Angelo Coccaro, Storie, cunti e racconti, (Edizioni Etabeta, 2019)
L’autore mette in prosa una serie di ricordi personali e di ‘cunti’ assorbiti durante l’infanzia, proprio con lo scopo di preservarli dall’oblio
La salvaguardia dell’ambiente ha mille sfaccettature. Non è limitata alla pur cruciale elaborazione di modelli economici sostenibili, cioè finalizzati alla salvaguardia e al recupero dell’ecosistema naturale. Si tratta anche di recuperare e salvaguardare la memoria di ambienti antropici, di comunità e culture dei secolari insediamenti umani del nostro Appennino, ormai abbandonati, e dei tanti borghi che possiamo ancora salvare dallo spopolamento.
In questo ambito, un contributo giunge anche dalla produzione letteraria, sulla scia del pioneristico romanzo di Carmen Pellegrino, Cade la terra (Giunti, 2015) sui borghi disabitati e le rovine degli antichi insediamenti. Romanzo fondativo di una ‘scienza dell’abbandono’ che si pone come forma di recupero alla coscienza del vissuto storico dei luoghi stessi.
Un contributo orientato in analoga direzione ci viene da Angelo Coccaro il quale in Storie cunti e racconti (Edizioni Etabeta, 2019) mette in prosa una serie di ricordi personali e di ‘cunti’ assorbiti durante l’infanzia, proprio con lo scopo di preservarli dall’oblio e dalla irrimediabile perdita. La copertina presenta una bella fotografia in bianco e nero dei tetti di Piaggine (SA), piccolo comune di un migliaio di abitanti, nell’entroterra cilentano, con le fila di tegole in terracotta bene allineate. Nelle pagine interne, invece, otto racconti brevi, quasi appunti in punta di matita d’intrecci che debbano poi attendere successivi sviluppi. Racconti di storie risalenti ai primi del Novecento: un brigante che torna in paese e si lascia arrestare pur di assistere al matrimonio della figlia quindicenne; un vecchio reduce della campagna d’Etiopia, il quale tiene insieme il culto per Mussolini che lo ha mandato in guerra a diciotto anni, con quello del santo patrono che gli avrebbe salvato la pelle; la competenza d’un «anziano mastro muratore» e le braccia dei giovani del paese che si rimettono alla sua guida per restaurare le capriate e i soffitti lignei della chiesetta seicentesca, crollati col terremoto.
Insomma, racconti capaci di restituire l’odore della legna bruciata che ristagna nei vicoli; il profumo dei salumi e dei formaggi appesi a stagionare nelle cantine; il tepore della luce dei camini, amica fedele nelle fredde sere d’inverno.
*Raffaele Messina, scrittore