte decisive.

Infine, quali interventi ritiene siano più efficaci? Le regole sono importanti, ma lo sono di più i comportamenti dei protagonisti e dei comprimari. Sotto questo profilo, le sorti della riforma sono legate al fatto che questi comportamenti corrispondano alle finalità fissate dal legislatore. Nell’eventualità invece in cui prevalgano la vischiosità dei comportamenti legati ai pregressi ed al consolidati atteggiamenti del passato, le sorti della riforma volgeranno in senso negativo. Non escludendosi situazioni intermedie questo inevitabilmente inciderà sulla qualità della risposta giudiziaria, con il rischio di sbilanciare il processo penale verso derive efficientiste e non verso una effettività della giurisdizione, ancorché nell’ambito della riconosciuta premialità della risposta punitiva.

*Roberto Sciarrone, direttore responsabile di Verbum Press