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Immigrazione: “C’è un uomo in mare…!”

Assistenza socio-sanitaria fra pregiudizi e diritti universali

In un mondo in continua trasformazione non solo i singoli, ma anche l’intera società si trovano di fronte alla sfida di comunicare e agire in contesti culturali nuovi, diversi, mutevoli, a volte in opposizione, sicuramente in costante dinamismo.

Particolarmente coinvolto appare il sistema socio-sanitario chiamato a dibattere e a rispondere in modo complesso, ampio e differenziato alle urgenze, alle priorità e alle diversità di quanti provengono da altri contesti culturali.

Le persone provenienti da altre realtà culturali si confrontano, proprio a causa del loro percorso migratorio, con nuove e diverse condizioni di vita esponendosi a molteplici pressioni, con conseguenti disagi, causa dell’insorgere di malattie. 

Esperienze negative, distacchi traumatici, relazioni difficili, situazioni di squilibrio sono solo alcune delle cause che inducono smarrimenti, incertezze, difficoltà esistenziali. 

Ma anche un’idea diversa del concetto di salute gioca un ruolo importante nelle relazioni che s’instaurano con pazienti provenienti da altri Paesi. 

Sebbene salute, malattia, cura, nascita, crescita, morte, appartengano all’esperienza universale e comune di tutti gli uomini, ogni cultura ha sviluppato propri codici di interpretazione; di conseguenza esistono, sul piano culturale, una grande varietà di risposte di fronte al concetto di salute, di malattia e di cura. 

Queste ultime sono molto spesso diverse e distanti fra di loro, per cui è necessario gettare dei ponti culturali per facilitare il dialogo tra le culture e soprattutto tra i protagonisti di questo complesso sistema sociale.

Promuovere un incontro dialettico tra operatori e pazienti, basato sulla cultura dell’alterità è basilare per garantire, anche a chi viene da altre realtà etniche, il diritto alla salute. 

Le diversità naturali e culturali sono quindi intese come patrimonio inalienabile degli individui e dei gruppi;

Stimolo alla conoscenza reciproca, all’alterità come rapporto, al rispetto e alla comprensione, nell’ottica non solo di una costante ri-definizione della propria appartenenza, ma anche per la realizzazione dei diritti dell’uomo, di ogni persona a stare bene.

Avvicinare con modalità di compartecipazione e immedesimazione le situazioni di disagio di chi si trova a vivere il proprio progetto di vita in un contesto a lui nuovo ed estraneo, rappresenta non solo una sfida per l’operatore sanitario, ma contribuisce ad alimentare la speranza che, anche in situazioni di grande indigenza, possa essere sempre possibile promuovere il benessere collettivo ed individuale, nel rispetto della persona e dei valori di cui essa è portatrice. 

Essere consapevoli che la salute fa parte dei bisogni essenziali dell’uomo aldilà delle sue differenze culturali, cogliere nella concretezza della vita quotidiana il gusto e il valore della solidarietà e del dialogo, ci consente di riconoscere ad ogni individuo non solo il suo valore unico come persona, ma anche di contribuire alla realizzazione di un compito sociale importante e insostituibile.

Garantire un diritto significa renderlo leggibile e fruibile, dove appare evidente come il procedere verso una società multietnica debba necessariamente produrre dei cambiamenti nel tradizionale approccio al paziente.

L’immigrato, infatti, è uscito dalla cultura dominante del proprio paese, che costantemente lo informava nei suoi costumi etnici, perché attratto da una forte aspettativa per la cultura occidentale; è altresì immerso in una cultura occidentale egemone da cui si sente assorbito, in condizioni di sudditanza, mentre del proprio passato tende a mantenere gli elementi del folklore, ma non la vera tradizione.

Gli operatori sanitari abituati a trattare utenti isoculturali e isoterritoriali si trovano oggi a far fronte ad un’utenza multiculturale con tutti i delicati risvolti psicologici di cui ognuno ha una parte e un ruolo.

Non solo, l’operatore sanitario più di ogni altro si trova quotidianamente a gestire i “conflitti” culturali con gli utenti e tra gli utenti e le regole del Servizio Sanitario. Per questo motivo   scenari culturalmente diversi condizionano l’interpretazione di parole, gesti, atteggiamenti e comportamenti. 

A questo proposito, dunque, si fa urgente ed emergente una formazione antropologica, per educare gli operatori sanitari a sviluppare disponibilità e capacità di osservazione e di ascolto sia di se stessi sia degli altri.

E’ necessaria, quindi, la discrezione nell’agire con persone sconosciute, perché spesso i loro parametri culturali circa il concetto di salute, di malattia, di igiene, di prevenzione, ecc., sono diversi dalla cultura occidentale. Le differenze culturali non vanno però sopravvalutate e soprattutto non devono essere utilizzate per giustificare un’incapacità relazionale o, ancora peggio, i pregiudizi.

Madeleine Leininger, con la sua teoria “Diversità e Universalità dell’Assistenza Transculturale”, afferma quanto segue: “Un campo specialistico o branca del Nursing che prende in considerazione lo studio comparato e l’analisi di diverse culture in rapporto al Nursing e alle pratiche di assistenza connesse allo stato di salute-malattia, alle credenze e ai valori,ha lo scopo di fornire alle persone assistenza sanitaria e infermieristica efficace e significativa, in linea con i loro valori culturali ed il loro contesto”; “Culture diverse percepiscono, conoscono, praticano l’assistenza in modi diversi, nonostante l’esistenza di alcuni punti in comune nelle varie culture del mondo”.

L’antropologia sociale è quella disciplina in grado di fornire un contributo utile alla teoria e alla prassi infermieristica e ostetricia: l’oggetto della ricerca antropologica è l’uomo ed è all’uomo ed alla collettività che si rivolge l’assistenza socio-sanitaria. 

Non dimentichiamo che l’assistenza sanitaria non è avulsa dalla realtà che la circonda e l’incontro tra culture è un’opportunità da cogliere, sia per la società nel suo complesso, sia per l’assistenza sanitaria, in cui la relazione interculturale offre l’occasione di meditare anche sulla relazione con utenti isoculturali.

 Il confronto culturale riguarda il sentire di chi emigra ed il suo modo di percepire il paese ospitante con le sue regole, le sue leggi attraverso i meccanismi di proiezione e di identificazione; ma è anche riferito alla presa di coscienza della propria posizione individuale e di quella del gruppo di appartenenza nei confronti delle diversità culturali.

Tra questi c’è il malessere psicologico legato alla condizione di migrante, la mancanza di lavoro e di reddito, la sotto-occupazione in professioni lavorative rischiose non tutelate, il degrado abitativo, l’assenza del supporto familiare, il clima, le abitudini alimentari diverse, e per ultimo ma non da meno, la difficoltà nell’accesso ai servizi sanitari.

Per questa ragione appaiono sempre più di frequente le malattie definite da “degrado”, che sono: le patologie da raffreddamento con continue recidive, le patologie da cattiva alimentazione e le patologie traumatiche, con rilevamento da sintomi e disturbi acuti rispettivamente delle vie aeree, dell’apparato digerente e del sistema osteomuscolare. Viene anche rilevata una consistente presenza di patologie legate all’area genito-urinaria, odontostomatologica, dermatologica e ostetrico-ginecologica. E’ utile anche accennare all’individuazione di malattie che non sono strettamente legate alla condizione di immigrato, ma che rappresentano il manifestarsi di una forma di estremo degrado e di estrema emarginazione, che riguardano anche la popolazione italiana, e che sono le malattie cosiddette della povertà, come la tubercolosi, la scabbia, la pediculosi e alcune affezioni funginee e veneree.

Le patologie cosiddette da “sradicamento” e da “adattamento”, dovute allo stress provocato dall’evento migratorio, il dolore causato dalla separazione dai luoghi d’origine, il senso di solitudine, l’ansia per l’ignoto, costituiscono alcuni dei principali presupposti nel compromettere lo stato di salute, con la presenza d’innumerevoli patologie funzionali, psicosomatiche, di depressione mascherata, di ansia somatizzata, ecc…

Altre espressioni tipiche dell’iter di adattamento che colpiscono il lavoratore straniero sono le malattie professionali e gli infortuni, dovuti sia a situazioni lavorative non tutelate, sia alle difficoltà che ha lo straniero di adattarsi ad ambienti, attrezzature, sostanze, ritmi di lavoro che gli sono del tutto estranei. Sono considerate, invece, patologie di “importazione”, tanto temute come ad esempio la malaria e la parassitosi, ma non degne di rilievo, in contrasto con la credenza comune.

Il dato più forte è che si tratta di situazioni nelle quali il grande problema non è la prevenzione di patologie rare di importazione dai tropici, ma la comprensione di un mondo estraneo per linguaggio e lontano per cultura, che vuole integrarsi, ma restando fortemente legato alle proprie radici.

Il sanitario è disorientato perché avverte che manca quella forza di gravità universale che è la propria affinità culturale con i propri simili, e il paziente è stupito perché avverte che deve comunicare con persone immerse in un altro mondo.

L’operatore socio-sanitario e paziente si “annusano” come l’esploratore e l’indigeno, ma qui i ruoli sono invertiti perché qui il paziente immigrato si trova nella condizione di esploratore. 

Anticipando un problema molto complesso e di grande attualità nello sforzo di trasmettere un messaggio etico, su cui ognuno possa riflettere per partire da esso nella autocostruzione di un’identità umana individuale nel senso di appartenenza senza escludere quella universale di comunità. 

*Laura Volante, sociologa