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Angelina

Mi chiamano Ngelina, al paese o Angelina, dipende. Sono una donna istruita, anche se il dottore dice che sono schizofrenica. Avrei voluto vedere voi se il vostro fidanzato fosse partito per la guerra, senza tornare più. Io l’ho aspettato, per qualche anno. Ho sofferto così tanto che il cuore mi sanguinav .  E poi il mio cervello ha preso un’altra strada e si è scavato un angolino tutto per sé. 

Da qui vi vedo tutti mentre vi affannate per cose senza senso. Anche ora che si avvicina la notte di Natale. Tutto il paese è più agitato di me. Ieri ho visto una banda di ragazzini che andava a far muschio, su quel lato della montagna dove dura di più la neve, e dove nasce il fiume, e l’acqua fa una cascata così grande che nemmeno il ghiaccio riesce a fermare. Correvano i ragazzini, e anche io mi sono messa a correre insieme con loro. Hanno fatto tante cassette di legno piene di muschio, sì quello verde verde che sembra ha delle stelline sopra. E avevano mani piccole che erano diventate rosse per il freddo, ma ridevano contenti. Mi piacciono i bambini perché gridano e urlano e giocano sempre, un po’ come faccio io quando il vento freddo, la tramontana mi entra proprio dentro la testa e mi scompiglia i capelli. Ah, lo so bene che non sono più bella ma allora ero un fiore di ragazza e tutti mi volevano. Ma io amavo solo lui, e quando è partito per la guerra è come se mi avessero strappato un pezzo di muschio dal cuore. Anche con quello ci avranno fatto il presepe, pieno di statue congelate e di divise verdi. Con i vecchi non ci vado d’accordo. Mi guardano e si toccano la testa, proprio qui vicino alla tempia, quando provo a raccontare della guerra, spalancano gli occhi un po’ preoccupati dietro gli occhiali spessi, ma non parlano. Dicono eh, sì, certo, proprio così ma con me non ci parlano. 

I ragazzi sono più allegri, aiutano gli uomini a cercare legna per il fuoco di Natale. In questo paese, la sera di Natale accendono un grande falò, in piazza. Per riscaldare il bambino, dicono. Ma io so benissimo che il bambino è di porcellana, non è mica un bambino vero come quelli che scherzano e ridono con me. Come potrebbe avere freddo?  Io ci vado in chiesa, la notte di Natale perché ci vanno tutti. Ma ci sto poco perché ho addosso una gonna leggera, non ho le calze e i maglioni non bastano. Così me ne ritorno fuori a scaldarmi davanti al fuoco. Che bello quel grande fuoco nella piazza che dura tante ore. Un bel falò ben fatto: attorno ci sono pezzi grandi di legna e invece in mezzo legnetti e zeppi. Dura, dura quel fuoco, fino a dopo la mezzanotte e le scintille salgono verso il cielo nero nero per confondersi con le stelle. Io me ne sto lì a scaldarmi, si sta bene. Stropiccio le mani e mi godo quel calore. Poi verrà il sacerdote a benedire il fuoco, poi tutti rientrano in chiesa. 

Io abito proprio vicino la chiesa, per fortuna, perché poi tutti escono e prendono un tizzone del fuoco benedetto per riportarlo a casa. Ma quando se ne sono andati proprio tutti e la brace continua ancora a fumare, in un secchiello di metallo raccolgo tutto il carbone e I pezzetti per portarmeli a casa, così ho caldo tutta la notte. 

Le donne in questi giorni invece stanno a far dolci e il profumo si sente in giro per tutti I vicoli. Se entro in qualche cantina mi lasciano sedere su quelle sedie di paglia. Io chiedo poco, un po’ di vino, e una ciambella. Quella con I semini di anice nell’ impasto. Ma fanno anche i ciambelloni e i pangialli, i salami di cioccolato. Quelli non li posso mangiare perché sono troppo duri per i miei poveri denti. Ma ho le gambe magre e svelte, non ci metto niente a salire e scendere queste scalinate di pietra, anche con la neve. E mica sono una signora di città, io, le conosco quelle signore, ci sono stata a servizio e camminano piano piano sui tacchi. Questi sono invece scarponi da montanara e ci cammino   su tutto, anche sul ghiaccio. Certo che sono stata a Roma. Da lì è partito il mio fidanzato e l’ultima volta che l’ho visto stava al finestrino del treno, con altri quattro che cercavano di affacciarsi.  “Angela, Angela, quando torno ti sposo” mi ha detto. E io ho aspettato. Disperso, dicevano tutti quanti.  Non ho mai saputo se era andato in Russia, a morire di freddo, in mezzo a quella neve, come qua. Ma quando ci sei nato in mezzo alla neve, la neve è una mamma.  Certo che io vivo sola. Non sono vedova e non mi hanno dato nemmeno la pensione della guerra. Ma che me ne importa, allora. Io posso andare pure dietro agli zampognari.  Pure loro vengono da lontano, questi giorni e si sente per i vicoli la bella musica.  Sembrano le pecore quando tornano dai prati, o le mucche quando chiamano disperate i loro vitellini. Ogni mucca ha un campanaccio al collo e dondola, dondola, come la musica dei zampognari, come la neve quando comincia a cadere. Dondola, dondola e allora non c’è più tramontana e c’è solo silenzio anche in tutto il paese, e si dorme, si dorme. 

Chiedo sempre a tutti se conoscono Nicola.  Non sanno niente, nessuno lo conosce e mi regalano qualche soldino. Dentro la chiesa fanno il presepe con le statue grandi che sembrano vere. Anche lì c’è uno zampognaro che, se metti 5 lire e dai la corda, comincia a suonare. Ci consumo i soldi perché mi piace sentire quel suono che sembra un campanellino in mezzo alla neve. A Roma una volta, aveva fatto la neve e quei signori di città scivolavano e cadevano come le mucche quando nessuno le controlla e salgono sulle scalinate lisce di pietra.

Io volevo rimanere a Roma. Mi ricordo che ci stavo così bene, ma poi un campanello mi suonava nel cervello e non sapevo più tante cose. Non mi ricordavo più. Allora mi hanno riportato al paese. Nel presepe ci sono le luci rosse e viola che si accendono e si spengono. E poi ci sono delle pecore che sembrano vere, fatte di lana. E poi ci mettono i pastori con gli agnelli in collo. La mucca e l’asino   sono proprio quelli di qua. L’ asino è alto e nero, mentre la mucca    bianca sembra tranquilla e se ne sta accovacciata. Poi ci mettono degli alberi strani che io non ho mai visto. E tutto il muschio, tanto muschio come un prato. Con la carta dei pacchetti di sigarette ci fanno il laghetto. Poi dicono che sono matta io, invece di metterci l’acqua.

Come giù al fiume. Lì c’è il lago e soprattutto in primavera, quando la neve si scongela, arriva tanta acqua che il fiume esce fuori dalla sua strada e arriva sulla strada dove passa la corriera. Ah, io la prendo qualche volta la corriera. Gli autisti sono gentili e non mi fanno pagare il biglietto. Ci vado alla fiera, ma solo il giovedì. Mi piace la confusione e l’arrotino che mi rimette a posto le forbici e i coltelli. Anche nel presepe c’è un arrotino, ma dico io come è possibile che dove è nato Gesù ci sono gli arrotini. Poi c’è anche un fornaio che ha il forno con una luce rossa. Ma questo è vero perché quando fanno il pane, il forno è così caldo e i mattoni diventano tutti rossi; anche il pane appena sfornato ha la crosta rossa, calda e buona. C’è il cane, con le pecore nel presepe. Ma non sono come i nostri. Qui i cani sono tutti bianchi, sporchi e pieni di fango e di pulci, e guai se ti avvicini al gregge quando ritornano alle stalle, ti abbaiano così forte e ti fanno vedere i denti, meglio se te ne vai, quando passano. Mi fanno paura, me ne sto ferma da un lato, non scappo perché è pure peggio, ma loro abbaiano e abbaiano fin quando Giovanni o Raimondo non li richiamano. Il presepe ci vuole tanto per costruirlo, ci lavorano i giorni e tutti parlano. Allora vado anche io a vedere. Mi metto in uno di quei banchi di legno della chiesa, tanto non ho nulla da fare e almeno sto in compagnia. 

Qualcuno va in montagna a tagliare l’albero di Natale. E lo riporta sulla spalla, uno per ogni casa. Non deve essere tanto grosso però. Poi ci mettono fiocchi di ovatta per dire che è la neve. Ma quale neve, la neve non è così, io la conosco bene, quelli non si sciolgono e poi sono bianchi bianchi. La neve invece si sporca subito, se non attacca. Diventa grigia e marrone e poi fa una crosta di ghiaccio che dura mesi, se gela.  E ci mettono pure appesi, i mandarini e le arance, e non li puoi mangiare. Li lasciano appesi fino alla befana. Poi la sera, fanno quella cosa strana che urlano i numeri. Chissà che piacere ci trovano a urlare quei numeri. Stanno tutti zitti, mentre urla uno solo, quello che ha davanti la cartella più grossa e i mucchietti dei soldi. Stanno tutti zitti, come in chiesa. E guai a fare rumore o a muoversi perché si muovono i fagioli o il granturco che hanno messo su quei fogli di carta pieni di numeri. 

Quando vado al negozio del paese, non pago mai niente, ma loro segnano tutto su un quaderno coi quadretti. Poi passava mio fratello a pagare. E non è che si metteva a litigare come fanno questi per i ceci e per il granturco. Quando suonano le campane a mezzanotte escono tutti dalle case e vengono a messa. E ci sono proprio tutti, pure le creature portano, che con quel freddo gli vengono le guance rosse rosse e viola.  La vecchietta che abita in cima al paese porta un recipiente con i carboni dentro, per scaldarsi le mani. Pure io l’ ho fatto e mi si sono bruciati i vestiti e allora l’ho buttato, tanto a che serve. Io non ho freddo, e non ho fame. Certe volte non ho nemmeno sonno e parlo da sola tutta la notte. Tanto non mi sente nessuno. E qualche volta mi ricordo anche di Nicola, ma non sempre. Mi sembra di ricordare come mi chiamava “Angelina, Vieni qui Angelina”. E se sto a dormire mi sveglio ma lui non c’è, e allora continuo a parlare con lui, con mia madre che pure lei non c’è più e con mio padre , che pure loro se ne sono andati lontano, a vivere da un’ altra parte. Mi sono così abituata a stare da sola che se mi alzo e non accendo nemmeno la luce, faccio come i gatti che si muovono al buio. Tanto so benissimo dove sta tutto, tranne certi notti che non mi ricordo più dove sta la finestra e la porta. 

Ma poi piano piano mi metto a pensare e i ricordi ritornano. Vorrebbero portarmi da un’ altra parte , dicono   il medico e il sindaco. Ma io voglio rimanere qui. 

Le donne del paese dicono che la notte di Natale tornano gli sperduti a farci visita. Per questo, voglio rimanere qui. A sentire le campane nella notte di Natale. Sentite come suonano? Sono allegre.  Suonano anche per me, mi chiamano: “Angelina, Angelina…”.

*Patrizia Tocci, scrittrice