Vincenza Alfano, Perché ti ho perduto (Giulio Perrone Editore, 2021)
L’esperienza umana e poetica di Alda Merini è al centro del volume di Vincenza Alfano, Perché ti ho perduto (Giulio Perrone Editore, 2021): biografia romanzata della “poetessa dei Navigli”, anima travagliata che rifiutò le finzioni e non volle accettare compromessi.
Il breve romanzo di Vincenza Alfano non è ricostruzione minuziosa, cronologica e sistematica, di tutte le fasi della vita della Merini, ma rivisitazione selettiva, veloce e lirica a un tempo, degli snodi esistenziali più significativi. Si apre con un capitolo dedicato agli anni dell’adolescenza di Alda Merini, segnati dall’esperienza traumatica dei bombardamenti alleati su Milano. Bombardamenti che distruggono il palazzo e l’abitazione in cui la ragazzina viveva, nella zona di Porta Genova, e ne smembrano la famiglia, in parte costretta a sfollare nel Vercellese. Un trauma, suggerisce l’Alfano, che «alimenta le ombre che si fanno a poco a poco sempre più robuste nel suo mondo interiore».
Le ‘ombre’ sono parola-chiave del romanzo. Rinviano a quel grumo inconscio in cui razionalità e follia si contendono pensiero ed emozioni della protagonista. Un grumo che Vincenza Alfano delinea sin dalla prima pagina del libro con accenti di partecipe liricità: «È una ragazzina di dodici anni con la testa sempre tra le nuvole e gli occhi scuri aguzzi come chiodi, due spilli che appuntano le cose. Ogni tanto si perde, si vede dallo sguardo che si smarrisce su un confine incerto dove la realtà sbiadisce».
Con una forte ellissi, il secondo capitolo ci proietta già quattro anni dopo, nelle atmosfere del cenacolo poetico di Giacinto Spagnoletti, dove matura e si sviluppa anche la relazione amorosa tra la giovanissima Alda e il fin troppo maturo Giorgio Manganelli.
Una relazione intensa e tormentata, destinata anch’essa a produrre ulteriori ‘ombre’ nell’animo della protagonista. Ombre scaturigine di poesia: «La poesia la calma, placa ogni sua angoscia, trasforma le ombre in materia di carta e inchiostro. […] La poesia è la luce che la distrae dalla sua casa, dalla sua vita troppo modesta. La poesia è la malta del loro amore. La poesia è la sua mongolfiera. Altre volte è la maledizione che la spinge a incontrare le proprie ombre, che non la lascia in pace quando vorrebbe conforto dalle parole».
Vincenza Alfano sonda gli abissi dell’animo di Alda Merini con una scrittura di straordinaria empatia. La segue quando Giorgio tronca la relazione ed ella prova a ricostruire la propria vita su altre fondamenta più realistiche e razionali, sposando Ettore, un uomo che la ama, e cura le figlie mate dal matrimonio. La segue anche quando, oppressa da quella normalità, Alda rifiuta il compromesso di cui quella sua famiglia è il frutto e si chiude sempre più nel proprio mondo di carta, parole, ombre e bizzarrie sempre meno contenibili. «Si affeziona – scrive l’Alfano – alla propria malattia come alla propria poesia», fino a essere ricoverata in manicomio, al Paolo Pini, dove, «in una stanza tutta bianca, ai margini del mondo […], Alda è finalmente vera».
*Raffaele Messina, scrittore