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Moleste, collettivo per la parità di genere nel fumetto: intervista a Francesca Torre

“Fai rumore”, nove storie per osare e che raccontano la violenza di genere

Moleste, collettivo per la parità di genere nel fumetto. Fumettiste, sceneggiatrici, disegnatrici, coloriste, letteriste, soggettiste, giornaliste, traduttrici, ghost writer. Lavoriamo o vorremmo lavorare nel mondo del fumetto. Persone con obiettivi e ambizioni: “vogliamo che il nostro impegno e quello delle nostre colleghe siano riconosciuti. O vogliamo imparare in un ambiente che ci rispetti come potenziali professioniste”. Così si autodefinisce il collettivo. Chi sono le “moleste”? Le “Moleste” sono un gruppo persone che lavorano a vario titolo nel mondo del fumetto, tra disegnatrici, cover artist, sceneggiatrici, editor, tutte unite dall’obiettivo di denunciare situazioni di abusi e violenze di matrice sessista nel proprio ambiente professionale. Le firmatarie (e i firmatari) del manifesto sono circa un centinaio, ma nel nucleo operativo siamo una decina circa. Ci confrontiamo periodicamente per portare avanti i nostri progetti o semplicemente per confrontarci su quello che succede, a noi o nel nostro ambiente. Siamo “sorelle” di alcuni collettivi di fumettiste femministe in giro per il mondo, e anche di alcuni CAV (centri anti violenza) sparsi in tutta Italia, che ci danno il supporto necessario per affrontare concretamente le segnalazioni di abusi che ci arrivano in privato. 

Francesca Torre tra le coordinatrici del nuovo lavoro “Fai rumore, nove storie per osare”. Nove fumetti raccontano la violenza di genere, un’antologia di storie di ribellione, catcalling, bullismo, avance indesiderate. I nomi coinvolti nel progetto sono attivi nella divulgazione dei temi di genere, e riconosciuti nel panorama fumettistico italiano. Ognuno di loro si è confrontato su un tema diverso e con racconti della stessa lunghezza, di 15 tavole: Anna Cercignano – Un viso da bambino; Eleonora Antonioni – Sabrina; Maurizia Rubino – Scrivimi quando arrivi; Francesca Torre, La Tram – Due di una; Lucia Biagi – La cosa giusta; Vega Guerrieri, Caterina Ferrante – La felpa gialla; Laura Guglielmo – Con cura; Davide Costa, Elisa 2B – Sotto pressione; Carmen Guasco, Marta Macolino, Alessia De Sio – Ascoltami. Com’è nata l’idea di portare questi temi nei fumetti? Quant’è difficile oggi “rompere” il silenzio? L’idea è nata dalla casa editrice, Il Castoro. Ci hanno contattate le editor Giusy Scarfone e Chiara Arienti per proporci di curare un progetto insieme, che parlasse a un pubblico young adult. Non ci avevamo mai pensato prima, ma ci è sembrata subito un’ottima idea, proprio per intercettare una fascia di età particolarmente sensibile al tema. Inoltre l’adolescenza è un periodo cruciale per quel che riguarda la disparità di genere, e getta le basi per una consapevolezza che molti adulti non hanno.  Rompere il silenzio può essere molto difficile, ma non dipende – come spesso si racconta – unicamente dalla “forza” di chi ha subito l’abuso. È difficile anche perché l’ambiente che ci circonda è molto incline al giudizio, anche violento, spesso superficiale nei confronti delle vittime. Per questo, parlare, testimoniare, denunciare richiede uno sforzo importante. Quello che noi possiamo fare, da narratrici, è iniziare a raccontare delle storie che affrontino tematiche delicate. Un primo piccolo passo, spesso è quello che ci vuole per innescare un circolo virtuoso. O perlomeno potremo dire di averci provato.  

 Dal punto di vista tecnico avete deciso di raccontare le storie attraverso tratti e colori differenti, questo aiuta secondo te il lettore a comprenderle meglio? Ad entrare in empatia con i temi legati alla parità di genere? L’impatto del fumetto, con storie così diverse fra loro per stile ed estetica restituisce la dimensione di collettività che c’è dietro il progetto. Vedere che siamo in tante, e tutte diverse, a prendere la parola inoltre rappresenta una narrazione alternativa delle “vittime” – che sono spesso schiacciate su uno stereotipo che le vuole tutte uguali, e tutte rispondenti a certi canoni. No, ognuna reagisce a modo suo, e un personaggio non è mai “solo vittima”. Questo, spero, può creare un’empatia maggiore con chi legge e abbattere quella distanza che si tende a frapporre fra sé e i personaggi, in questo tipo di storie. Il fumetto, poi, è un linguaggio che può essere fortemente empatico ed emotivo, poiché le immagini comunicano a vari livelli, anche e soprattutto con quelli più viscerali. La sintesi del colore, o della disposizione dei balloon rende bene determinate sensazioni che sono protagoniste delle storie, come la perdita di sé o la pressione sociale. 

Sono storie vere? Non importa. Quando abbiamo chiesto alle persone coinvolte di proporci una storia per Fai rumore, non abbiamo indagato se le storie fossero autobiografiche o meno. Quello che contava era che ci fosse una narrazione sincera e sentita. Sono le storie che avremmo voluto leggere da ragazzini, questo sì. 

 Qual è l’obiettivo di “Fai rumore” rispetto al vostro lavoro di lotta contro le molestie? Fai rumore sposta l’azione di Moleste su un piano inedito. Parla a un pubblico nuovo, uscendo dalla bolla del nostro ambiente professionale per entrare nelle scuole. Inoltre mette la nostra creatività, la nostra professionalità al servizio dei temi su cui interroghiamo ogni giorno. Infine, ha permesso di creare una rete con le autrici e con l’autore coinvolti, e di lavorare in sinergia anche con chi finora non ha fatto propriamente parte della vita del collettivo. Ma che è stato contento di contribuire al progetto. 

Come si fa ad osare nella società di oggi? Non è necessario diventare eroi o eroine per farsi ascoltare. La solidarietà e l’accoglienza dei gruppi possono essere un grande supporto perché non si affrontino i propri problemi da sol3. Quindi va recuperata una dimensione collettiva, in un mondo che invece ci vede sempre più isolati e competitivi. Inoltre l’ascolto è una pratica da agevolare, perché i social (e non solo) ci abituano a esprimerci, ma sempre meno a comprendere cosa l’altro ci sta dicendo. 

Il mondo del fumetto così come altri settori rappresenta la società tutta, come credi sia cambiata durante la pandemia la diffusione delle notizie circa i comportamenti abusanti in generale? Quello della pandemia è stato un periodo catalizzatore di molti fenomeni. Ha portato l’opinione pubblica a confrontarsi con temi nuovi, e con una situazione di emergenza che ci ha toccati tutti in prima persona. La violenza sulle donne, specialmente in famiglia, poi, ha subito un picco indicibile, con cui ancora facciamo i conti. Purtroppo non possiamo dire che questi anni siano stati accompagnati da molta sensibilità da parte dei media nel trattare storie di violenza sulle donne, anzi. Fin troppo spesso si tende a una narrazione pericolosa del fenomeno, che oggettivizza le donne, o romanticizza i rapporti abusanti. Inoltre il modo di raccontare il movimento femminista nato negli ultimi decenni e le sue istanze spesso è inesatto, e ciò porta a una divisione del pubblico manichea e sorda a ogni confronto. I media hanno grande responsabilità in questo, e ci pare naturale per chi vuole fare (e fa) del racconto per immagini il proprio mestiere proporre una narrazione alternativa.

Spoiler su progetti futuri? Stiamo lavorando su una fanzine, destinata a un pubblico molto diverso. Anche qui, un modo per fare rete e mettere a sistema ciò che sappiamo fare per puntare ancora l’attenzione sulle tematiche degli abusi e del sessismo, di cui non si parla mai abbastanza. 

*In copertina la splendida cover di Grazia La Padula realizzata per “Fai rumore, nove storie per osare”. Nove fumetti raccontano la violenza di genere – a cura di Moleste, collettivo per la parità di genere nel fumetto – un’antologia di storie di ribellione, catcalling, bullismo, avance indesiderate.

*Roberto Sciarrone, direttore responsabile di Verbum Press