Antonio de Curtis, Il Principe poeta
Tutte le poesie e le liriche di Totò (Colonnese, 2018)
A pensarci bene, lo straordinario successo del personaggio di Totò non sempre ha giovato all’apprezzamento di Antonio de Curtis come autore di poesie e di testi per canzoni, poiché, da un lato, ha fatto concentrare l’attenzione del grande pubblico su poche opere famose (’A livella, per la poesia; Malafemmina, per le canzoni); dall’altro, ha determinato il proliferare di pubblicazioni affrettate quando non propriamente ‘pirata’.
A contrastare questo stato di cose giunge ora la bella raccolta, Totò. Il Principe poeta (2018), curata dalla nipote Elena Anticoli de Curtis e da Virginia Falconetti per i tipi di Colonnese editore: un volume filologicamente sorvegliato e innovativo da punto di vista editoriale.
Dal punto di vista filologico le curatrici garantiscono di avere trascritto i testi dalle “carte originali”, conservate dalla nipote Elena, e di avere operato anche una ricognizione accurata del materiale autografo esistente, rinvenendo ben cinque poesie finora rimaste inedite. Dal punto di vista editoriale, il volume si presenta corredato di fotografie d’epoca e d’illustrazioni che riproducono spartiti musicali e copertine di dischi. Inoltre, la presenza di numerosi QR code consente al lettore di ascoltare, attraverso il proprio telefonino, la versione originale delle canzoni e le poesie recitate dallo stesso Autore.
Le oltre settanta liriche che costituiscono il corpus di Antonio de Curtis, prevalentemente in dialetto napoletano, sono state suddivise dai curatori in cinque sezioni tematiche: Napoli, Le donne, L’Amore, Gli animali, Uomini e caporali. Ne emerge è la parabola di un uomo che da bambino ha patito la carenza dell’affetto materno e l’umiliazione di essere nato da una relazione clandestina; che da ragazzo ha osservato da vicino, nei vicoli del popolare rione Sanità di Napoli, il dilagare della miseria e dell’ingiustizia; che da giovane ha già assorbito le realtà della precarietà e della morte, levatrici di quella carica ironica che gli ha poi consentito di esorcizzare entrambe. C’è Napoli, la sua gente e i suoi paesaggi; c’è l’amore, quello che coglie “all’intrasatta”, energia vitale che riempie e sconvolge la vita. Ma, soprattutto, c’è la denuncia dell’ingiustizia, dei prepotenti, dell’ipocrisia, del perbenismo di facciata. Perché quella di de Curtis è certamente una poesia ricca di sentimento, ma è innervata anche da profonde istanze esistenziali ed etiche, come in Riflessione: «’A verità vurria sapè che simme / ’ncopp’ a ’sta terra e che rappresentamme: / gente e passaggio, furastiere simme; / quanno s’è fatta ll’ora ce ne iammo!»
Tra gli aneddoti che è possibile rinvenire spigolando tra le pagine del volume, mi piace segnalare quello relativo alla passione per gli animali. Una passione che lo indusse a finanziare un intero canile con una cospicua somma di denaro. A una giovanissima Oriana Fallaci che gli chiedeva cosa se ne facesse di duecentoventi cani, così rispose: «Me ne faccio, signorina mia, che un cane val più di un cristiano. Lei lo picchia e lui le è affezionato l’istesso, non gli dà da mangiare e lui le vuole bene l’istesso, lo abbandona e lui le è fedele l’istesso. Il cane è ’nu signore tutto il contrario dell’uomo».
Una risposta in apparenza leggera, ma che, in realtà, apre uno squarcio sugli aspetti più profondi e contraddittori della sua personalità: dalla gelosia ossessiva nei confronti della moglie Diana alla più generale misantropia. Uno squarcio, insomma, sugli esiti di traumi forse mai superati.
*Raffaele Messina, scrittore