Ottaviano Giannangeli Ti ricordi. Ovvero Sto cercando di capire
Romanzo che ripercorre le esperienze, gli ambienti, le persone, gli eventi esterni che incidono sul protagonista e in lui producono associazioni con immagini di un altro tempo
Il romanzo postumo di Ottaviano Giannangeli, Ti ricordi ovvero Sto cercando di capire, si può considerare il testamento spirituale e letterario del grande scrittore di Raiano che ci ha lasciato nel 2017. Nell’opera, pubblicata alla fine del 2019 da Eta Beta nella collana Amaltea, si trova infatti conferma della vocazione sperimentale che attraversa la narrativa di Giannangeli, che devia dal tradizionale racconto di azioni e mescola le res gestae con le res cogitatae inserendo nell’intreccio digressioni contenenti riflessioni, spiegazioni e dubbi del narratore. L’autore riutilizza in questa sua ultima e poderosa prova lo stesso andamento narrativo adottato in Sposare una, il suo primo romanzo, uscito nel dicembre del 1965 sulla rivista “Dimensioni” fondata dallo stesso Giannangeli, dove fatti e pensieri si susseguono e s’interrompono a vicenda, generando una disarmonia prestabilita che disorienta e affascina il lettore e lo porta a conoscenza della storia narrata sia coinvolgendone la sensibilità e l’intuito sia chiedendone la collaborazione logica per comprendere il dispiegarsi dei ragionamenti.
Ti ricordi, titolo assertivo (“tu ricordi te stesso”) e non interrogativo, come ben si comprende dal sottotitolo Sto cercando di capire, si presenta pertanto sin dall’apertura come un romanzo di contaminazione, rivelando chiaramente l’appartenenza della prosa narrativa di Giannangeli a quel particolare filone del nuovo romanzo novecentesco inaugurato dal grande modello della Coscienza sveviana. In Ti ricordi ritroviamo infatti l’accostamento di narrazioni tra loro dissimili, i tempi del racconto scombinati, la predilezione per acronie che uniscono passato e presente e soprattutto la scelta di restituire al lettore una visione problematica del mondo alternando la narrazione soggettiva a quella oggettiva.
Queste caratteristiche confluiscono in un romanzo prevalentemente autobiografico, che ha quindi la possibilità far entrare tutte le componenti di una vita nel racconto, perché ripercorre le esperienze, gli ambienti, le persone, gli eventi esterni che incidono sul protagonista e in lui producono reazioni psicologiche, presentimenti, ricordi e associazioni con immagini di un altro tempo. L’autore sceglie infatti di ricostruire il suo passato intrecciando fatti privati ed eventi storici collettivi e propone così alla valutazione del lettore il tempo che è alle spalle di chi narra e lo restituisce a nuova vita.
La stesura e la revisione dell’opera accompagnarono per lunghi anni Giannangeli, dalla maturità sino ai suoi ultimi giorni, e le memorie del protagonista, il professor Guerino Pace – non sfugga l’ossimoro tra nome e cognome – che presto si rivela una proiezione dell’autore, sono dichiaratamente rivolte ai suoi studenti e consegnate alla loro riflessione critica. Per raggiungere il suo scopo, lo scrittore mette contemporaneamente in primo piano da una parte la ricostruzione della propria esistenza, dei luoghi in cui s’è svolta e delle persone che l’hanno accompagnata, e dall’altra la sua convinzione di dover “ripensare alla Storia”, vale a dire al rapporto del protagonista con gli importanti eventi storici che hanno fatto da contesto e da regia ai primi quarant’anni della sua vita.
La durata del tempo narrato nel romanzo occupa infatti l’arco di quattro decenni: dal 1923, anno della nascita di Guerino, sino al 1963, e più precisamente il 22 novembre di quell’anno, data dell’assassinio del presidente americano John Fitzgerald Kennedy e data d’inizio della scrittura del romanzo.
Il racconto, seguendo una formula retorica classica, si apre in medias res, in un’aula del liceo dove il professor Pace insegna a una classe dell’ultimo anno. E’ infatti proprio a partire dalla sconvolgente notizia dell’attentato a Kennedy che il protagonista comincia a ricordare ciò che ha vissuto, organizzando la ricostruzione della propria vita in tappe precise: la felice e favolosa infanzia trascorsa nella valle Peligna, il lungo periodo degli studi ginnasiali nel convitto de L’Aquila, segnato dal distacco dall’amata famiglia e dalla incerta conquista di una progressiva autonomia, l’inizio degli studi universitari a Firenze, lo scoppio della guerra e il ritorno in paese, il sofferto periodo di reclusione volontaria trascorso nella casa paterna per sfuggire alla cattura dei tedeschi, la malattia che debilita Guerino e infine la ripresa della salute e degli studi.
Il susseguirsi di queste fasi dei primi quarant’anni dell’esistenza del narratore è continuamente scandito dagli eventi della grande Storia: l’affermazione del fascismo, l’avventura coloniale, l’entrata in guerra dell’Italia al fianco della Germania nazista, la sconfitta italiana, la caduta di Mussolini, l’occupazione tedesca, la Liberazione, la temibile divisione del mondo in due blocchi, quello capitalista e quello comunista, e la difficile ricerca di un nuovo equilibrio nazionale legato alla conquista della democrazia.
Accanto al romanzo di formazione che assume la voce di un’autobiografia, si costruisce così un romanzo storico e ideologico, che Giannangeli organizza non solo avvalendosi delle memorie e delle analisi personali, ma anche di un ricco dossier di documenti, di cui con precisione dà notizia nell’Introduzione Andrea Giampietro, curatore del romanzo e dell’archivio Giannangeli e attento studioso e interprete dell’opera dello scrittore raianese. Si tratta di un faldone ritrovato nella biblioteca della casa di Raiano contenente articoli di quotidiani d’epoca, dal 1937 al 1963, riviste e opuscoli storici sul ventennio fascista e sulla guerra, discorsi di Mussolini a cura dell’Ufficio Stampa del Partito Nazionale Fascista, cronache, come l’importante resoconto La fuga del re da Ortona steso da Silvio Paolucci, lettere di amici e del “tedesco buono” Fritz Elsner, che compare ripetutamente nel capitolo XI, al quale Giannangeli dedicò anche la poesia “Il Germano cattolico”.
Il romanzo presenta visibilmente una forte componente storica filtrata attraverso la vita del professor Guerino Pace, ed è al contempo un romanzo pedagogico di stampo illuminista, perché la necessità di ripensare alla Storia nasce non solo dalla notizia della tragica morte del presidente americano, morte che cambiò le sorti politiche mondiali, ma soprattutto dall’impellente desiderio del professore di stabilire un dialogo educativo più autentico ed efficace con i suoi studenti e in particolare con uno di loro, Claudio Del Monte, a lui particolarmente caro per la sua vivace intelligenza e per la capacità di porsi dubbi e di criticare in classe le spiegazioni del professore.
Guerino Pace era molto impensierito dalla propensione di questo studente al ritorno di una dittatura perché lo ossessionava la possibilità che la storia si ripetesse ed era allarmato dagli attentati terroristici che avvenivano in Trentino-Alto Adige, dalla rivoluzione polacca, dal muro di Berlino:
Non poteva capacitarsi che una generazione schizzata fuori dalla guerra, invece di covare sogni pacifisti, di rimeditare nel buio di una stanza e recitare il mea culpa, consentisse a nuovi e pericolosi ideologismi. Sarà colpa dei padri, mulinava, che si fanno seminatori di odio, e sono leggeri – troppo leggeri – con certe nostalgie. Se un figlio è entusiasta, transeat. Ma che un padre sia ancora entusiasta, senza aver compreso la dura lezione, è un mostro.
Molte problematiche affrontate durante le lezioni scolastiche sono approfondite nei ragionamenti del professore, che non approdano mai a conclusioni definitive, limitandosi ad analizzare le questioni da diversi punti di vista, come avviene ad esempio nelle pagine dedicate all’insegnamento nelle scuole statali della religione cattolica, che per lo stato democratico, come prima per quello fascista, rimaneva la religione ufficiale. Guerino non prende posizione, perché nel suo intimo non può non definirsi cristiano, e tuttavia ritiene giusto che agli studenti sia riconosciuto il diritto di libertà di culto e di laicità. Mentre il coinvolgimento interiore nell’educazione democratica dei suoi allievi si fa sempre più forte, i ricordi della sua passata vita scolastica si affollano alla mente del professore, che riporta le discussioni avvenute in classe e osserva con attenzione gli scioperi studenteschi, in genere pretestuosi e raramente legati a questioni politiche nazionali e internazionali.
Una particolare importanza nello svolgimento della vicenda romanzesca rivestono le sequenze conclusive del primo capitolo, in cui il professore, il giorno dopo l’omicidio di Dallas, risponde con misura e intelligenza alle domande provocatorie dello studente Del Monte, che lo ritiene filocomunista e gli chiede di commentare l’assassinio di Kennedy per mano di Lee Harvey Oswald, che si era dichiarato comunista. E’ proprio dopo questo episodio che scatta in Guerino Pace l’impellente desiderio di superare “quel muro invalicabile” che lo separava dagli studenti, ovvero “la barriera del tempo, l’essere di una generazione precedente”. Per riuscirci doveva raccontare il proprio tempo a chi non lo aveva vissuto e così comincia la sua storia, che subito definisce “non di fatti, ma di reazione ai fatti della gente comune”.
Guerino comincia il racconto partendo dal suo concepimento, avvenuto quasi in concomitanza alla Marcia su Roma. E questo inizio la dice lunga sul parallelismo tra i primi vent’anni della sua vita e il ventennio fascista. Era nato in una famiglia di tradizioni liberali e socialiste, in un paese dove i fascisti avevano appena vinto le elezioni comunali, mortificando gli avversari comunisti.
Gli anni della sua infanzia, che il protagonista definisce “favolosi”, si erano svolti nel seno di una famiglia protettiva e benestante, attorniata dal microcosmo di una comunità di uomini, donne, animali e cose appartenenti a un passato realmente esistito, che il narratore vuole e sa ricordare e raccontare integralmente. Ci viene cosìrestituita da Giannangeli una concreta folla umana che si porta addosso il fardello dei propri immutabili destini e dà voce a una biografia corale di esseri viventi ora scomparsi, la cui memoria si immerge nel fluire del tempo. Ne fanno parte, tra tanti, Amerigo l’uccellaro, Salvatore il canestraro e inventore di macchine, Lisetta e la sua conserva di pomodoro sulle spianatoie esposte al sole, il mimo Licurgo, la maestra “Delicata”, chiamata così perché era “delegata” dell’Azione Cattolica, il maestro elementare che il giovedì, giorno di chiusura della scuola, faceva leggere agli alunni Aladino e la lampada meravigliosa, Alì Babà e i quaranta ladroni.
Guerino è attratto in particolare dai racconti delle rivolte di popolo avvenute nella valle del suo paese e più volte fa riferimento ad alcuni personaggi di rivoluzionari che continuamente si affacciano nelle sue fantasticherie comparendo come ombre nei luoghi dove era nata la loro leggenda. Per le campagne aleggia il fantasma di Lemberto, il maestro, poeta e anarchico Umberto Postiglione, a cui Ottaviano Giannangeli dedicò una pregevole monografia. Più volte si accenna alle tumultuose vicende di Don Tobia Silvestri, parente alla lontana della madre di Guerino e parroco del Santuario della Madonna della Libera. Perseguitato prima dalle congreghe religiose, perché aveva abolito le loro entrate, e poi dai fascisti, Don Tobia per restituire dignità al Santuario aveva affrontato coraggiose lotte e arresti, a cui una volta era riuscito a sottrarsi con una fuga rocambolesca. La fantasia di Guerino è colpita anche dalle gesta dell’anarchico Tagore, suo parente, famoso per essere salito sul campanile della chiesa a suonare le campane durante una sommossa contro l’aumento dell’acqua irrigua. Braccato dalla polizia e costretto a mettersi in salvo sull’altipiano, l’anarchico si era poi rifugiato all’estero, facendo perdere per sempre le sue tracce. Tra gli agitatori che avevano suscitato la meraviglia di Guerino c’è anche un’anonima contadina che aveva rifiutato di pagare una tassa alle guardie daziarie per un mucchio di legna raccolto in campagna. La sua protesta aveva dato il via alla rivoluzione delle garritte, buttate a terra e incendiate dai contadini, e alla successiva abolizione della cinta daziaria da parte di Mussolini.
Nella piccola folla dei personaggi del romanzo il ruolo principale è assegnato ai compagni di gioco e di scuola, agli amici che Guerino frequenta a L’Aquila negli anni del ginnasio e a quelli che gli restano a fianco nel difficile tempo della guerra e dell’occupazione tedesca.
Alcuni ricompaiono nel corso della storia assumendo una valenza simbolica, come Nievo, che con determinazione compie gli studi superiori con ritardo, perché il padre non ha mezzi sufficienti a mantenerlo in convitto, o Guido, caposquadra balilla, con la sua eterna voglia di primeggiare, o Enzo, sempre umile, modesto e positivo, o come l’atletico scavezzacollo Romoletto, il bambino povero, figlio di contadini, che aveva spinto Guerino, figlio di un “signore”, a una faticosa e affascinante prova d’iniziazione alla quale Maurizio Longobardi si è ispirato per l’illustrazione di copertina del romanzo, molto simile a quelle di vecchi libri scolastici.
Agli amici d’infanzia si uniscono quelli del ginnasio: Ettore il compagno di banco che tifava per l’eroe omonimo leggendo l’Iliade, senza sapere come sarebbe andata a finire; Enrico, il più coraggioso, che tenta di fuggire dal collegio e poi viene riacciuffato; Alessio, più bravo di Guerino negli studi e presto conquistato dalle organizzazioni giovanili fasciste tanto da passare le vacanze estive ad addestrarsi nel campo Dux, mentre Guerino, che non ne poteva più delle adunate, preferisce andarsene al mare; e ancora Fantasio, pronto a liberarsi della scuola per assistere alle parate e a vantarsi dei suoi incontri a tu per tu col Duce, fautore del patto con il nazismo, perché “Il Duce ha sempre ragione”.
Il viaggio di Guerino a ritroso nel tempo concede largo spazio ai luoghi conosciuti e frequentati durante l’infanzia nel suo paese, la “Raiano delle stelle”, che non viene però mai esplicitamente menzionata, come d’altra parte nessun altro luogo del romanzo, ma a cui è dedicato un intero capitolo, il III, dove si ritrae con precisione la duplice fisionomia del paese, quella antica che segue il tratturo e quella nuova che si sviluppa sulla strada nazionale. La duplicità di Raiano trova conferma nella fondazione di ben due conventi, quello dei Cappuccini e quello degli Zoccolanti, che erano forse uniti da una misteriosa galleria sotterranea di cui favoleggiavano i paesani e che in seguito erano stati trasformati in un monastero per le suore e nella scuola elementare.
Giannangeli, attraverso la voce di Guerino, tratteggia esemplari e suggestive descrizioni dei luoghi raianesi, in particolare della piazza di Santa Maria vicina alla sua casa e dei paesaggi che circondano il paese, soffermandosi in dettaglio sui mutamenti stagionali: la trebbiatura estiva, i raccolti settembrini che venivano dalla campagna, l’aria impregnata dell’odore dei frutti di fine estate, il progressivo sfollarsi di Santa Maria all’arrivo dell’autunno, la riapertura delle cantine, il suono della campana della scuola che richiamava gli alunni, l’allegra presenza del circo nei mesi d’inverno, il rianimarsi della vita al risveglio della natura in primavera.
Tra i ricordi d’infanzia fa capolino ogni tanto la Storia con la esse maiuscola, con riferimenti sempre più numerosi ai cambiamenti che il fascismo apportava nella vita di ogni giorno, assumendo una parvenza festosa per chi “s’introduceva bene in una divisa” e “funebre” per chi invece “non sapeva adeguarsi”. Guerino, affascinato dalla bellezza del fez della divisa da balilla, ne compra uno da un amico, mentre il padre rimbrotta la madre perché in casa “non c’è mai una cravatta”, nera, s’intende, tant’è che deve adattarsi a usare quella adibita ogni tanto per i funerali.
Alcuni brevi racconti inseriti nelle memorie d’infanzia di Guerino sono divertenti, molto “giannangeliani” per chi ha conosciuto e riconosce la propensione dello scrittore a cogliere il lato giocoso della vita. Irresistibile, ad esempio, è l’episodio della “banda fascistizzata” dei ragazzi del paese che si esercita a cantare “Giovinezza” e fa dannare il capobanda, perché invece di cantare Ai nemici in fronte il sasso / agli amici tutto il cuor inverte i destinatari delle azioni e canta a squarciagola Agli amici in fronte un sasso / ai nemici tutto il cuor. La comicità arriva al culmine quando Guerino ingenuamente chiede al maestro del coro, già esasperato, se non sia peccato tirare un sasso in fronte a chicchessia.
Ben presto a questi fatti folkloristici si affiancano gli altri volti del fascismo. A L’Aquila, in un cinema dove il padre porta Guerino nel giorno in cui il figlio sta per fare il suo ingresso nel collegio dove frequenterà il ginnasio, il ragazzo vede un documentario sul volo transoceanico della Regia Aeronautica guidata dal generale Italo Balbo fino all’atterraggio in America. Le immagini degli aerei lucenti, il corteo di folla inneggiante che accoglie gli aviatori a New York gli rivelano il trionfalismo del regime e lo entusiasmano. Del militarismo fascista Guerino conosce presto l’esistenza attraverso i saggi ginnico sportivi in divisa e le avventurose prove d’assalto che con fatica deve superare nelle riunioni dei balilla. Nel XIV anno dell’era fascista dentro il collegio arriva infine la notizia straordinaria dell’inizio della guerra d’Africa. Il colonialismo iniziava a suon di canti che piacevano molto a Guerino, che tuttavia si chiedeva anche quali motivi avesse l’Italia per assalire gli Etiopi, poco convinto della necessità di un “posto al sole” per i contadini proclamato da Mussolini. Guerino sapeva bene che i contadini andavano invece sempre in cerca di un posto all’ombra per riposarsi. Eppure, quando la Società delle Nazioni condanna l’Italia ad aspre sanzioni economiche per l’attacco all’Etiopia, Guerino scrive insistentemente alla famiglia di mandargli l’oro per darlo alla Patria, e poi chiede, e ottiene, rame, ferro e carta.
Ma la patria presto volle anche i figli e dal paese di Guerino partì un giovane che non tornò più dall’Etiopia, come tanti altri. Con la presa di Addis Abeba, Mussolini poté però dare alla nazione il trionfale annuncio della nascita dell’impero coloniale italiano e così, racconta il professor Guerino Pace alias Ottaviano Giannangeli, anche il piccolo re Vittorio Emanuele III di Savoia diventò imperatore, con grande orgoglio delle folle acclamanti.
Avveniva intanto la fascistizzazione della scuola e, dice il narratore, “i decaloghi della dottrinaforzavano le pareti dell’aula e l’opera nazionale Balilla diventava Gioventù Italiana del Littorio”. Per farne parte era obbligatorio giurare di aderire alla causa fascista, anche a costo di spargimento di sangue.
Mussolini entrava nei temi d’italiano, negli enunciati e nelle chiuse; nelle carte geografiche sulle pareti dell’aula; uscivi a passeggio e appariva sui muri portanti.
Mentre si susseguivano incalzanti gli eventi privati e storici, la maturazione di Guerino Pace avveniva con lentezza, malgrado nel collegio alcuni studenti di classi anteriori alla sua fossero già partiti per la guerra di Spagna a sostegno di Franco e malgrado Guerino avesse assistito ad un atto di violenza di un capocenturia contro un ragazzo che non portava il passo di marcia. Gli era anche capitato di essere coinvolto in una rissa avvenuta nel bar del suo paese a causa di uno scherzo sgradito. La conseguenza era stata una scarica punitiva di botte e spintoni distribuiti ai ragazzi presenti dal segretario politico del paese.
L’infittirsi di questi episodi e la corsa del fascismo verso la guerra viene riferita dal narratore senza commenti e accompagnata solo dalla citazione di brevi dialoghi e di elenchi di frasi comuni dai quali il lettore può dedurre con quanta superficialità la gente giudicasse le decisioni politiche di Mussolini. Quando l’Italia entra in guerra a fianco della Germania, Guerino e i suoi compagni di collegio sono imbottiti dai professori di propaganda bellica e la coscienza della gravità della situazione è da loro ben lontana, mentre le tappe della grande storia si compiono in un pugno di anni: gli italiani sono sconfitti in Grecia e in Africa, la spedizione in Russia si trasforma in una strage delle nostre truppe, infine c’è l‘entrata in guerra degli Stati Uniti d’America.
La vita di Guerino subisce una svolta nel ‘42, quando, a causa dei bombardamenti, è costretto a interrompere gli studi universitari iniziati a Firenze e a tornare in paese. L’euforia di quanti credevano nella vittoria comincia a raffreddarsi e anche il protagonista del racconto non crede più che l’Asse riuscirà a fronteggiare l’avanzata degli Alleati. Arriva con il ’43 la ritirata italo tedesca su tutti i fronti, durante la disfatta l’Italia subisce terribili bombardamenti e migliaia di perdite umane, la gente muore di fame e si diffonde la guerriglia dei partigiani contro i nazifascisti. Gli ultimi atti della tragedia, dalla caduta di Mussolini alla fine del fascismo e della guerra sono ampiamente trattati da Guerino nella seconda parte del romanzo, spesso affidando la narrazione alle testimonianze degli amici Vittore e Fantasio e di altri conoscenti direttamente coinvolti su fronti e in momenti cruciali della guerra.
Della vigliacca fuga dei Savoia, con in testa l’imperatore Emanuele III, Guerino inventa di essere stato lui stesso testimone insieme a Don Tobia. Era il 9 settembre del 1943 e il corteo era diretto a Crecchio, nel castello dei duchi di Bovino. Di lì, la notte del 10, la famiglia reale, Badoglio e De Courten si imbarcarono al porto di Ortona sulla corvetta “Baionetta”. E’ un racconto scarno. I fatti sono così drammatici che basta elencarli e chiudere questa pagina nera della storia italiana con il testo della lapide che fu apposta sul molo di Ortona due anni dopo, per ricordare l’ignominiosa fuga del re.
Da questo Porto, la notte del 9 settembre, fuggì l’ultimo re d’Italia con la corte e con Badoglio, consegnando la martoriata Patria alla tedesca rabbia. Ortona repubblicana dalle sue macerie e dalle sue ferite grida eterna maledizione alla monarchia dei tradimenti del fascismo della rovina d’Italia, anelando giustizia dal Popolo e dalla Storia nel nome santo della Repubblica.
La grande Storia travolge il microcosmo di Guerino: il 29 ottobre del 1943 iniziarono i rastrellamenti delle SS nel paese e per il protagonista e gli altri giovani cominciarono la fuga e la ricerca di nascondigli sicuri. Le perquisizioni nelle case erano all’ordine del giorno, anche se con continui sotterfugi la madre e il padre erano riusciti a salvare il figlio dalla cattura dei tedeschi, ricavando per lui all’interno della casa un rifugio in uno stanzino dietro una libreria.
“Quasi tutti, – dice il narratore – giocavano a nascondino”, ma c’era anche chi voleva presentarsi alla “richiamata” al servizio militare per evitare che la famiglia subisse le ritorsioni dei fascisti. Così aveva scelto di fare Ugo, un coraggioso compagno di ginnasio, ponendosi una questione di coscienza che Guerino ammette di non essersi mai posto.
Nel suo forzato esilio all’interno della casa paterna Guerino scriveva le sue note e leggendo il De profundis di Oscar Wilde immaginava cosa avrebbe fatto quando sarebbe uscito dal suo nascondiglio, per qualche tempo condiviso con altri rifugiati. Solo la notte veniva serrato il portone della sua grande casa e Guerino usciva dallo stanzino in perlustrazione e si affacciava per vedere Santa Maria occupata dai tedeschi. Dall’esterno arrivano in visita, di nascosto, pochi amici a portargli notizie, e riceveva inoltre le lettere di un caro compagno d’infanzia, Enzo, figlio del medico del paese e anch’egli studente di Medicina, che viveva recluso nella sua casa. Si creò presto con Enzo un sodalizio intellettuale e poetico che rinnovava nei due amici l’ampiezza di orizzonti e l’innocenza della loro infanzia.
Mentre sulla Linea Gustav, nel Natale di sangue del 1943, Ortona veniva rasa al suolo e i morti furono migliaia, il pericolo di essere catturato per il protagonista era aumentato dopo il trasferimento dell’officina dei tedeschi nel magazzino del padre di Guerino. La narrazione di questa parte della vita del protagonista ricalca quella dei libri d’avventura, dove la tensione è costante e culmina in concomitanza ad alcuni avvenimenti che cambiano le situazioni di equilibrio. Uno di questi avvenimenti è l’installazione della centralina telefonica dei tedeschi nel secondo piano della casa dei Pace. Il nemico era ormai dentro le porte e i nervi di Guerino crollavano, tra falliti tentativi di fuga insieme agli amici e l’attesa snervante dell’arrivo degli Alleati. Fortunatamente, era nata un’insperata amicizia con i tedeschi della centralina, che erano “buoni”, in particolare Fritz Elsner.
Guerino aveva iniziato a frequentarli per imparare il tedesco, ma insieme agli amici Vittore e Alessio non aveva rinunciato alla ricerca di una grotta sicura dove rifugiarsi con la sua famiglia. Le rare e rischiose perlustrazioni con l’amico mostrano quanto la guerra abbia cambiato la vita di Guerino, ormai stanco della reclusione in casa, debilitato dal suo ossessivo scrivere note su quel che avveniva, ridotto a soddisfare solo i suoi bisogni materiali e costretto a calarsi in pericolosi antri di roccia dove collocare le provviste per quando ci sarebbe stato lo sfollamento del paese. La sua umanità si conserva però nel rapporto con gli amici, con Enzo soprattutto, che continua a mandargli le sue poesie e attende con ansia i suoi giudizi, e con Luigi, il più sfortunato, che morirà di tubercolosi prima della fine della guerra. Questa arriverà infine, dopo una lunga attesa, dopo la ritirata dei tedeschi dal paese, dopo i bombardamenti americani, dopo le azioni dei “patrioti”, come Giannangeli chiama i partigiani.
Alla Resistenza il protagonista non aderirà e a Vittore, l’amico che gli propone di collaborare per la liberazione, perché Guerino si era ribellato alla chiamata alle armi nazifascista, il protagonista risponde di essere stato contro tutti, fascisti e tedeschi, americani e inglesi, solo “per salvare la pelle” e aggiunge
Individualmente siamo tutti eroi; in massa siamo vili e ignoranti, occorre rieducarsi. Bisogna avere competenza per costruire la Storia. Io sono capace di reagire alla storia e dissolverla, ho questo impulso, ma non so comporla.
Ed è fondamentalmente in queste parole la sintesi del testamento confessione che il professor Pace consegna agli studenti, dichiarando davanti a loro di aver durato fatica a capire cos’era il fascismo, e di averlo capito a prezzo della sua esperienza. Il gioco sul futuro tra i giovani allievi e il professor Pace arriva così al suo termine con la chiusura dell’anno scolastico e l’esame finale.
Il professore ha svolto il suo compito e presto non saprà più nulla della vita degli studenti che ha incontrato ogni mattina per tre anni, ma ha consegnato loro una storia autentica su cui riflettere, scritta con sincerità, in cui non si è attribuito virtù che non possedeva né si è ritratto come un giovane eroico, coraggioso, ideologicamente maturo.
Guerino non ha aderito alla causa fascista né l’ha ripudiata approdando all’antifascismo. La sua consapevolezza della realtà italiana dopo la disfatta e l’individuazione delle responsabilità politiche maturano in lui gradualmente, senza però approdare alla collaborazione con la lotta partigiana.
Le parole chiave per comprendere il romanzo sono allora esattamente quelle preannunciate all’inizio della storia da raccontare, subito definita dal narratore “non di fatti, ma di reazioni ai fatti della gente comune”.
*Lucilla Sergiacomo, scrittrice