A Santa Maria di Monteoliveto la Natività più antica di Napoli
L’avvio della costruzione di Santa Maria di Monteoliveto risale al 1411 su un terreno di proprietà dei monaci benedettini
Le luci del Natale accendono le strade della città, la festa laica gareggia con la celebrazione dell’evento cristiano che ha segnato profondamente la storia dell’umanità, tanto che ogni forma d’arte antica e moderna ha voluto attingere al racconto delle Scritture come a una fonte inesauribile di forme, colori, significati. Se la prima raffigurazione della nascita di Gesù è quella che compare nel sott’arco di un arcosolio della Catacomba di Priscilla a Roma, risalente al II secolo, la più antica Natività napoletana si trova nella chiesa di Santa Maria di Monteoliveto, oggi chiesa di Sant’Anna dei Lombardi. L’opera orna l’altare della Cappella Piccolomini, monumento funebre dedicato alla sepoltura di Maria d’Aragona. La donna, morta di parto a soli vent’anni, era figlia naturale di Ferdinando I di Napoli e moglie di Antonio Todeschini Piccolomini nipote di papa Pio II e fratello di papa Pio III, che ottenne come dote maritale il titolo di Duca d’Amalfi. Il Piccolomini dall’amatissima consorte ebbe tre figlie e per diversi anni rifiutò di risposarsi, in un’epoca in cui il matrimonio era piuttosto uno strumento di alleanze politiche ed economiche.
L’avvio della costruzione di Santa Maria di Monteoliveto risale al 1411 su un terreno di proprietà dei monaci benedettini. La chiesa era affidata alla Congregazione Olivetani, ovvero una costola dell’ordine benedettino, nata a Siena per opera di san Bernardo Tolomei. Fu con Alfonso I che gli olivetani di Napoli acquisirono grande impulso e la chiesa andò trasformandosi in un imponente monastero articolato su quattro grandi chiostri oggi perduti, orti e biblioteche. Un vivace centro religioso toscano nel centro di Napoli, punto d’aggregazione della folta comunità di mercanti, maestranze, banchieri.
Di origine senese il Piccolomini non poté che ordinare la realizzazione della cappella funebre della moglie a maestri toscani. Ad iniziarla, intorno al 1475, fu Antonio Rossellino ed a terminarla, dopo la morte di questi nel 1479, fu Benedetto da Maiano esponente di una famosa famiglia di intagliatori e scultori che risiedette a Napoli dal 1485 al 1489. Fiorentino fu anche il modello: la Cappella del Cardinale del Portogallo nella Chiesa di San Miniato al Monte a Firenze, anch’essa olivetana, dove Antonio Rossellino e il fratello Bernardo operarono e che venne consacrata nel 1466.
Nella cappella, una piccola nicchia mostra, raccolte ai due lati, una coppia di tende, come una scena teatrale in cui il sipario è appena sollevato. Maria d’Aragona vi giace distesa su un drappo posto sul sarcofago, retto agli estremi da due putti seduti sul bordo. Due angeli posti sopra la grande mensola alle spalle della defunta reggono altrettanti lumi. L’arco accoglie alla sua sommità un tondo sorretto da due angeli che circonda una madonna con bambino benedicente. Tutto l’ambiente esprime raffinatezza ed “estrema purezza visiva, nel quale gli elementi architettonici, scultorei e decorativi sono in perfetto equilibrio fra di loro”. Di fronte al sepolcro un seggio marmoreo e sull’altare una pala con un vero e proprio presepe scolpito in marmo con una tecnica donatelliana risorgimentale detta dello stiacciato, usata dagli artisti del Rinascimento per indicare quella specie di rilievo bassissimo che intende dare una riduzione in prospettiva del volume reale dei corpi, conseguendo così un valore pittorico, esaltando i contorni delle figure che adorano il Bambin Gesù.
La scena è divisa in tre momenti. Il Bambino è adagiato sopra una mangiatoia realizzata alla stregua di un cesto di vimini intrecciati. L’asinello con la bocca porta vicino al Bambino dei legnetti mentre dalla parte opposta il bue volte il capo in direzione dei pastori che stanno arrivando. A destra, sullo sfondo, c’è l’annuncio ai pastori che guardano in alto distratti dalla confusione che proviene da una corona di angeli festosi. Un putto li sgrida invitandoli a proseguire il cammino, Nella capanna la Madonna, in ginocchio a mani giunte, è in adorazione del Bambino mentre San Giuseppe, un po’ più distante, è seduto e si abbandona al sonno, allusione al sogno della fuga in Egitto.
Un ‘istantanea della Natività gioiosa ed elegante che veglia sulla giovane duchessa che pare dormire. La sacra Famiglia, angeli, profeti, Sibille, i Santi Giacomo e Giovanni, tutti vigilano sul suo sonno. Persino il pavimento, un colorato tappeto marmoreo lavorato in opus sectile, ereditato dalla tradizione romana, con le sue fughe sinuose sembra avere un senso misterioso, un labirinto senza uscita capace di confondere gli spiriti maligni che si rincorrono e si perdono senza riuscire a raggiungere l’anima della sfortunata Maria d’Aragona, il cui destino fu comune a tante donne dell’epoca: perdere la vita per donarla a un figlio. L’Arte, mirabilmente, interpreta il mistero della vita e della morte, i simboli del Natale ci spingono, nostro malgrado, a meditare:
“Nonostante il consumismo esasperato, l’opportunismo, la falsità e l›ipocrisia da parte di molti – scrive il poeta Jean-Paul Malfatti – Natale è ancora un momento magico ed intenso che ci aiuta a riflettere sulle conclusioni troppo affrettate e su certi insulti, litigi e sconfitte che potrebbero essere evitati”.
*Fiorella Franchini, giornalista