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Jon Fosse: novello Dante o figlio del suo tempo?

Il premio Nobel per la letteratura, Jon Fosse, affida all’interpretazione dei lettori il romanzo breve Un bagliore

Il protagonista, afflitto dalla noia, decide di mettersi in auto e di guidare senza una meta precisa. In un crescendo di stati d’animo che alimentano il senso di vuoto e d’angoscia, desideroso di rimettere in moto la sua esistenza, l’uomo si spinge fin dentro ad un fitto bosco. La spasmodica corsa e l’esigenza di movimento si trasformano presto in stasi e costrizione: l’automobile si impantana nella neve e non è più possibile invertire la rotta. Non resta altro da fare. L’uomo decide di inoltrarsi nella fitta boscaglia, di sfidare il freddo, la paura e il buio per cercare soccorso. 

Inevitabile, ma semplicistico accostare a questo personaggio la figura Dantesca. La selva oscura, la ricerca della salvezza, lo smarrimento interiore e il continuo interscambio tra il piano della realtà e quello della tensione metafisica non sono, tuttavia, che indizi appena accennati. Anche la coesistenza tra il buio e la luce, l’oscillazione continua tra la speranza e lo sconforto del protagonista e persino il finale in cui un accecante fascio di luce avvolge l’uomo, non coincidono pienamente con la visione di Dante.  

Nonostante non sia un segreto per nessuno la passione di Foss per la Divina Commedia e la sua concezione della letteratura coincida, in parte, con la ricerca della verità; i confini sono troppo labili per circoscrivere Jon Fosse al ruolo di “novello Dante”. Questa chiave di lettura, semplicistica e superficiale, riempie d’orgoglio i letterati italiani, ma non consente di cogliere a pieno la forza dirompente e moderna dell’autore. La marca stilistica minimale e personalistica di Foss – ossessionato dal ritmo scandito da numerose ripetizioni – segna un ulteriore distacco tra i due autori. 

Il protagonista, mai descritto da Fosse – per concedere maggiore libertà interpretativa ai lettori – è un personaggio che sceglie di muoversi per non rimanere immobile, che cerca di annullare attraverso un’azione d’impeto il suo disorientamento interiore. Un uomo che vive in solitudine, che non è atteso da nessuno, che ha sempre vissuto a suo modo e che cerca di distinguere tra allucinazione e realtà.

Intorno al protagonista si aggirano entità imperscrutabili: fantasmi? Angeli di Dio? Angeli del male? Non è dato saperlo. Alle misteriose forze che lo accompagnano non è possibile dare fattezze, né forma. L’uomo cerca il silenzio e nel silenzio cerca Dio, senza però trovarlo. L’amore? Lo dice chiaramente il protagonista, per lui “non significa niente”. I diktat autoimposti sono: riposare, essere presente e guardare. 

La selva oscura non inaugura un viaggio di salvezza, rimane imperscrutabile: colma di tante cose incomprensibili. Al suo interno oltre all’entità di luce si aggira un uomo in abito nero, camicia bianca, cravatta nera, che procede scalzo; insieme a lui proseguono i genitori dell’uomo, trasfigurati dal buio, consumati da un tempo indecifrabile. La relazione non lascia spazio a sentimentalismi. Non ci sono tracce dell’empatia dantesca. Il padre risponde a monosillabi alle inferenze della madre, quest’ultima consola e al tempo stesso ammonisce il figlio per i suoi comportamenti. Il nucleo familiare appare prima vicino e poi distante, in un continuo gioco di vedo-non vedo, odo-non odo. 

Al protagonista sfugge continuamente il senso dell’esistenza, non conquista alcuna certezza e non è capace di cogliere la verità in profondità. Prevalgono il senso del mistero e dell’inaccessibile. 

Il viaggio del protagonista non culmina nella gloria di Dio. I personaggi, benché immersi nella luce, si ritrovano a piedi nudi nel nulla. Infatti Foss scrive testualmente che l’entità splendente illumina un nulla che respira, che respiriamo. Non c’è redenzione, non c’è salvezza alla fine del viaggio.

 Il protagonista è un uomo qualunque, un uomo del suo tempo che ha perso se stesso e la direzione, che ha girato a vuoto senza portare a termine alcuna impresa. Foss ha colto la crisi dell’uomo moderno ed ha dato voce alle sue inquietudini. Il protagonista non è il sommo poeta, è un uomo qualunque in cui chiunque può riconoscersi. Alienato nella sua solitudine, privo di valori positivi, cerca aiuto nell’altro, ma non trova nessuno pronto a soccorrerlo. Non ha una guida che possa condurlo alla salvezza e si oblia nel nulla, un nulla che si fa respiro, oltre il quale non si intravede altro.

*Tiziana Santoro, giornalista