VerbumPress

“I grandi re del passato ci guardano da quelle stelle” (bollicina spaziale)

Guardare il passato attraverso il cielo

Col passare degli anni, mi accorgo quanto io non possa più dare per scontato che i ragazzini e i ragazzi di oggi abbiano visto tutti i cartoni della Disney o della Pixar… Non finisco mai di sconvolgermi per questo dato di fatto, lo reputo inaccettabile e anche un po’ triste considerando la bellezza racchiusa in quei film. Ma tant’è.

Dato però che io continuo a vedere ancora oggi quei cartoni animati, anche al cinema appena ne escono dei nuovi, il titolo di oggi è una citazione presa da uno dei cartoni animati più belli di sempre, “Il re Leone” della Disney, anno 1994 (urca urca…). E’ presa dal momento in cui Mufasa fa un discorso serio e bellissimo sul “cerchio della vita” con suo figlio Simba ed è una frase a cui sono particolarmente affezionata da sempre ma, da quando guardo il cielo con un po’ più di consapevolezza, lo sono ancora di più e alla fine di questa “bollicina spaziale” sono certa lo sarete anche voi.

Il legare tra “Il Re Leone” e l’astrofisica è fortemente correlato alla luce e alla sua velocità. La velocità della luce nel vuoto ha un valore pari a 299792458 m/s, approssimabile a 300 mila km/s, e tutti sappiamo che niente e nessuno può superarla. Sono stati fatti moltissimi esperimenti per confermare questa deduzione fatta da Albert Einstein nel 1905 e diventata pilastro della sua teoria della relatività ristretta e tutti hanno portato alla stessa conclusione: “ce dovemo sta”, la velocità della luce non si supera a meno di essere in un mezzo diverso dal vuoto (in atmosfera alcune particelle possono viaggiare più veloci della luce).  Il motivo per cui questo accade è legato alla formula più famosa di sempre, E=mc^2, ma non ne parleremo in questo articolo che ha uno scopo ben preciso: farvi pensare a una conseguenza affascinante, ma anche un po’ inquietante, legata a questa deduzione Einsteiniana, una conseguenza che lascia a bocca aperta ancora il nostro direttore, nonostante gliel’abbia già raccontata più e più volte. Arriviamoci un passo alla volta. 

Il sistema Alpha Centauri: Alpha Centauri A a sinistra e la sua compagna Alpha Centauri B a destra, osservate dall’Hubble Space Telescope. La più debole delle tre, Alpha Centauri C o Proxima Centauri, non è visibile in questa immagine (credits NASA)

La nostra Luna è l’oggetto celeste più vicino alla Terra, con una distanza media di circa 384000 km. La sua luce, che non è altro che la luce del Sole riflessa dalla sua superficie, impiega quindi un tempo pari alla sua distanza da noi fratto la velocità della luce appunto: quindi 384000 km diviso 300000 km/s, dando un tempo di circa 1,3 secondi. Ciò significa che, quando guardiamo romanticamente la Luna in una notte senza nuvole, la stiamo osservando com’era 1,3 secondi fa, cioè quando la luce è partita dalla sua superficie. Considerando che un secondo è poco più del tempo di uno schiocco di dita, possiamo dire che la stiamo osservando nel presente, giusto?

Bene. Facciamo un passo più lontano. Il nostro Sole è la stella più vicina alla nostra Terra, quella che ci dà la vita, ed è distante da noi circa 150 milioni di km (in astronomia, questa distanza è definita “unità astronomica”). Per arrivare fino a noi la sua luce, prodotta dal Sole stesso tramite la fusione nucleare nel suo nucleo, impiega quindi un tempo pari a 150milioni di km diviso 300 mila km/s, cioè circa 8 minuti. Ciò significa che noi, quando godiamo del calore del Sole, ci stiamo scaldando con la radiazione che la nostra stella ha emesso 8 minuti prima. Cioè stiamo “guardando” il Sole com’era 8 minuti fa. Di nuovo, possiamo dire che lo stiamo guardando nel presente in fin dei conti, cosa sono 8 minuti… 

Andiamo ancora più lontano.

La seconda stella più vicina alla Terra dopo il Sole è Proxima Centauri, la stella più debole del sistema Alpha Centauri costituito in tutto da tre stelle. Essa dista da noi “solo” 4,3 anni luce cioè, una volta emessa, la sua luce impiega 4,3 anni per arrivare fino a noi e quindi noi osserviamo Proxima Centauri com’era circa 4 anni e mezzo fa. 

Cominciate a capire dove stiamo andando a parare?

Il centro della nostra Galassia, la Via Lattea, dista da noi circa 26000 anni luce e sì, come state giustamente pensando, questo significa che noi stiamo osservando gli oggetti al centro della nostra Galassia com’erano 26000 anni fa… E non possiamo avere alcuna idea se adesso, nel nostro adesso, essi esistano ancora, siano spariti, si siano fusi tra loro o che altro. 

Osservare il nostro universo significa fare un viaggio nel passato, significa osservare oggetti di cui non abbiamo la minima idea di quali siano le condizioni “ora”, a parte quelli entro qualche decina di anni luce, cioè entro un tempo “umano”. Per esempio, osservando Proxima Centauri tra 4,3 anni, verso la fine del 2027, sapremo com’era davvero quella stella nel 2023, cioè oggi. Per tutto ciò che dista da centinaia di anni luce in poi, nessuno di coloro che oggi godono della vita sulla Terra saprà mai nulla di come appare effettivamente oggi.

Pazzesco vero? E considerate che la Galassia più lontana che siamo riusciti a osservare finora, grazie al nostro amico James Webb Telescope (e che si chiama poco romanticamente CEERS-93316, dalla collaborazione che l’ha osservata), è distante da noi circa 13,7 miliardi di anni luce… Quindi noi la stiamo vedendo com’era 13,7 miliardi di anni fa, cioè un battito di ciglia dopo il “big bang”, la nascita dell’universo. Esiste ancora questa Galassia? Non lo sapremo mai. 

So che quanto sto dicendo può essere frustrante perché ci dice che non potremo mai sapere com’è fatto l’Universo in questo preciso momento. 

La Galassia CEERS-93316 osservata dal James Webb Telescope (cr. The University of Edimburgh)

Proviamo però a vedere l’altra faccia della medaglia: immaginate di essere l’ultimo discendente di un’intera generazione. Gli antenati più “antichi” non sapremo mai come sarebbero stati nel momento in cui stiamo sfogliando l’album di famiglia. Possiamo solo osservarne le fotografie nel passato… In realtà, nemmeno quelle se andiamo parecchio indietro nel tempo.

L’astronomia, invece, permette di sfogliare l’album di famiglia dell’Universo, fino ad arrivare agli antenati più lontani in assoluto, quelli nati subito dopo l’inizio del tutto. Quindi, se noi riusciamo a osservare una Galassia nata subito dopo il big bang, in pratica stiamo sfogliando le foto dei primi antenati dell’immensa famiglia del nostro Universo. E lo riusciamo a fare grazie alla tecnologia che noi stessi abbiamo ideato e sviluppato.

Perciò, vediamola così: osservare l’Universo ci permette di avere uno sguardo profondo sul nostro passato più remoto e, allo stesso tempo, di avere coscienza di quanto invece accade a distanze abbastanza vicine a noi da poter influenzare la nostra quotidianità. Se ci pensate, non è poi un quadro così inquietante alla fine.

Ps La Galassia CEERS-93316, come tutti gli oggetti distanti diverse migliaia di anni luce o più, nell’attimo in cui la sua luce arriva a noi si trova a più del doppio della distanza a cui era quando l’ha emessa. Quindi, se l’ha emessa 13,7 miliardi di anni fa, oggi, momento in cui noi la stiamo osservando, essa si trova a circa 35 miliardi di anni luce. Il motivo è legato all’espansione dell’Universo… Ma questa è un’altra storia, e la racconteremo un’altra volta.

*Martina Cardillo, astrofisica