Intervista Immaginaria a Mahatma Gandhi
Buongiorno, signor Gandhi. È un onore poter parlare con lei. La prima domanda che vorrei farle è: quale è stato il momento più significativo della sua vita, quello che ha segnato il suo percorso verso la lotta per l’indipendenza dell’India? Buongiorno, è un piacere anche per me essere qui, anche solo in questa forma immaginaria. Uno dei momenti più importanti della mia vita è stato quando mi trovavo in Sudafrica. Ero giovane e lavoravo come avvocato. Un giorno, mentre viaggiavo su un treno, mi venne ordinato di lasciare il mio posto di prima classe solo perché ero indiano. Mi rifiutai, e fui buttato giù dal treno. Quell’evento mi fece capire l’ingiustizia della discriminazione e mi spinse a lottare contro l’oppressione, non solo in Sudafrica, ma anche nella mia amata India.
Questo fu l’inizio del suo impegno per i diritti civili e la non violenza. Ci può spiegare meglio il concetto di “satyagraha” e perché ha scelto questa forma di lotta? Certamente. Il “satyagraha” è una parola sanscrita che significa “fermezza nella verità”. Ho scelto questo termine per descrivere la mia filosofia della resistenza non violenta, perché credo che la verità sia l’arma più potente contro l’ingiustizia. Non si tratta di mera passività, ma di una forza attiva che si oppone al male senza odio o violenza. Con il satyagraha, volevo dimostrare che la giustizia può prevalere attraverso la pazienza, la compassione e la forza morale.
Lei ha sempre sostenuto che la non violenza è l’unica via per raggiungere la pace e la giustizia. Non ha mai avuto dubbi su questa convinzione? Certo, ho avuto i miei momenti di dubbio. La violenza è un impulso naturale, specialmente di fronte a grandi ingiustizie. Ma ho imparato che rispondere con la violenza non porta mai a una pace duratura. Ogni volta che la tentazione di reagire con la forza si faceva sentire, ricordavo che la vera forza risiede nel perdono, nella pazienza e nella capacità di amare anche i nostri nemici. Questo non significa che la non violenza sia facile, anzi, richiede un’enorme disciplina e coraggio. Ma è l’unico modo per creare un mondo veramente giusto e pacifico.
Durante la lotta per l’indipendenza, ha dovuto affrontare molte sfide. Qual è stata la difficoltà più grande? Una delle difficoltà maggiori è stata mantenere l’unità tra il popolo indiano, composto da tante comunità, religioni e culture diverse. In momenti di tensione, come durante la Partition (la divisione tra India e Pakistan), è stato difficile convincere tutti a restare fedeli ai principi di non violenza e di unità nazionale. Vedere le divisioni religiose e culturali mi ha profondamente addolorato, perché ho sempre creduto che l’India dovesse essere una nazione unita e inclusiva, dove ogni persona, a prescindere dalla religione o dall’origine, potesse vivere in pace.
Alla fine, l’India ha ottenuto l’indipendenza nel 1947. Ma ha visto anche le tensioni tra India e Pakistan. Come ha vissuto quei momenti? È stato un momento dolce-amaro. Da un lato, l›indipendenza era un traguardo che avevamo perseguito per anni, un sogno diventato realtà. Dall›altro, la violenza e il sangue versato durante la Partition mi hanno spezzato il cuore. Non era la fine che avevo immaginato. Speravo in un›India libera e unita, e vedere come la violenza si diffondeva tra fratelli è stato uno dei dolori più grandi della mia vita. Fino all›ultimo giorno, ho cercato di promuovere la riconciliazione e la pace tra le comunità, ma purtroppo, non ho visto il risultato che speravo.
Guardando al mondo di oggi, quali sono i messaggi principali che vorrebbero trasmettere alle nuove generazioni? Direi loro di non dimenticare mai l’importanza della verità e della non violenza. In un mondo sempre più diviso e complesso, credo che il dialogo, la comprensione reciproca e la compassione siano più importanti che mai. Invito le nuove generazioni a essere coraggiose, a non avere paura di sfidare le ingiustizie ea rimanere fedeli ai loro ideali, anche quando il percorso sembra difficile. E, soprattutto, vorrei che si ricordassero che la pace inizia dentro di noi: se vogliamo cambiare il mondo, dobbiamo prima cambiare noi stessi.
Grazie, Signor Gandhi, per aver condiviso con noi queste riflessioni. Il suo messaggio continua a ispirare milioni di persone in tutto il mondo. Grazie a voi. La mia speranza è che l’amore e la verità possano sempre guidare l’umanità verso un futuro migliore.
Mohāndās Karamchand Gāndhī, soprannominato Mahatma (che significa “Grande Anima”) o Bapu, fu un politico e filosofo indiano, nato nel 1869 e morto nel 1948. È stato il principale esponente dell’indipendentismo dell’India e l’ideatore di un metodo di lotta, il satyagraha, basato sulla non violenza. Nato in una famiglia appartenente alla casta dei Baniani, Gandhi studiò in Inghilterra e da giovane visse per molti anni in Sudafrica, guidando la lotta della comunità indiana contro il razzismo dei bianchi. Rientrato in India, divenne il leader dell’indipendentismo, seguendo sempre un approccio non violento e promuovendo iniziative di grande impatto, come la marcia del sale del 1930. L’India ottenne l’indipendenza nel 1947 ma, nonostante gli sforzi di Gandhi, subì la scissione del territorio del Pakistan. Il Mahatma, che cercava una mediazione tra le due parti, fu ucciso da un fanatico hindu nel 1948. Da allora è considerato un simbolo della non violenza e della lotta contro il razzismo e il colonialismo.
Mohandas Karamchand Gandhi nacque nel 1869 a Porbandar, nell’attuale stato indiano del Gujarat (India nord-occidentale). All’epoca l’India era una colonia britannica (con l’eccezione di piccolo porzioni di territorio controllate da altri Stati europei) e comprendeva anche gli attuali Pakistan e Bangladesh. Il Paese era abitato da una maggioranza di religione induista e da una minoranza musulmana, presente soprattutto nel Nord. Tra gli hindu era in vigore il sistema delle caste, in base al quale la popolazione era divisa in gruppi sociali chiusi, ai quali si apparteneva per nascita (il sistema esiste ancora oggi, ma è poco rispettato).
La famiglia di Gandhi era benestante: apparteneva alla casta dei Baniani, diffusa soprattutto nel Gujarat e facente parte della più vasta casta dei Vayshias, cioè dei banchieri e mercanti. Il diciottenne Mohandas si trasferì in Inghilterra nel 1887 per studiare giurisprudenza, il che gli costò l’abbandono della casta, contraria al suo trasferimento. Laureatosi nel 1891, fece ritorno in India.
Gandhi iniziò a lavorare come avvocato e nel 1893 si trasferì in Sudafrica, dove viveva una numerosa comunità indiana, come rappresentante legale di una ditta. Ebbe così modo di sperimentare il razzismo con il quale la minoranza bianca trattava i neri e gli indiani. Iniziò a maturare idee anticolonialiste, mettendosi in luce come uno dei leader politici della comunità indiana. Nel 1906 lanciò il suo metodo di lotta: il satyagraha, traducibile grosso modo come disobbedienza civile, che consiste nel non rispettare le leggi imposte dalle autorità coloniali, accettando le punizioni previste per i trasgressori, e nel non usare metodi di lotta violenti.
A causa del suo attivismo, Gandhi fu arrestato dalle autorità coloniali sudafricane, ma riuscì a ottenere risultati politici importanti per il suo popolo. Restò nel Paese fino al 1914, quando si trasferì per breve tempo in Inghilterra e fece poi ritorno in India.
Al rientro in India, Gandhi era già un leader apprezzato e conosciuto, al punto che nel 1915 fu soprannominato per la prima volta Mahatma (letteralmente “Grande anima”). Nello stesso anno aderì all’Indian National Congress, principale partito anticolonialista, del quale sarebbe diventato presidente negli anni ’20. Adottò inoltre uno stile di vita basato sulla castità (nonostante fosse sposato), il vegetarianesimo e la povertà. Nel 1919 organizzò le proteste non violente contro la legge che prolungava le restrizioni introdotte dalle autorità coloniali durante la Prima Guerra Mondiale, dalle quali scaturì una strage: nella città di Amristar, nel Pujnjab, le truppe inglesi aprirono il fuoco sulla folla, uccidendo centinaia di indiani. Dopo il massacro, Gandhi ribadì di voler condurre la lotta indipendentista con metodi non violenti, ma aggiunse alla disobbedienza la pratica dello Swadeshi, grosso modo traducibile con “indipendenza economica”, basata sul boicottaggio delle merci inglesi.
Per sviluppare lo Swadeshi era essenziale non acquistare tessuti delle aziende straniere, per cui Gandhi propose che ciascun indiano imparasse a filare il cotone con il charka, l’arcolaio a ruota. Egli stesso dedicava almeno un’ora al giorno alla filatura e prese l’abitudine indossare un abito contadino, chiamato dhoti, fatto in khadi, il tessuto ottenendo filando il cotone con il charka. Non a caso, l’immagine più nota di Gandhi è quella con l’abito in khadi.
Nel 1930 Gandhi promosse una delle sue iniziative più riuscite: la marcia del sale, organizzata insieme a una settantina di compagni per protestare contro l’aumento delle tasse sul sale. La campagna ebbe un forte impatto mediatico, al quale gli inglesi reagirono incarcerando Gandhi e altri leader indipendentisti. L’anno seguente, però, il Mahatma fu scarcerato e poté partecipare a una conferenza sul futuro dell’India tenuta a Londra. Nel corso del viaggio visitò anche altri Paesi, europei, tra i quali l’Italia. Rientrò quindi in India e continuò la lotta anticolonialista, subendo altri arresti.
Allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, Gandhi, che aveva ben capito le intenzioni dei nazifascisti e dei giapponesi, non si schierò contro gli inglesi, ma continuò ugualmente la lotta per l’indipendenza. Nel 1942 lanciò la campagna Quit India, che chiedeva al Regno Unito di lasciare il Paese, e fu incarcerato fino al 1944.
L’indipendenza dell’India
Al termine della guerra i rapporti di forza internazionali cambiarono ed emersero due superpotenze, Stati Uniti e Unione Sovietica, contrarie al colonialismo. Inoltre, la lotta condotta da Gandhi e dagli altri indipendentisti rese difficile agli inglesi il controllo del territorio indiano. Per queste ragioni, nel 1947 il Regno Unito accettò di riconoscere l’indipendenza dell’India. Il Paese, però, si divise: nonostante gli sforzi di Gandhi di conservare l’unità, la minoranza musulmana del nord si separò per formare lo Stato del Pakistan (che originariamente comprendeva anche quello che oggi è il Bangladesh). In India ascese al potere il più stretto collaboratore di Gandhi, Jawaharlal Nehru. Nel 1947 tra India e Pakistan iniziò una guerra, alla quale Gandhi cercò invano di opporsi. Il suo approccio pacifista e moderato, però, non piaceva agli estremisti: il 30 gennaio 1948 il Mahatma fu ucciso a Nuova Delhi da un fanatico hindu, che contestava il suo atteggiamento verso i musulmani.
Da allora, in India il Mahatma è considerato il padre della patria: basti pensare che il suo volto è stampato su tutte le banconote e che sulla bandiera nazionale è presente il simbolo del charka. Inoltre, l’approccio di Gandhi ha ispirato movimenti e leader antirazzisti in tutto il mondo, in particolare Nelson Mandela in Sudafrica e Martin Luther King negli Stati Uniti.
*Fonti
Joseph Lelyveld, Great Soul: Mahatma Gandhi and His Struggle with India, Alfred A. Knopf, 2011
Mohandas Karamchand Gandhi, Autobiografia
Comprehensive Website by Gandhian Institutions-Bombay Sarvodaya Mandal & Gandhi Research Foundation
*Regina Resta, presidente Verbumlandiart