Cosa stiamo facendo per il pianeta?
Il numero “zero” di Verbum Press è stato molto apprezzato dalla critica, ma soprattutto dai numerosi lettori che ci hanno sommerso di messaggi, grazie! Grazie in special modo a tutti coloro i quali hanno contribuito ad arricchire le pagine della nostra rivista, un esperimento culturale che punta ad offrire contenuti di qualità, legando insieme interpretazioni e punti di vista diversi sulla società e sul tempo che stiamo attraversando.
La copertina di questo numero è un’opera dell’artista Francesco Mauro (che ringrazio!) – Yes we can…? – e ritrae il volto di un Mandrillus sphinx (letteralmente uomo-scimmia), non a caso tra gli animali classificati tra quelli “minacciati” di estinzione, “vecchio saggio” nonché sciamano della foresta nel film Disney Il Re Leone, guida spirituale del piccolo Simba. Un auspicio per un ritorno positivo a ciò che siamo, alla natura, per salvaguardare le prossime generazioni.
Cosa stiamo facendo per il pianeta? Dopo l’Amazzonia e la Siberia abbiamo visto bruciare l’Australia, un continente intero, un’estate senza precedenti a quelle latitudini i cui incendi incontrollati hanno causato danni devastanti, bruciando 12 milioni di ettari di territorio, causando la morte di più di un miliardo di animali.
Gennaio 2020 è stato uno dei più caldi di sempre, febbraio anche peggio: ad Esperanza una stazione di ricerca scientifica in Argentina è stata rilevata la più alta temperatura mai registrata nella penisola antartica continentale: 18,3°C. Alla base antartica spagnola di Juan Carlos I, le temperature hanno raggiunto i 12°C e gli scienziati che si occupano del fenomeno si dicono letteralmente sconvolti dalla quantità di ghiaccio che si sta sciogliendo quest’anno sull’isola di Livingston. Piccole e grandi ferite per il nostro Pianeta. Ho scritto già come, secondo gli studi più accreditati circa il cambiamento climatico, tra il 2030 e il 2050 la temperatura globale aumenterà di 1.5 gradi che si tradurrà in un aumento della mortalità legata al caldo. Ondate di calore e città sovraffollate. Un cambiamento così non si ferma facilmente, il riscaldamento globale causato dalle emissioni umane durerà per secoli o millenni. Secondo gli esperti del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (IPCC) “anche ipotizzando la completa applicazione di tutte le misure dell’accordo di Parigi, il riscaldamento globale raggiungerà i 3 gradi intorno al 2100 per poi crescere ancora”. Provate a immaginare cosa accadrebbe al nostro organismo se dovesse vivere, e sopravvivere, costantemente con una temperatura corporea alterata. Speriamo di no.
Nel 1988 la filosofa statunitense di origini bengalesi Gayatri Chakravorty Spivak pubblicò Can the Subaltern Speak? Saggio assai influente nel campo degli studi post-coloniali e della teoria critica. Spivak si è spinta oltre la scena della ricerca accademica sul colonialismo e le sue dinamiche illustrando il perché una sola narrazione della realtà sia stata fissata come normativa e, al contempo, abbia spianato la strada al superamento di una simile narrativizzazione. Il grande merito storiografico di Gayatri Chakravorty Spivak è stato quello di avviare un dibattito sulle comunità ridotte al silenzio, colonizzate, inascoltate, invisibili e non rappresentate. Quante di queste costellano oggi il nostro Pianeta? Moltissime.
Le questioni studiate dalla Spivak credo siano cruciali e attuali nel quadro delle ricerche emergenti sulla storia ambientale e hanno invitato gli storici dell’ambiente a essere critici, a interessarsi alle emergenze ecologiche attuali, ad avvicinarsi alle origini ecologiste della disciplina. Le ultime tendenze della ricerca sulla natura, la storia e la cultura dell’ambiente illustrano in maniera chiara il passato dell’uomo, il ruolo di soggetti ecologici nella costituzione del passato, i mezzi potenziali per decolonizzare le pratiche e gli approcci filosofici della ricerca. Da non sottovalutare poi come tutte le iniziative coloniali e imperiali – componente fondamentale dei subaltern studies – sono inseparabili dalla storia dei cambiamenti ambientali su scala globale.
Alla crisi climatica, alle tensioni internazionali tra Iran e Stati Uniti di inizio anno si sono aggiunte la pandemia globale di coronavirus e il nuovo, ennesimo, dramma umanitario dei migranti, probabilmente crisi entrambe figlie del fallimento degli Stati nazionali nell’affrontare emergenze globali, forse troppo “grandi” per la politica di oggi dispiegata su sé stessa e povera di slanci illuminati. Le politiche sanitarie non prevedono una gestione comune così come la sorveglianza delle frontiere esterne e dei flussi migratori rientra nelle sovranità delle capitali, che non riescono più a intendersi su una linea di condotta univoca.
Il dramma dei bambini dell’isola di Lesbo in Grecia rappresenta, forse, l’inferno in terra più verosimile. Sull’isola che affonda, i primi ad annegare sono i bambini, lì per loro non c’è nulla, neppure un letto, un bagno o la luce, solo fango, freddo e attesa, un purgatorio fradicio di orrore e privo di senso nel quale impazzire. Tutto ciò costituisce una grande sconfitta per l’umanità intera, per le democrazie occidentali e per il testo della dichiarazione universale dei diritti umani votata presso l’Assemblea delle Nazioni Unite a Parigi il 10 dicembre del 1948, figlia di una elaborazione secolare, che parte dalla dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino stesa nel 1789 durante la Rivoluzione francese.
Tra i 48 paesi firmatari della dichiarazione anche Grecia e Turchia, oggi al centro della questione, le frontiere si frantumano e il ruolo della Turchia si fa sempre più centrale in un Medio Oriente ormai disilluso e pieno di faglie, l’Europa sta a guardare. I numeri sono imponenti, per settimane Idlib, ultima provincia siriana in mano ai ribelli, è stata sotto attacco congiunto dell’aviazione russa e dell’esercito di Damasco, 900mila persone sono state, di fatto, intrappolate nella provincia, la Turchia ha sbarrato i confini salvo poi aprirli al lato siriano e greco per far pressione sull’Europa e migliaia di persone hanno raggiunto il continente europeo. E poi è arrivato il coronavirus, che ha fermato il tempo, lo spazio e ci ha costretti a vivere un “tempo sospeso”.
Ancora una volta è il passato che ci aiuta a interpretare il presente: rileggendo ad esempio alcuni capitoli de I Promessi Sposi, romanzo storico scritto da Alessandro Manzoni due secoli fa, vi troviamo analogie e realtà tra l’Italia del 1600 e quella di oggi, non possiamo non constatare come quelle pagine siano straordinariamente moderne e attuali, dalla convinzione della pericolosità dello “straniero” allo scontro violento tra le autorità, dall’avida ricerca del cosiddetto paziente zero al disprezzo per gli esperti, dalla caccia agli untori alle voci incontrollate, e poi i rimedi più assurdi, l’assalto dei beni di prima necessità e l’emergenza sanitaria”. C’è tutto. La nostra storia, come sempre, è ricca di guide per interpretare il presente se solo gli prestassimo più attenzione.
È altresì interessante la chiave interpretativa rappresentata da studi secondo cui le epidemie sono legate ai cambiamenti climatici, i germi infatti potrebbero nascere e attaccare l’uomo anche – e probabilmente – a causa della costante deforestazione, dell’aumento della temperatura del nostro pianeta e di eventi estremi.
David Quammen, autore di Spillover, L’evoluzione delle pandemie (2014) e scrittore su National Geographic, New York Times e Book Review, ha affermato che c’è una correlazione tra queste malattie che saltano fuori una dopo l’altra, e non si tratta di meri accidenti ma di conseguenze non volute di nostre azioni. Sono lo specchio di due crisi planetarie convergenti: una ecologica e una sanitaria. Quammen segue da vicino i cacciatori di virus, cui questo libro è dedicato, dalle grotte della Malesia – sulle cui pareti vivono migliaia di pipistrelli – alla foresta pluviale del Congo, alla ricerca di rarissimi, e apparentemente inoffensivi, gorilla. Ciascuno di quegli animali, come i maiali, le zanzare o gli scimpanzé può essere il vettore della prossima pandemia – di Nipah, Ebola, SARS, o di virus dormienti e ancora solo in parte conosciuti – che secondo l’autore un piccolo spillover può trasmettere all’uomo. Certo è che già nel 2018 l’Organizzazione Mondiale della Sanità aveva previsto una pandemia terribile – ha ricordato il professore di Epidemiologia ambientale all’Imperial College di Londra Paolo Vineis su Live, inserto de la Repubblica – legandola allo stato di salute della Terra e alle nostre responsabilità.
Tutto è connesso, un po’ come su Pandora, luna del gigante gassoso Polifemo, nell’universo fantastico di Avatar creato nel 2009 da James Cameron, film con più incassi della storia del cinema e superato, ironia della sorte, lo scorso anno da Avengers Endgame. Una “fine dei giochi” reale quella che stiamo vivendo. Forse la natura ha lanciato un messaggio, chiaro, imperativo.
Intervistato su Live de la Repubblica Paolo Vineis ha affermato che una cascata di eventi impercettibili può portare le offese all’ambiente e generare germi pericolosi, così anche nel caso della SARS-Cov2 si ipotizza che i pipistrelli abbiano trasmesso questo ceppo virale a qualche animale intermedio e questo all’uomo. Insomma, una catena di eventi inizialmente rari poi amplificati e sviluppati in modo esponenziale, l’”effetto farfalla” appunto.
Tornado a “noi” ringrazio i tanti colleghi e i professionisti che hanno voluto raccontare un pezzo della società in cui viviamo, e che in questo primo numero ospitiamo. Le tematiche trattate sono numerose e “aprono” ancor di più allo scambio culturale tra studiosi e tra paesi diversi a cui puntiamo. Grazie in particolar modo ad Alessandro Saggioro, coordinatore del Dottorato in Storia d’Europa (la mia scuola di dottorato!) per averci concesso la pubblicazione del testo dell’Elogio alla Senatrice della Repubblica italiana Liliana Segre in occasione del conferimento del dottorato honoris causa in Sapienza lo scorso febbraio.
In questo primo numero, che segue il numero “zero”, punteremo ancora a raccontare la società del prossimo futuro con lo sguardo rivolto al passato, per decrittarlo meglio e con più profondità. La cultura e la bellezza al centro di tutto, sperando di poter cogliere la parte sana e positiva delle nostre realtà civili e sociali, contrastando così le difficoltà di un Pianeta che si sta abituando a “sopravvivere” più che a vivere.
*Roberto Sciarrone, dottore di ricerca in Storia dell’Europa, Sapienza Università di Roma