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La Tavola Osca di Capracotta/Agnone di Paola Di Giannantonio

La Tavola Osca, così è chiamata quella lastra di bronzo incisa che è stata rinvenuta nel 1848 ancora attaccata a un pezzo di muro, rappresenta un’importante testimonianza della sacralità del mondo sannita. È incisa in osco, su entrambi i lati: l’osco era la lingua italica parlata dalle tribù sannitiche che abitavano i territori dell’Abruzzo, del Molise e della Campania, del Lazio e della Puglia (nonché di alcune aree marginali della Basilicata) prima della conquista romana, ed in particolare: i Carecini, Vestini, i Pentri, Caudini, Frentani, Irpini, Pentri. 

La studiosa Paola di Giannantonio con il volume La tavola osca di Capracotta/Agnone e la celebrazione dei cereali (Cantieri creativi, 2024) compie un lavoro magistrale perché restituisce un pezzo di memoria storica e identitaria alla vicenda dei sanniti, di quel popolo che Plinio il Vecchio nella Naturalis Historia aveva definito Samnites Gens Fortissima Italiae, ricostruendo e interpretando il testo pervenutoci in una prospettiva interdisciplinare e filologico- antropologica. 

La studiosa, di cui questo testo si pone come risultato di un lavoro filologico trentennale, da quell’osservatorio privilegiato che è una acuta intelligenza e viva sensibilità, unite ad una storia personale impregnata di amore per la terra e per una identità non corrotta dagli idoli della modernità omologante, pasolinianamente o gramscianamente attenta alle culture popolari come sede di verità storica e genuina semplicità, adotta una prospettiva comparatistica tra dialetti, modi di dire, usanze, festività popolari, per individuare all’interno della permanenza di una matrice unitaria quelli che sono i tratti comuni di un prezioso patrimonio collettivo arcaico, che affonda nell’idea di sacro espressa nella tavola osca. 

È uno studio interessante: uno studio che si basa sulle radici greche e latine, sulle radici sumere, su una cultura dunque prettamente classica, filologica, glottologica. Un lavoro che si fonda su un’analisi linguistica accuratissima che richiama analogie e comparazioni archeologiche con elementi similari individuati nella Mezzaluna fertile, in Anatolia. Ma è un lavoro di una sensibilità unica, che forse soltanto il cuore di una donna poteva compiere. 

La studiosa di Giannantonio infatti prende la terra tra le sue mani, la vede impregnarsi di pioggia e vede come da un piccolo seme, dopo un processo biologico di decomposizione, si originano nuove radici e una nuova vita. La studiosa ci parla di un legame con KERRES, con il chicco di grano, che è all’origine della vita e del ciclo delle stagioni, in quel richiamo continuo alla vita-morte-vita, in quel rapporto di sacra reciprocità che dalla KORE del mito greco di Proserpina, alla Cerere del pantheon romano, sancisce la nostra identità, sopravvivendo fino alle nostre feste popolari, in quel sincretismo religioso tra mondo sacro- pagano e mondo cristiano religioso che conserva e cristallizza la ritualità come tratto imprescindibile della nostra identità. 

Paola ci porta a sentire l’odore di quella stessa terra venerata dalle matriarche della sua famiglia e dai sanniti, in quell’HURZ, in quel RECINTO SACRO, in cui avveniva il miracolo del sacro e della glorificazione della terra, origine di tutte le cose, nella celebrazione di KERRES e del Grano e dell’acqua vivificatrice ed elemento primigenio di tutte le cose. 

La Di Giannantonio ci porta all’interno della Tavola osca, dove si susseguono gli altari, dove si compie il miracolo della vita e della morte, dove le Primavere sacre fondano e contribuiscono a diffondere una stessa identità comune. Ci porta all’interno dell’idioma sannita, in quel rito di sacralità e identità che è amore per la vita e per la natura, riconoscimento di una identità nel sacro che nella terra matura e nasce, come origine di tutte le cose. Ci conduce nelle feste popolari dei paesi di Abruzzo e Molise, in quei rituali agrari mirabilmente inglobati nella religione cristiana, nel rito della glorificazione del pane, nelle processioni e nelle offerte votive, dove i chicchi di grano e i filoni di pane e le spighe diventano protagonisti di una cultura pagana e cristiana, in cui si perpetua il ricordo di quella sacralità legata alla terra e al mondo dei sanniti. 

È questo uno studio filologico, ma scritto con un cuore da poeta, da donna, mamma, figlia, un libro attento all’antropologia e alla storia popolare, forse l’unico adatto per cogliere ancora, dopo tanto tempo, quella voce lontana, per ricostruire quell’immaginario simbolico- privato e collettivo dei sanniti, facendone rivivere la storia, la parola, la preghiera, ancora.

*Laura D’Angelo, scrittrice, poetessa