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VerbumPress

Carlo Vecce, Il sorriso di Caterina (Giunti, 2023)

Il nucleo ideativo del romanzo, cioè la condizione di schiava della madre di Leonardo da Vinci, non è frutto della fantasia dell’autore, ma delle sue puntuali ricerche nell’Archivio di Stato di Firenze

1452. «Nachue un mio nipote, figliuolo di ser Piero mio figliuolo, a dì 15 d’aprile in sabato a ore 3 di notte. Ebbe nome Lionardo. Batezollo prete Piero di Bartolomeo da Vinci».

A scrivere della nascita e del battesimo di Leonardo, figlio illegittimo di ser Piero da Vinci, giovane avviato alla «onorata carriera da notaio e l’accesso agli uffici pubblici» è, dunque, il nonno paterno che con diligenza riporta i nomi dei presenti sul vecchio protocollo notarile di famiglia. 

Ser Antonio, però, non scrive nulla su Caterina, la madre di Leonardo. Non scrive nulla perché nulla può dire di lei. Caterina, infatti, è una schiava, tenuta come balia nel palazzo del cavaliere fiorentino Francesco Castellani. Una schiava del Levante, «di buon sangue», proprietà di una donna fiorentina che, quando l’ha scoperta gravida per la prima volta, si è sbarazzata del bambino e ha affittato la ragazza per fare allattare la figlia di quel cavaliere. 

Rimasta incinta per la seconda volta, Caterina è fuggita con Piero da Firenze, per tenere con sé quel figlio loro. Questo, però, è un fatto molto grave, come ben sa ser Antonio: «Rapire una schiava o ingravidarla è considerato dalla legge fiorentina un delitto contro la proprietà. Ci sono multe pesanti e il colpevole dovrà pagare le spese del parto […]. Il bambino, anche se figlio di schiava, nasce libero e figlio di Piero. Ma […] chi rapisce o nasconde schiave per più di tre giorni contro la volontà del padrone, e questo potrebbe essere proprio il caso di chi nasconde la nostra Caterina, può essere condannato a morte per impiccagione […]; chi entra in casa d’altri per giacere con una schiava, e questo è giusto il caso di Piero, può avere una multa di mille lire, somma enorme per la quale non ci basterebbe vendere tutte le nostre proprietà, e allora Piero finirebbe a morire alle Stinche».

Basterebbe questo per fare del romanzo di Carlo Vecce, Il sorriso di Caterina. La madre di Leonardo (Giunti, 2023) un’opera di risonanza internazionale. Perché il nucleo ideativo del romanzo, cioè la condizione di schiava della madre di Leonardo da Vinci, non è frutto della fantasia dell’autore, ma delle sue puntuali ricerche nell’Archivio di Stato di Firenze. È qui, infatti, che Vecce, tra le Ricordanze del cavaliere Francesco di Matteo Castellani e i protocolli di ser Piero da Vinci, ha rintracciato l’atto con il quale questi, nella propria veste di notaio, il 2 novembre del 1452 registra e certifica la liberazione della schiava circassa Caterina filia Jacobi

Ma Carlo Vecce ha realizzato una narrazione ben più ampia e più libera, che spazia dal patrimonio dalle saghe dei popoli caucasici alla storia della navigazione, del commercio e dell’artigianato tra Venezia e Costantinopoli e, ancora più a Est, fino alla Tana, ultima colonia veneziana alla foce del Don. Una narrazione che ci fa sentire il vento sul viso della piccola Caterina quando, libera, corre a cavallo sugli altopiani del Caucaso; ci mostra la ferocia della caccia tribale, d’animali o d’uomini che sia; ci fa seguire i mercanti veneziani nei fondaci in cerca di avorio, seta, oro, argento e giovani schiave come Caterina; ci porta con il comandante sul cassero di poppa delle navi, mentre i marinai sul ponte, sul sartiame o sulla coffa, sono pronti alle manovre; ci fa giungere a Venezia, tra artigiani capaci di battere l’oro per renderlo una foglia sottilissima e schiave circasse che intrecciano a essa una trama di fili di seta e realizzano meravigliosi tessuti di raso, broccati e damascati.  

Pagine avvincenti, che evocano contesti ricchi di fascino, lontani nel tempo e nello spazio. Pagine attraverso le quali Carlo Vecce, tuttavia, ci dice chiaro «che il mondo di oggi ha molte più barriere e muri del mondo di Caterina»; che «la realtà brutale di una schiava adolescente […] è uno scandalo che da solo basta a mandare in frantumi l’intera civiltà europea e occidentale»; che Leonardo è italiano solo a metà e che «la civiltà italiana non esisterebbe se qualcuno avesse chiuso i nostri porti».    

*Raffaele Messina, scrittore