La visione di Salvatore Marsillo, intervista esclusiva per Verbum Press
È difficile fare pittura oggi? Dare libero corso al proprio flusso creativo non è una cosa difficile, ogni artista sarebbe felice di fare questo a tempo pieno, il problema è che sussistono fattori concomitanti a complicare la situazione … fattori pratici intendo. Procurarsi gli strumenti per realizzare un’opera, i supporti, i colori, ecc. non sempre è semplice, richiede un budget. Inoltre, occorre avere spazi per produrre, uno studio per trasformare in realtà le proprie ispirazioni, ma anche per sperimentare nuove tecniche e nuovi materiali, in poche parole per crescere.
Un’ulteriore difficoltà si manifesta poi a valle del processo creativo quando arriva il momento di divulgare le opere prodotte e trovare uno sbocco sul mercato. Avere un sito web diventa un must, ma anche questo costa e il vile denaro rimane, purtroppo, imprescindibile. Insomma, gli ostacoli sul cammino di un artista non mancano. Una delle mie prime serie, I labirinti dell’irrequietezza, è nata proprio per rappresentare il percorso tortuoso, pieno di incertezze e vicoli ciechi, che ho dovuto affrontare prima di trovare una mia strada nel mondo dell’arte.
Per come la vedo, chi fa arte non dovrebbe avere un mecenate privato, la vera rivoluzione sarebbe la concessione di un sussidio pubblico che riconosca e ufficializzi finalmente il ruolo attivo degli artisti nella società civile. L’arte è essenziale per la sua capacità di fotografare e rappresentare la realtà che ci circonda, puntando il focus su sentimenti spesso non raccontati. È nella natura di ogni artista portare avanti una ricerca che è al tempo stesso personale e collettiva, dando sfogo a un’urgenza espressiva che non è scevra di responsabilità sociale.
Vuoi trasferirti a Roma o a Milano? Nella biografia del mio sito mi definisco “artista romano”; le mie radici sono a Roma, non intendo tagliarle, tanto più che devo la mia epifania artistica proprio a un gruppo di pittori legati a doppio filo a questa città, tra cui Franco Angeli, Tano Festa, Giosetta Fioroni, Renato Mambor e Mario Schifano, che negli Anni Sessanta hanno fondato la Scuola di Piazza del Popolo. Roma, inoltre, garantisce un’offerta culturale di altissimo livello; durante tutto l’anno si susseguono mostre e manifestazioni, promosse sia da istituzioni pubbliche sia da soggetti privati, che dànno l’opportunità di incontrare personaggi di calibro mondiale. Un esempio? Nel giro di pochi mesi la galleria Lorcan O’Neill ha portato nella Capitale la fotografa Sam Taylor Johnson, a dicembre 2022, e Tracey Emin, a maggio 2023, entrambe esponenti di spicco dei Young British Artists.
Quali progetti da sviluppare nel 2023? Attualmente sto lavorando su tre nuove serie con iconografie molto diverse; una, intitolata “Le stanze proibite”, si dipana attraverso la rappresentazione di ambienti domestici, soprattutto salotti, ricchi di elementi decorativi, realizzati con colori accesi e con uno stile che richiama vagamente i Fauves. Questo filone parte da ispirazioni intimiste dove ogni stanza simboleggia in realtà un luogo dell’anima, uno spazio mentale che custodisce emozioni privatissime alle quali non tutti posso accedere. Dal momento, però, che ogni artista, inevitabilmente, mette in scena la propria interiorità, ho disseminato queste stanze di oggetti e indizi che sono, in qualche modo, rivelatori. Giocata invece sul bianco, il nero e la scala dei grigi la seconda serie, #ArtPorn, che punta su una raffigurazione estremamente stilizzata di soggetti umani, singoli o in coppia, in una eterogeneità di pose. Parallelamente porto avanti la serie “I am icon” che si rifà apertamente alla Pop Art. Con queste opere intendo divulgare una nuova generazione di icone, prendendo in prestito il volto di personaggi famosi contemporanei che incarnano il sentiment dei nostri tempi e le istanze ad esso correlate come empatia, comprensione, rispetto e inclusività.
La stampa ti ha seguito ultimamente? A settembre 2022 la rivista di arte e cultura L’Amletico ha pubblicato una mia intervista nella quale ho affrontato varie tematiche, dalle tappe del mio percorso artistico alle diverse tecniche impiegate per realizzare le mie opere, e condiviso alcune riflessioni su quali siano il ruolo dell’artista nel post-pandemia e la meta ultima dell’espressione artistica umana.
Il mio nome inoltre è stato citato in diversi articoli di testate online, come ArtTribune, RomaToday e WorldMagazine, relativi al lancio e alla divulgazione di quattro collettive a cui ho partecipato presso la galleria CosArte di Roma tra la fine dell’anno scorso e l’inizio di questo.
Grande clamore mediatico, infine, è stato generato dal lancio del catalogo della nuova Pinacoteca Comunale di Arte Contemporanea di Teora, nel cuore dell’Irpinia, realizzato dal critico d’arte e sociologo Maurizio Vitiello, dall’architetto Nicola Guarino e dall’artista Enzo Angiuoni. Nella pubblicazione è presente una mia opera, intitolata Dies irae, che è in esposizione permanente nel museo.
Hai partecipato a Fiere d’Arte? Non ancora, spero presto. Mi piacerebbe che Roma torni quanto prima ad avere una sua Fiera d’Arte; sono parecchi anni che non ospita eventi di questo genere. In passato, nella Capitale ci sono stati alcuni esperimenti fieristici, tra cui “Roma, the road of Contemporary Art” e un’edizione di “Affordable Art Fair”, ma si è trattato di eventi che non hanno avuto seguito.
Credi che l’arte andrà avanti su altri canoni e codici? Per rispondere a questa domanda vorrei partire da quella che mi sembra essere la situazione attuale. Potrei sbagliare, non sono uno storico dell’arte, ma il mio percepito, sulla base delle esperienze e delle frequentazioni con questo mondo, è che già da molti anni l’arte stia vivendo una condizione di estrema fluidità in seguito all’abbattimento delle barriere fra tecniche sperimentali e tradizionali. Dopo le correnti minimaliste, poveriste e concettuali degli anni Settanta si è sviluppato un gusto eclettico e trasversale che va avanti per citazioni e reinvenzioni dell’arte del passato coniugate a tecniche e materiali all’avanguardia. Ma la cosa che apprezzo di più del panorama attuale è senz’altro l’apertura verso gli artisti dei paesi decentrati del mondo, soprattutto africani, che sono latori di valori culturali ed estetici considerati fino a pochi anni fa marginali o interessanti solo dal punto di vista etnologico o folkloristico. In questo mare magnum pare che il futuro vada nella direzione dell’arte digitale. Ovviamente, non mi riferisco a quelle opere, che girano già da decenni, realizzate con l’ausilio di strumenti informatici e che comunque rappresentano un’interessante intersezione tra scienza e arte, tra creatività umana e algida programmazione. Faccio riferimento, invece, a una nuova categoria di arte di cui si parla in modo sempre più diffuso e che abborro profondamente: l’Arte Generativa, ovvero l’arte creata dall’intelligenza artificiale sulla base di algoritmi. Questa nuova frontiera vede l’artista mettere da parte i pennelli per inventare un algoritmo contenente le regole di generazione dell’opera (con gli elementi più disparati … di chimica, biologia, meccanica, aritmetica o robotica) mentre il computer, eseguendo l’algoritmo, dà vita a un’immagine. Il problema è che il più delle volte il risultato è imprevedibile per lo stesso artista, in altre parole viene creato qualcosa che non lo rappresenta al 100%. I nuovi canoni dell’arte – le nuove avanguardie – non possono essere ridotti a codici binari. Questa forma di interazione uomo-macchina sa di alienazione, nel senso che l’uomo aliena da sé una sua prerogativa fondamentale, la creatività, per delegarla a un sistema autonomo, che è altro da lui; è come chiedere a una massa di circuiti non senzienti di farsi tramite delle proprie emozioni … allucinante! Da questa nuova categoria è nata, poi, una nuova forma di possesso dell’opera stessa, gli NFT. Questi certificati “di proprietà” su opere digitali non fanno altro che incoraggiare una deriva sempre più disumanizzante nel mondo dell’arte in favore di qualcosa che è immateriale e infungibile, e che ha la propria legittimazione solo nel cyberspazio. Per fortuna, pare che il fenomeno stia già scemando; in particolare, nel 2022 il mercato degli NFT ha subito un calo molto consistente. Un indizio in questo senso lo avevo avuto già a metà dell’anno scorso. Sui social seguo Takashi Murakami, l’artista giapponese noto per i quadri con i fiori e le faccine sorridenti. A giugno 2022 Murakami ha pubblicato un post per scusarsi con coloro che avevano comprato i suoi NFT a cifre esorbitanti e che poi ne avevano visto crollare il valore nel giro di poche settimane. Speriamo quindi che questa bolla artificiale scoppi definitivamente il prima possibile per riportare focus, energie e attenzione su un’arte più vera e autenticamente umana.
*Maurizio Vitiello, critico d’arte e sociologo