Omaggio a Calvino a 100 anni dalla nascita
Un secolo fa nasceva Italo Calvino, uno dei più grandi autori del Novecento di cui tanto si avverte l’assenza. Verbumpress vuole ricordarlo e rendergli omaggio con questo profilo dello scrittore Salvatore La Moglie
«Dati biografici: io sono ancora di quelli che credono, con Croce, che di un autorecontanosololeopere(…).Perciòdatibiograficinonnedo,olidofalsi,o comunquecercosempredicambiarlidaunavoltaall’altra(…)»: così scriveva e puntualizzava Calvino in una lettera a Germana Pescio Bottino del 9 giugno 1964. Questa sua avversione per il dato biografico, per l’autobiografismo che, per dirla con parole sue, fissa e oggettiva la vita ingenerando angoscia, Calvino se la portò con sé fino alla fine dei suoi giorni, quasi come una dichiarazione di poetica. Tuttavia, Calvino – autore così complesso e così importante per la cultura del Novecento – non ignorava certo che alcuni momenti biografici sono fondamentali per comprendere un autore e che in un’opera c’è sempre qualcosa di autobiografico.
Italo Calvino nasce il 15 ottobre 1923 non in Italia ma a Santiago de Las Vegas, presso l’Avana a Cuba. Il padre, Mario, è un agronomo di origine sanremese; la madre, Evelina Mameli, è di origine sassarese e ha la laurea in Scienze naturali. Entrambi i genitori – come ci informa lo stesso Calvino – sono molto severi, austeri e un po’ burberi e collerici, entrambi di estrazione laica e di orientamento socialista.
I Calvino ritornano in Italia nel 1925 e il piccolo Italo vive un’infanzia ed un’adolescenza serene e senza problemi economici. Nel ’34 frequenta il ginnasio-liceo e tra e 16 e i 20 anni comincia a scrivere racconti, poesie e testi teatrali. In famiglia è la pecora nera – come lui stesso ebbe a dire – in quanto l’unico con tendenze letterarie in mezzo a tanti che erano orientati per gli studi scientifici i quali, tuttavia, avranno una certa influenza sul Calvino più maturo. Infatti, nelle sue opere, non mancherà la terminologia scientifica: sono tanti i vocaboli legati alla botanica, alle scienze naturali ed anche alla tecnica. In questi anni incomincia anche a disegnare, a fare caricature e vignette e Guareschi gliene pubblica alcune sulla rivista umoristica il Bertoldo.
Nel 1941 si iscrive alla Facoltà di Agraria all’Università di Torino, dove il padre è incaricato di Agricoltura tropicale. Nel ’46, però, passa alla Facoltà di Lettere. Il ventennio fascista lo vede all’opposizione, anche se di carattere più intellettuale che militante. Nel ’43, dopo l’8 settembre, respinge la chiamata alla leva che gli viene dalla Repubblica sociale di Salò. È questo un periodo di grande solitudine e di intense letture, importanti per la sua vocazione letteraria. Insieme al fratello sedicenne, Floriano, si unisce, nel ’44, alla divisione di assalto Garibaldi. Fa, così, l’esperienza di partigiano a fianco dei comunisti, diventando egli stesso comunista. È un’esperienza che segna molto il nostro autore: lo spirito dei partigiani gli appare esemplare, a lui che, in fondo, ha una visione politica piuttosto anarchica.
Collabora ad alcuni periodici della Liguria, ma importante per la sua formazione culturale è il sodalizio intellettuale con Eugenio Scalfari (già suo compagno di liceo) e poi l’incontro con Elio Vittorini e soprattutto con Cesare Pavese, di cui diventa amico. Sono gli anni tra il ’45 e il ’46, anni decisivi per il suo futuro e per il suo destino di scrittore. Pavese è il suo primo grande lettore ed estimatore: è Pavese a segnalare, nel ’45, a Carlo Muscetta, il racconto Angoscia in caserma, che esce sulla rivista Aretusa, nel numero di dicembre, mese in cui inizia anche a collaborare al Politecnico di Elio Vittorini.
L’autodidatta Calvino (tale si considerava allora) pubblica, nel ’46, sulle riviste comuniste, numerosi racconti che poi saranno pubblicati insieme a Ultimo viene il corvo (1949). Sempre nel ’46, incoraggiato da Pavese, scrive il suo primo romanzo I sentieri dei nididiragno, il cui neorealismo è, in verità, già diverso da quello più rigidamente aderente ai suoi canoni. Il romanzo ha successo grazie a Pavese che lo fa pubblicare da Einaudi. A Torino stringe amicizia anche con Natalia Ginzburg, con gli storici Delio Cantimori e Franco Venturi e con i filosofi Norberto Bobbio e Felice Balbo. Oltre alla collaborazione con la casa editrice Einaudi, tra il ’48 e il ’49’, lavora attivamente a l’Unità e a Rinascita.
Nel ’50 resta molto scosso per il suicidio di Cesare Pavese. Intanto dedica molto del suo tempo ai libri degli altri per l’Einaudi, ma non trascura se stesso e, nel ’51, scrive di getto Il Visconte dimezzato, e si dedica anche ad altri lavori minori. Il visconte dimezzato ha molto successo, ma divide anche la critica marxista nelle sue interpretazioni. I fatti del ’56 – il XX Congresso del PCUS, la rivolta polacca e la rivoluzione ungherese – gli procurano disagio e lo conducono a polemizzare col PCI per la sua incapacità di rinnovamento alla luce di quegli avvenimenti. Nel novembre di quell’anno, escono le Fiabe italiane, il cui successo accredita l’immagine di Calvino favolista, che contrasta con quella dell’intellettuale engagé. Nel ‘57’ pubblica Ilbaronerampante, Laspeculazioneedilizia e su Bottegheoscure il racconto LagranbonacciadelleAntille. In agosto esce dal PCI e si allontana dalla politica, della quale avrebbe, negli anni successivi, sempre diffidato.
Nel ’58 pubblica i Racconti e nel ’59 Il cavaliere inesistente. Nello stesso anno esce il Menabò di letteratura e Vittorini lo vuole come condirettore.
Dagli inizi degli anni ’60 Calvino diventa sempre più noto e la sua penna è richiesta da diversi giornali, ed anche il cinema, il teatro, la radio e la televisione chiedono la sua collaborazione con altrettanti contratti. Ma lui rifiuta persino la proposta di collaborare con IlCorrieredellasera. Quello «scoiattolodellapenna», come lo definì una volta Pavese, diventa sempre più maturo e più maestro nel suo mestiere di scrittore, oramai proiettato verso un destino di fama mondiale. Nel ’62, sul V numero del Menabò esce il saggio Lasfidaallabirinto (in cui si avverte la lezione del labirintico Borges) mentre nel ’63 (anno del movimento della neoavanguardia, che segue con interesse), pubblica LaGiornatadiunoscrutatore e cura l’edizione in volume autonomo de La speculazione edilizia. Viaggia molto tra Roma, Torino, Parigi, San Remo. Nel ’64 – anno del suo matrimonio – pubblica Unapietrasopra e nel ’65 LeCosmicomiche. La morte di Vittorini, avvenuta l’anno successivo, lo colpisce profondamente, tanto che – come lui stesso confessa – muta il suo atteggiamento verso l’attualità facendogli assumere una posizione di distanza che, tuttavia, non è mai permalosa chiusura verso l’esterno.
Nel ’67 si trasferisce stabilmente a Parigi, dove rimane fino al 1980. Nella capitale francese ha modo di conoscere e in parte anche frequentare alcuni fra i maggiori intellettuali sperimentatori del momento, tra i quali il semiologo dell’artecombinatoria Roland Barthes e lo scrittore Raymond Queneau (l’ideatore di OuLiPo, Ouvroir de Littérature Potentielle, cioè Officina di Letteratura Potenziale) di cui traduce Ifioriblu. In questo periodo rivela un grande interesse per la semiologia e per la scienza, e mostra di avere gusto per la comicità paradossale e per il gioco combinatorio. Intanto, matura sempre più un’idea di letteratura che sia allo stesso tempo classica e sperimentalista.
Nel ’68 segue con interesse la Contestazione studentesca e lui, che ha già ottenuto premi letterari, rifiuta il “Viareggio” per il libro Ti con zero. In quell’anno pubblica La memoria del mondo e altre storie cosmicomiche; nel ’69 Il castello dei destini incrociati e nel ’70 Gli amori difficili. Dal ’71 riprende a lavorare con l’Einaudi e l’anno successivo pubblica Lecittàinvisibili. Nel ’76 tiene alcuni seminari alla John Hopkins University di Baltimora, negli USA, sulle Cosmicomiche e sui Tarocchi. Il mazzo visconteo di Bergamo e New York, opera che ha scritto nel ’69.
Nel 1979 esce il metaromanzo Seunanotted’invernounviaggiatore, che ci mostra un Calvino ormai maestro e al massimo del suo sperimentalismo.
Quell’antiromanzo ci conferma anche che la forma di espressione da Lui preferita e a Lui più congeniale è il racconto e, se si vuole, anche il racconto-saggio, piuttosto che il classico romanzo compiutoe bendefinito. Nel 1980 raccoglie nel volume Unapietrasopra – Discorsi di letteratura e società i suoi saggi più significativi scritti a partire dal 1955. Nell’83, invece, esce l’edizione definitiva di Palomar presso Einaudi. Nello stesso anno, alla New York University, tiene, in inglese, una conferenza su Mondo scritto e mondo non scritto che, poi, sarà pubblicata in un volume dalla Mondadori. Il 6 settembre dell’85, Calvino è colpito da un ictus e muore nella notte fra il 18 e il 19 di quello stesso mese.
Dopo la sua morte sono state pubblicate altre sue opere, come Perchéleggereiclassici e, tra le altre, le ormai celebri Lezioniamericane, lezioni di letteratura che avrebbe dovuto tenere all’Università di Harvard. Indimenticabili sono le pagine che ha scritto sulla leggerezza, quella leggerezza che si intravede già nel primo Calvino e che aleggia anche nel Calvino neorealista, e che Pavese aveva già colto quando in una recensione lo aveva definito (come già ricordato) uno «scoiattolodellapenna». Non è un caso che tra gli autori più amati da Calvino vi fosse Ludovico Ariosto, quell’Ariosto in cui realismo e fantasia, fiaba e realtà, incanto e disincanto, gusto del comico e del magico, insieme a una visione spesso anche tragica della vita mimetizzata in un mondo di sogno, che sogno non è, convivono in perfetta armonia. Calvino, come Ariosto, fu sempre consapevole della tragicità, della negatività e della pesantezza della realtà e dell’essere, ma, come Ariosto, ha sempre cercato di rappresentarli con leggerezza, con un superiore sorriso sulle labbra che rende meno cupa quella visione.
Che il mondo, la società e la civiltà in cui siamo condannati a vivere siano infernali, Calvino lo sapeva benissimo. Ecco cosa scrive ne Le città invisibili: «L’inferno dei viventi…è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo è facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte, fino al punto dinon vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e approfondimento continui: cercare e saper riconoscere chi e che cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare e dargli spazio».
Questo inferno dei viventi ha raccontato l’immenso Calvino in circa quarant’anni di attività letteraria e l’ha raccontato con quella maestria e con quella leggerezza tutte sue che oggi ci mancano tanto. Lo stile di Calvino era uno stile raffinato e limpido, preciso, puntuale, essenziale e scorrevole nel quale prevaleva, illuministicamente, l’esigenza della leggibilità, che era poi l’esigenza razionale della leggibilità del mondo e della realtà. La sua tendenza a trasformare la realtà nel fantastico e nel fiabesco, attraverso un procedimento realistico-allegorico, non lo faceva stare sulle nuvole, ma gli consentiva di parlarci, in altro modo, di cose vere e reali come l’inferno che l’uomo ha creato in questo mondo, le incertezze, l’instabilità e l’alienazione dell’uomo contemporaneo in una realtà così complessa come quella post-moderna. Gli consentiva di parlare di industria e operai; di speculazione edilizia e inquinamento; di boom economico e degradazione del paesaggio; di consumismo e decadenza dei costumi pubblici e privati; di corruzione,di truffa e di avidità; di disuguaglianza e ingiustizia; di perdita dei valori veri come la libertà, la bellezza e la spontaneità. Il richiamo alla cultura decadente gli consentiva anche di rappresentare la realtà nelle sue sfaccettature, nella sua relatività, nel suo disordine e nella sua caoticità alienante.
Per Calvino la realtà e il mondo sono come un labirinto, e la sfida consiste nel riuscire a capirli e a leggerli, affrontarli e starci dentro, ma in maniera perplessa e critica, distaccata e ironica se non si vuole perdersi e smarrirsi in essi senza più possibilità di ritrovarsi.
*Salvatore La Moglie, scrittore