Il settore culturale, dal periodo pre-pandemico ad oggi. Intervista a Massimiliano Zane
Dopo quasi due anni dall’inizio della pandemia che ha travolto e stravolto le nostre vite, vorrei provare a fare il punto sulla situazione relativa al nostro patrimonio culturale e, in particolare, inerente alla realtà museale.
Per fare questo mi sono rivolta ad una figura che, per me, fin dai tempi della tesi, è stata un faro, un punto di orientamento del mio pensiero critico in quest’ambito, proprio grazie alla sua capacità di raccontare in maniera esaustiva e comprensibile fenomeni complessi: Massimiliano Zane, progettista culturale e consulente strategico per lo sviluppo e la valorizzazione del patrimonio (tra le tante cose).
Perché il quadro della situazione fosse più chiaro ed esaustivo, ho deciso di portare il punto di vista di Massimiliano in tre momenti storici distinti, ossia quello precedente alla pandemia mondiale, l’intervento pubblicato ad aprile 2020 per Cao.s Cagliari Contemporanea e, infine, l’intervista rilasciatami per questo articolo.
Pre-pandemia
Massimiliano, si parla spesso di “valorizzazione del patrimonio culturale”. Ci spieghi meglio, nel concreto, di cosa si tratta? Le variazioni interpretative dell’idea stessa di Patrimonio culturale, con cui oggi quotidianamente ci confrontiamo, rendono particolarmente evidente la complessa evoluzione in materia di contatto, diffusione, divulgazione, narrazione del patrimonio e quindi della sua valorizzazione. Un principio sempre più rivolto a considerare il “valore” di qualcosa, secondo la volontà di “farlo valere di più” (e non solo economicamente), quindi renderlo più manifesto, più conosciuto. Ciò implica, innanzitutto, il riconoscimento di un contesto, di relazioni, di dialogo, quindi della comprensione di bisogni ed aspettative che richiedono di esser soddisfatte secondo differenti modalità a differenti livelli di accessibilità.
Ancora troppo spesso, però, si tende a semplificare l’esperienza culturale secondo una equazione lineare di “entrata, sosta davanti alle opere, uscita”. Un modello che non considera il “valore di attrattività”, ovvero ciò che può fare la differenza nella scelta o meno di accedere ad un museo o di usufruire di una esperienza culturale.
Il settore culturale è, da tempo, in difficoltà. Quali sono le ragioni? La crisi economica del 2009 risulta essere in parte responsabile di un calo della partecipazione alle attività culturali, portando, nel lungo periodo, ad una ridefinizione di quello che socialmente viene considerato “bene primario”. Negli ultimi venti anni il pubblico di musei, gallerie d’arte e istituzioni di arti dello spettacolo, generalmente e progressivamente, è diminuito e risulta essere tendenzialmente più vecchio della popolazione complessiva. Le istituzioni culturali nel complesso (non tutte) continuano a sostenere che la mancanza di attrattività sia “colpa” dell’apatia culturale dei visitatori, data sostanzialmente dalla crescita dell’uso di internet e dei nuovi media. Posizione che, tuttavia, le evidenze non sembrano confermare. Infatti, ad un abbassamento dei numeri nella “partecipazione fisica” alla cultura, un numero crescente di persone si è rivolto ad altre fonti per soddisfare i propri “bisogni culturali” di intrattenimento e apprendimento, utilizzando modi “alternativi” per condividere l’arte, la musica e le proprie ed altrui storie reciprocamente.
Le nuove tecnologie sono, allora, uno strumento che potenzia o ostacola il rapporto tra possibili fruitori e istituzioni museali? Le istituzioni museali sono ancora spesso ancorate, da un lato, ad una modalità di fruizione sostanzialmente tradizionale, fatta di “osservazione passiva” e, dall’altro, ad un uso degli strumenti molto superficiale.
Diversi studi (ad esempio quelli sulla “Customer Satisfaction” di Burns e Neisner del 2006 o, ancora, quelli portati avanti dai ricercatori dell’università di Calgary, Canada, Gunn e Echtner/Ritchie) descrivono chiaramente il ruolo sempre più centrale di persuasione che le emozioni hanno nel formare, orientare e sedimentare le nostre convinzioni e, conseguentemente, le nostre scelte ed aspettative, e ci suggeriscono come le nostre “intenzioni” siano sostanzialmente governate da aspetti cognitivi e affettivi. Gli strumenti digitali sono in grado di amplificare il valore multi-esperienziale nel patrimonio culturale, fornendo un’integrazione tra contenuti culturali tradizionali e altre esperienze come socializzazione, intrattenimento e apprendimento in cui i visitatori godono di una nuova forma di valore narrativo co-creativo, quindi proprio di soddisfazione. Però, se da un lato la nuova narrazione può oggettivamente amplificare l’innata capacità di proporre esperienze coinvolgenti, tipica dei musei, creando nuove occasioni di contatto e relazione che favoriscono il dialogo e la condivisione, dall’altro lato va sottolineato il ruolo pervasivo dell’innovazione, a cui necessariamente occorre prestare attenzione, in particolar modo per ciò che riguarda la “consapevolezza dell’innovazione”, consapevolezza soprattutto dei rischi di un uso scorretto dei mezzi.
Aprile 2020 – tratto da un’intervista comparsa sulla pagina Instagram di Cao.s Cagliari Contemporanea
“La situazione pandemica ha spinto un intero settore a rivedere sé stesso. Lo ha messo di fronte a tutta una serie di nodi che sono arrivati in una sola volta al pettine. Attualmente si sta sperimentando, si sta inventando e ci si sta confrontando per incentivare un ritorno alla normalità e ad un principio di cultura come cura. Presumo che, al termine di questo periodo, si tornerà ad una “normalità-diversa”, caratterizzata da nuovi stili di relazione. Oltre al rapporto con l’altro, ciò influenzerà anche il rapporto con la cultura. Bisognerà riannodare il filo tra le persone e le istituzioni culturali e questo penso che sia uno degli aspetti più complessi che bisogna affrontare fin da oggi per la prossima riapertura.”
Novembre 2021
Dopo quasi due anni dalle prime chiusure in Italia, come hanno reagito le istituzioni culturali e, in particolare, museali alla grave situazione sociale ed economica portata dalla pandemia? Stiamo assistendo ad un acuirsi della crisi già evidenziata in periodo pre-covid. Come ho spesso ripetuto, bisogna attuare delle strategie su diversi livelli di scala, creando delle reti tra i territori, ma anche tra pubblico e privato, cultura e turismo. Inoltre, è fondamentale aumentare il livello qualitativo e quantitativo dell’offerta sia a livello fisico che virtuale. Ora sappiamo di sicuro che non si tornerà più alla normalità e le sperimentazioni portate avanti durante il lockdown hanno mostrato, nella maggior parte dei casi, un uso ancora estemporaneo della tecnologia, slegato dalle reali necessità di fruizione e (quasi sempre) affidato a soggetti esterni all’istituzione che se ne serve, con un aumento dei costi non sempre sostenibile.
Il rischio è che si assista ad un divario tra lo sviluppo tecnologico del turismo e quello culturale, che marciano a velocità diverse e che porterebbe l’Italia, una volta terminata l’emergenza, al livello o sotto il livello di altre nazioni, perdendo la sua concorrenzialità. Ricordiamoci che il turismo culturale è un settore trainante della nostra economia.
Le istituzioni museali stanno puntando molto, come abbiamo visto, sull’innovazione tecnologica. Vorresti dare un tuo consiglio su come creare una strategia vincente e proficua sotto questo punto di vista? Trovo assolutamente necessario andare a lavorare innanzitutto sulla creazione di una cultura tecnologica, in quanto gli strumenti, come vediamo, si evolvono costantemente e in brevissimo tempo. Serve quindi essere preparati non tanto a saper usare una specifica tecnologia, quanto a comprendere il fenomeno, contestualizzarlo e sfruttarlo, di volta in volta, nel modo più utile e idoneo.
*Francesca Anedda, storico dell’arte