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I giardini di Kyoto, a passeggio nell’animo umano

Andreas Séché, autore del romanzo, consegna al lettore una storia di crescita e consapevolezza personale

Andreas Séché, autore del romanzo I giardini di Kyoto, consegna al lettore una storia di crescita e consapevolezza personale, che si nutre di un incontro tra un giovane giornalista tedesco e una studentessa giapponese. Un attento lettore fa presto a capire che è centrale nella vicenda la contrapposizione tra due filosofie di vita: quella occidentale e quella orientale. I personaggi rappresentano due mondi interiori e l’amore tra i due è solo l’occasione per riflettere su ciò che avviene nel processo personale ed evolutivo dell’individuo quando si innesca un processo di contaminazione reciproca che conduce al cambiamento.  

Dallo sfondo emerge prepotente il ritratto dei giardini di Kyoto: la loro valenza simbolica li rende protagonisti di una visione che lentamente si insinua nell’animo del lettore inducendolo a riflettere sul rapporto uomo-natura e su tematiche esistenziali. 

Il giovane giornalista fa presto ad intuire che i giardini zen di Kyoto sono più vicini all’autenticità della natura rispetto a quelli occidentali, in cui l’intervento dell’uomo è più marcato. Per “tradurre la lingua dei giardini” ai turisti europei ci vuole una presenza femminile che ne sveli i segreti nascosti. 

Questo racconto è affidato alla sensibilità di Namiko, la quale rivela al giornalista che i giardini sono stati realizzati con semplicità preziosa ed una sobrietà che sottintende l’abbandono di forme esteriori per cogliere l’essenza e la verità interiore. Questa visione è proiettata nell’uso dei materiali e nella razionalizzazione degli spazi. Chi si addentra nel giardino può subito notare che il selciato è scandito dalla presenza di pietre irregolari, per indurre il visitatore a rivolgere lo sguardo verso il basso, al solo scopo di non fargli attraversare di corsa il giardino. Èun primo invito a rallentare e a godere delle bellezze della vita. Il tragitto è contraddistinto da sabbia bianca, la stessa che evoca i dipinti a china giapponese su fondo bianco e che rivela una cultura in cui sottrarre è più importante che aggiungere. Infatti, chi percorre i giardini di Kyoto può notare l’assenza di fiori colorati e ammirare piante sempreverdi e portatrici di messaggi simbolici: i pini esprimono l’attesa, la costanza e la speranza; la malva rappresenta l’amore giovanile; il muschio lo scorrere del tempo. Solitamente il cammino conduce il visitatore su un ponte da cui può ammirare il ruscello, simbolo della vita che scorre, un laghetto e un’isoletta che rappresenta il nucleo delle cose. Il ponte consente di ammirare il giardino dall’alto, offrendo la visuale migliore per cogliere la bellezza dalla giusta distanza. All’interno dei giardini giapponesi non può mancare la pianta di bambù, nota per la sua flessibilità e al tempo stesso per la sua resistenza. La sua presenza vuole ricordare ai visitatori quanto sia importante sviluppare lo spirito di adattamento alla vita. Altrettanto significativa è la porta che conduce al giardino del tè. Essa sorge isolata senza impedimenti e non funge da ostacolo al cammino, è lì solo per ricordare che l’ingresso verso una consapevolezza più profonda va affrontato con mente aperta, lasciando indietro le preoccupazioni. La collocazione delle lanterne comunica che le cose vecchie possono ritrovare nuova vita in un contesto nuovo e che il passato acquisisce un rinnovato significato nella nostra vita presente. 

Il giornalista tedesco, addentrandosi nei giardini di Kyoto, inizia il cammino più importante dentro di sé: impara la limitatezza della mente attraverso la lettura dei koan e capisce che ci sono aspetti dell’esistenza che non possono essere spiegati con la razionalità e che l’intuizione deve trovare il giusto spazio nella sua vita. L’approccio conoscitivo in occidente è spesso incentrato sull’analisi razionale e poco sul sentire, così è facile sottrarsi alla fantasia e all’intensità, che pure costituiscono parte essenziale del vivere.

L’insegnamento più importante che riceve il giornalista è impartito da un pescatore, il quale gli suggerisce di non ricercare ad ogni costo il senso della vita, ma di abbandonarsi ad essa procedendo con disinvoltura, gustandone l’essenza. Il protagonista ha imparato a relativizzare l’importanza del tempo in base all’intensità e non alla quantità ed a comprendere che condividere con gli altri il silenzio può rappresentare un atto di fiducia più significativo della trasmissione di tante parole vuote.  

Il racconto di questa storia interiore si chiude con l’immagine del protagonista intento a prendersi cura delle piante. Egli attende pazientemente di ricongiungersi con la defunta Namiko mentre ricorda la storia del pino piantato nel giardino zen: quella di un amante in attesa della sua amata.

*Tiziana Santoro, giornalista