Intervista a Laura Bonilla, vicedirettrice della Fondazione Pares
Inizia il conto alla rovescia per le presidenziali in Venezuela: Nicolas Maduro intensifica la violenza contro l’opposizione
Nonostante ci sia una vittima di violenza politica ogni due giorni, giovedì 5 luglio è partita ufficialmente la campagna elettorale. La vicedirettrice della Fondazione Pares ritiene che il 28 luglio potrebbe essere il punto di svolta della politica venezuelana.
Giovedì 4 luglio è iniziata ufficialmente la campagna elettorale per le elezioni presidenziali in Venezuela. Elezioni che saranno inevitabilmente segnate dalla persecuzione politica e dai timori di possibili brogli elettorali. Dieci candidati, tra cui il dittatore Nicolás Maduro, si sfideranno alle urne il 28 luglio. L’ex-ambasciatore Edmundo González Urrutia è il candidato della Piattaforma Unitaria Democratica, la più grande coalizione dell’opposizione; al suo fianco vi è María Corina Machado, la leader dell’opposizione che aveva vinto le primarie ma messa fuori gioco da una sentenza illegale del regime, che l’ha giudicata incandidabile.
Nel frattempo, mercoledì 3 luglio l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, Volker Türk, ha denunciato davanti al Consiglio per i Diritti Umani le restrizioni allo spazio civico e gli arresti degli oppositori man mano che si avvicina la data delle elezioni presidenziali.
Türk ha affermato che tra maggio e giugno scorsi si sono registrati 28 casi di persone arrestate, alcune delle quali voci dissidenti, il cui destino è stato nascosto alle famiglie e agli avvocati nonostante gli sforzi di cercare informazioni dalle autorità. Questo è accaduto durante lassi di tempo che vanno dai due ai 41 giorni, equivalenti a una sparizione forzata. «Tutte le denunce di sparizioni forzate devono essere investigate e giudicate e si deve porre fine a questa pratica», ha sottolineato, evidenziando che i rapporti sugli arresti ricevuti dal suo Ufficio «non promettono nulla di buono».
Questa situazione era già stata denunciata da María Corina Machado, leader del principale partito di opposizione “Vente Venezuela”: «Il regime sta criminalizzando la strada elettorale e la campagna. Dall’inizio dell’anno, 37 dirigenti e leader sociali sono stati arrestati dalla tirannia. Venti di loro sono direttamente legati al nostro partito, quattordici sono ancora detenuti e sei sono sotto la protezione dell’ambasciata argentina», ha dichiarato in una conferenza stampa lo scorso 17 giugno. Inoltre, è opportuno ricordare che ad oggi ci sono ancora 282 prigionieri politici, secondo i dati del “Foro Penal Venezolano”.
«In Venezuela si registra una vittima di violenza politica elettorale ogni due giorni», afferma la Fondazione Pace e Riconciliazione (Pares) nel suo primo rapporto sulla violenza politico-elettorale del Paese sudamericano: «Tra marzo e maggio 2024, in piena campagna elettorale, si sono verificati 25 episodi con 38 vittime. Di queste, 17 appartengono al gruppo politico della leader dell’opposizione María Corina Machado», si legge nel riassunto del documento.
Questo rapporto vuole essere «un chiaro allarme di emergenza alla comunità internazionale per mettere in evidenza le scarse garanzie per l’opposizione e i suoi sostenitori» alle prossime elezioni.
Per capire le cause e le conseguenze della violenza che affligge i venezuelani, Alleanza Cattolica ha parlato in esclusiva con Laura Bonilla, vicedirettrice della Fondazione Pares, confermando che le vittime sono principalmente militanti dei partiti politici di opposizione e che il 90% degli episodi di violenza sono rappresentati da minacce e arresti arbitrari.
Quali partiti politici sono stati colpiti dalla violenza elettorale?
Il 63,2% dei casi riguarda partiti dell’opposizione e il restante 36,8% sono vittime senza una chiara affiliazione politica, sono cittadini comuni o giornalisti. Tra marzo e maggio 2024, “Vente Venezuela” ha avuto quattordici vittime, “Primero Justicia” quattro vittime, “Causa R” tre vittime, il PSD una vittima, “Fuerza Vecinal” una vittima e “Cambio en Paz” una vittima.
Nel conteggio non ci sono vittime del partito di Maduro, il Partito Socialista Unito del Venezuela (PSUV)?
Esattamente, non abbiamo trovato vittime del PSUV. Molto diverso, per esempio, dalle situazioni di violenza politico-elettorale che si verificano in Colombia, dove ci sono vittime praticamente in tutto lo spettro politico, perché sono lotte per il controllo politico del territorio. O diversamente, anche in Guatemala, dove abbiamo trovato intimidazioni e minacce violente legate al narcotraffico o ad altri attori del crimine organizzato. Allo stesso modo, in Messico, dove abbiamo avuto le elezioni più violente degli ultimi 20 anni.
Per capire l’origine della violenza in Venezuela, qual è la radiografia dell’aggressore?
La maggior parte degli episodi sono eseguiti dal SEBIN (Servicio Bolivariano de Inteligencia Nacional, in spagnolo); seguono la Polizia Nazionale Bolivariana, la Procura Nazionale del Venezuela, il SENIAT (Servicio Nacional Integrado de Administración Aduanera y Tributaria, in spagnolo) e il Consiglio Nazionale Elettorale, che sono un altro tipo di intimidazioni di carattere più istituzionale. Inoltre, il Piano Furia Bolivariana, la DGCIN (Dirección General de Contrainteligencia Militar, in spagnolo), le Forze Armate Nazionali e la Guardia Nazionale Bolivariana. Ma, in generale, il SEBIN è identificato come la principale fonte di intimidazione o minaccia verso l’opposizione.
Questo rapporto raccoglie e analizza dati che vanno dal 5 marzo al 25 maggio 2024, state lavorando su dati più recenti? Può anticiparci qualche informazione?
Al momento è difficile anticipare. Ma la tendenza sarà in aumento e più ci si avvicina alle elezioni più c’è tensione; c’è un’alta probabilità che questi numeri aumentino.
Rispetto ad altri Paesi latinoamericani, in Venezuela stiamo parlando di un aggressore istituzionale, quindi lo Stato contro i cittadini che la pensano diversamente. Può fare un confronto tra il caso del Venezuela e quello del Messico, per esempio, che è il caso più recente riguardo ai processi elettorali?
In America Latina abbiamo trascurato le minacce alle democrazie e, avendo elezioni periodiche, ci siamo fidati del fatto di avere elezioni libere e democratiche, ma è una verità parziale per varie ragioni. Ad esempio, in Messico i gruppi del crimine organizzato hanno esercitato una pressione diretta contro le elezioni e ciò accade anche perché per molti anni c’è stata una relazione molto stretta tra politici messicani e narcotraffico. E quella relazione si sta estendendo anche ad altri settori del crimine organizzato. Al momento, i gruppi armati di violenza organizzata che abbiamo in America Latina non corrispondono alla foto tradizionale dei narcos tipo cartello, ma sono reti molto più sofisticate e complesse, che esercitano un altro tipo di pressione sulla democrazia. Non è solo un problema di guerriglie, come quelle che avevamo in Colombia negli anni ’70, in cui un gruppo sfidava lo Stato per prendere il potere politico, ma sono diversi gruppi di crimine organizzato, che cercano di fare pressione sui politici o di cooptarli o semplicemente di inserire le loro persone dentro l’apparato istituzionale. Ma nel caso del Venezuela, qual è la differenza? Nel caso del Venezuela, c’è un regime che partecipa sistematicamente alle elezioni e, nell’intento di mantenere il potere politico nazionale, esercita intimidazioni su individui sia dell’opposizione che della stampa. E questo, che fa parte del pacchetto classico di pressioni non democratiche, è molto comune con partiti politici come, in questo caso, il PSUV, che sono al potere da moltissimi anni, si sono radicati e hanno un controllo eccessivo, o meglio pochi controlli sul loro potere politico all’interno delle istituzioni, ricorrono a queste azioni non democratiche per orientare il gioco elettorale in un senso o nell’altro.
In questo contesto, con una violenza causata dallo Stato, è possibile un cambiamento democratico in Venezuela?
Tutti i regimi simili, proprio quando iniziano a esserci probabilità di cambiamento, iniziano a intensificare queste azioni sottobanco, quindi la prima cosa che fanno è chiudere istituzionalmente il dibattito per dissuadere l’oppositore dal continuare sulla strada in cui si trova. Credo dunque che queste elezioni saranno un punto di svolta nella politica venezuelana.