La forza generatrice del colore nelle opere di Cristina Correnti
Verbum Press ha intervistato Cristina Correnti, pittrice palermitana che non ha dubbi: attraverso l’arte si può immortalare la bellezza, così come il disagio, la sofferenza, la felicità, semplicemente la “VITA” nelle sue sfaccettature.
“Tutte le ricerche per ogni artista sono una forma esorcizzante, quindi apotropaica, delle proprie debolezze. La mia partecipazione sta nel dipingere quadri e realizzare installazioni” Cristina Correnti.
Ciò che colpisce maggiormente, ammirando le opere di Cristina Correnti, è lo straordinario uso del colore, denso, maestoso, che si sostituisce prepotentemente al disegno. Cromie intense, alle quali sembra essere affidato un messaggio preciso, che supera la razionalità e il reale per giungere alle corde più profonde dell’istinto e dell’inconscio. Quel blu, rosa, carminio, porpora, ocra -come “parole visive” raccontano di un’energia cosmica, primordiale, richiamano il flusso della vita e della sua straordinarietà e bellezza, ma anche del dolore che ogni esistenza porta con sé’. Tonalità vibranti, che ricordano la pittura di Matisse nella sua “Danse”, o Paul Klee, l’artista che del colore ha fatto la propria voce. Nel gesto pittorico/creativo dell’artista palermitana la sofferenza, la paura vengono esorcizzati e trasformati in qualcosa di unico e irripetibile, come la natura e il suo ordine ciclico, la sua forza istintiva, primitiva e generativa ma anche la nostra Storia.
Cos’è l’arte e perché fare pittura oggi?
Vivere con la consapevolezza che attraverso l’arte si può immortalare la bellezza, così come il disagio, la sofferenza, la felicità, semplicemente la “VITA” nelle sue sfaccettature è così incredibilmente viscerale, che ho dedicato gran parte di me stessa a studiarne i codici, il linguaggio, la struttura. E’ uno studio accurato, attento ed è in divenire, mi allontana dalla caducità, mi espone, mi rende vitale. Quindi alla domanda cos’è l’arte non posso che citare uno storico che disse l’ARTE è Vita. “Fare”, fare pittura è un riferimento all’azione, ma un artista oggi, adotta dei linguaggi polifonici, un armonioso avvilupparsi di musica, pittura, materiali più o meno virtuali, concetti, luci. La tela è solo uno dei mezzi a cui un artista fa riferimento.
Ci sono simboli ricorrenti nella tua pittura?
Avendo apprezzato, amato, studiato Capogrossi, ho cercato di non ricorrere ad un segno che prevalesse sul significato. Trovo la ripetitività del simbolo come una mancanza di ricerca, un assoggettamento al mercato.
Quanto incidono il tuo tratto autobiografico, il desiderio di raccontare e raccontarsi nella realizzazione delle tue opere?
Partendo dall’assunto che le mie opere sono narrazioni, posso ben dire che ogni mostra, ogni collezione, fa parte del mio vissuto, affrontano temi, analizzano rievocando momenti, memorie, il centro nodale penso sia il duale essere donna- madre.
La memoria, il ricordo, come influiscono sul tuo lavoro?
Per questa domanda rispondo con auto-citazione. “Ho compreso che l’unica risposta umana, ciò che veramente è umano contro questo disumano che è il dolore è la creatività dell’uomo, la sua capacità di creare oggetti immortali, opere di vita, segni del suo essere oltre il tempo, oltre il tempo storico che lo limita ad essere una data”.
Ogni pittore ha un segno. In quale segno ti riconosci?
Come artista, non posso certo classificarmi come formale, più che altro ho concentrato la ricerca sul colore. La forma, il contorno, la ricercatezza del disegno è un linguaggio che si pone subalterno al colore.
Nella tua ultima personale, “AAA cercasi Capro espiatorio” proponi una riflessione sul sociale realizzando un’esecuzione polistrumentale e sinfonica: la pittura, l’installazione e la scultura. Quanto incidono la letteratura, la musica il cinema sulla tua pratica?
“AAA cercasi capro espiatorio” è una mostra ricercata, voluta. E’ stata concepita come una forma di metalinguaggio dove parole, immagini e musica ricreano un mondo altro, questo perché volevo che il messaggio fosse corale, forte. Molti individui riconoscono e studiano il simile, con questa mostra volevo essere cacofonica.
Ho avuto un docente di Storia dello Spettacolo in Accademia, cosi talmente trascinante, coinvolgente che ha posto la “Settima Arte” come parte formante del mio percorso. In questo senso il Cinema per me è nutrimento. Sono stata ben felice di veder rappresentato cinematograficamente uno dei libri di Daniel Pennac “Il Paradiso degli Orchi”. Certamente nel mio Benjamin c’è qualcosina, ma poi mi sono dedicata alla Vucciria che ho gemellato con Belleville.
Come stimolare la sensibilità degli Amministratori della mia bellissima città verso un quartiere che ha la storia più bella che si possa raccontare? In questo momento il quartiere che ospita la Fondazione Cervantes nella Chiesa di Sant’Eulalia ai Catalani, è decisamente lontano dalla cultura dalla bellezza, rimangono dei ruderi di palazzi strepitosi, un altorilievo del Genio di Palermo, molta tracotanza del “popolino della sopraffazione” e di un’Amministrazione cieca e silente. Avrei voluto scuotere, sensibilizzare, evidentemente ciò non è bastato.
La mostra – collezione ha una sua Musa: i racconti di Pennac sul ciclo dei Malaussène
La ragione che mi ha spinto a leggere, rileggere e tenere nel cuore i libri di Pennac, sta nel fatto che la mia famiglia pezzo dopo pezzo “moriva sulla strada”, si sgretolava e si sgretolava – lui, il nostro capro, Benjamin, era lì nel racconto, con estrema semplicità accoglieva, amava, nutriva, si faceva carico di individui, fratelli ed in genere esseri umani. E’ il modo di esorcizzare la morte attraverso altre prospettive di vita. Ben nella penna di Pennac, “aggregava, univa, amava, ed è così che ha alimentato la mia speranza nell’amore.” Quindi la letteratura è fondamentale per chi vuole narrare con un linguaggio visuale.
Il tatuaggio è un tratto distintivo di alcune opere, ad esempio il Colosso, ispirato a Six la Neve, altro personaggio nato dalla fantasia di Pennac.
Odio il marchio, come segno distintivo su di un corpo, la memoria, purtroppo, mi rimanda a dei numeri incisi su dei polsi, decisamente discriminanti, al marchio di animale, e di alcuni galeotti. Aggiungo che oggi la mercificazione, la banalizzazione, l’uso grottesco del tatuaggio mi ha portata a ri-attualizzarlo, per questa ragione ho individuato in Six la Neve, la possibilità di riportate il Tatuaggio verso il senso più profondo, apotropaico, di rinascita dell’immagine impressa sull’uomo-donna.
Dipingi spesso donne in stato di gravidanza avanzata. Qual’è il messaggio di queste opere?
In realtà è un errore pensare che siano le donne in gravidanza ad essere dipinte, tranne in Genesi nella collezione di “AAA cercasi capro espiatorio” perché in questo unico caso è la madre di Benjamin ad essere la protagonista, ma da madre assente, evanescente, amata ma inesistente, sempre innamorata dell’amore.
Nelle altre rappresentazioni, si può cadere nell’equivoco, ma è sulla figura paterna e sulle sue emozioni che ho concentrato tutta la mia ricerca. Sono nove mesi, dove l’uomo, ragionando diventa padre solo quando il figlio/figlia viene al mondo, è un desiderio, il mio, di riportare l’attenzione sul padre, che per ovvie ragioni, vive un mondo assolutamente altro ma da rispettare, considerare, ed infine amare.
L’artista
Cristina Correnti, nata a Palermo nel 1966, vive e lavora a Roma. Si è diplomata presso l’Accademia di Belle Arti di Palermo con una ricerca su “L’analisi dell’Eros nell’arte dall’esegesi a Jeff Koons”; ha allargato poi l’indagine al tema Eros – Thanatos per giungere allo studio del doppio da Plauto a Freud. Seguendo il suo interesse per le religioni e la filosofia, ha completato la sua formazione con studi di teologia a Monreale. Dagli esordi della sua vicenda artistica, ha cercato di “mostrare un equilibrio altro, nuovo, al di là di quello preminente della caducità e del dolore attraverso l’uso di diverse forme e tecniche” – dallo studio dei corpi e della loro pulsione vitale fino all’astrattismo dell’ultima fase – ma sempre basandosi sull’uso pregnante e sapiente del colore. Selezionata per una esposizione collettiva nel luglio del 2013 presso il Royal College of Art di Londra, parteciperà con il dittico Si muove dentro di me (2008), già nella personale di Roma a San Salvatore in Lauro (luglio 2012).
*Silvia Gambadoro, giornalista