Quel presepe settecentesco e il Bambinello miracoloso
Vogliamo rammentare un episodio che si lega alla tradizione messinese presepale e del Bambino Gesù, ponendo l’attenzione su un volume antico. Opera notevole della Regia Stamperia di Francesco Gaipa-Messina 1754, tal libro s’intitola Vita del venerabile servo di Dio P.D. Domenico Fabris sacerdote messinese, descritta da P.Diego Savino Piccolo gesuita, e dedicata “al Santo Bambino Gesù e ai preti umili di Betlemme”. Il corposo volume narra dunque dell’umana vicenda, ispirata e severa, di padre Fabris prete venerabile, nato il 27 aprile 1671, morto il 10 marzo 1737.Di lui ci dicono tanto, quelle vetuste pagine. Per esempio ci narrano di quando “abbracciò lo stato ecclesiastico e si rese sacerdote”; di quando “s’esercitava in predicare la divina Parola ed in promuovere la devozione verso il Santo Bambino”; di quando, soprattutto, già procuratore e cappellano della chiesa di San Gioacchino- che era sita nei pressi della via dei Monasteri, nella zona dell’attuale via Romagnosi – egli vide lacrimare un Bambinello di cera. Ed erano lacrime vere, sentenziarono poi le autorità ecclesiastiche. A Messina si gridò allora al miracolo, e lo stupore dilagò ovunque in Sicilia, anche ben oltre lo Stretto. Ma vediamo un po’ meglio quel che avvenne.
I confrati di San Gioacchino, detti Servi del SS. Sacramento, comprarono un edificio in rovina accanto alla chiesa per adattarlo a sagrestia. Padre Fabris pensò invece di destinarlo ad oratorio e di impiantarvi anzitutto un presepio, ”affinché s’allargasse a Messina la devozione al Divin Bambino”. Ottenne il consenso dei confrati e l’opera fu in breve compiuta da maestranze e artisti di chiara fama, fra i quali Placido Paladino, Tuccari e i Filocamo, Giovanni Rossello. Il Bambinello da esporre nella grotta, il Fabris l’aveva acquistato nel 1699 dal vecchio prete Antonio Zizzo, per otto scudi. Era di cera e bellissimo. L’inaugurazione solenne dell’oratorio e del gran presepio doveva avvenire il 15 febbraio 1712.Il Bambinello stava intanto in casa del canonico Domenico Rizzo, che doveva preparargli una degna culla con fiori. Ma il 23 febbraio accade l’incredibile. Il reverendo Rizzo, rientrato in casa verso le dieci, volle, com’era solito fare, dare un’occhiata al Bambinello. E cosa vide? Vide nella palpebra sinistra della sacra immagine “una virgoletta d’acqua che s’andava ingrandendo e colava lungo la guancia”. Appariva umida anche la guancia destra. Il Bambinello lacrimava! Videro anche, assieme al canonico, sua madre, le sue sorelle, il cognato, alcuni nipoti, e due sacerdoti che l’accompagnavano. Fu avvertito padre Fabris, che ordinò di portare subito il cereo Bambino a San Gioacchino e di chiuderlo nel tabernacolo. Egli si recò nella chiesa il mattino seguente, vi trovò il canonico Rizzo che pregava e piangeva genuflesso.
Nel pomeriggio del 28 marzo, consigliato dal vicario generale dell’arcivescovo Benedetto Dini, il nostro venerabile prete portò il Bambino a casa sua, “per meglio osservarlo”, e lo tenne fino al 12 luglio 1712. La notizia della prodigiosa lacrimazione volò in città. Si attendeva il giudizio dell’autorità ecclesiastica. La sentenza della quale, naturalmente positiva, giunse l’11 novembre 1712. La sacra effigie pianse ancora varie volte, almeno fino al 13 marzo 1723. Il terremoto del 1908 rovinò la chiesa di S. Gioacchino e spense quell’antica devozione. L’arcivescovo Letterio D’Arrigo volle poi rinverdirla, e dispose che tutti gli anni, il 23 febbraio e il 25 degli altri mesi, venisse esposto in Cattedrale il Bambinello di padre Fabris. Ora gelosamente custodito nella chiesa di Gesù e Maria delle Trombe di via Don Bosco.
Ricordiamo che le figure in cera di soggetto sacro erano molto comuni a Messina e costituivano oggetto di culto: operavano numerosi artigiani che venivano volgarmente indicati come “bamminari”, noti per la loro abilità nel modellare le figure di Gesù Bambino (v. “Immagini devote in Sicilia” di Riccobono- Sarica).
*Antonino Sarica, giornalista