Il muro degli invisibili
Tra la Polonia e la Bielorussia, lungo il confine militarizzato più lungo d’Europa
di Roberto Sciarrone
Il 2 settembre 2021 la Polonia ha dichiarato lo stato d’emergenza nelle aree al confine con la Bielorussia di Aleksandr Lukašenko, presidente della repubblica presidenziale dal 1994, a causa del passaggio di migranti. Da quel giorno, migliaia di immagini hanno inondato media e social internazionali, istantanee di sguardi di donne e bambini persi nel vuoto tra foreste, fili spinati e cieli grigi pieni di solitudine.
Stato di emergenza. Il provvedimento sullo “stato di emergenza” dovrebbe scadere il primo dicembre ma alcune restrizioni potrebbero restare in vigore, a ottobre infatti il parlamento polacco ha approvato una riforma del diritto d’asilo che autorizza la polizia di frontiera di respingere i profughi, violando il diritto internazionale. Il 7 ottobre i ministri dell’Interno di dodici Paesi dell’Unione Europea – Austria, Bulgaria, Cipro, Repubblica Ceca, Danimarca, Estonia, Grecia, Ungheria, Lituania, Lettonia, Polonia e Slovacchia – hanno chiesto a gran voce a Bruxelles di finanziare con fondi europei la costruzione di muri alle frontiere esterne. Ironia della “storia”: a quasi un mese dall’anniversario della caduta del muro di Berlino.
Ma questa è un’altra storia, proviamo a fare ordine.
La commissaria europea per gli Affari interni Ylva Johansson ha escluso, per adesso, questa possibilità, ma il 14 ottobre il parlamento polacco d’imperio ha autorizzato il finanziamento di una barriera contro i migranti al confine bielorusso. Anche Lettonia e Lituania hanno annunciato la costruzione di recinzioni lungo i propri confini, mentre il 15 novembre l’Ue ha deciso di espandere le sanzioni contro la Bielorussia, cui sono seguiti intensi colloqui telefonici tra Angela Merkel e Aleksandr Lukašenko.
In tutto questo il governo di Baghdad ha dichiarato che il 18 novembre ci sarebbe stato il primo volo di rimpatrio da Minsk, due giorni prima gli occhi del Mondo hanno puntato lo sguardo al confine militarizzato europeo per le immagini che vedevano coinvolti i migranti respinti dall’acqua gelida degli idranti su donne, bambini e umanità inerme. Per giorni i mezzi d’informazione bielorussi hanno diffuso immagini di centinaia di profughi nel centro di Minsk o in marcia verso la Polonia, le stesse immagini non sono verificabili, così come il numero dei migranti presenti nel Paese. L’accesso alla stampa indipendente in Bielorussia è infatti limitato, la “guerra ibrida” tra Minsk e Varsavia è soprattutto una guerra di propaganda, Minsk diffonde le foto delle carovane dirette alla frontiera europea, Varsavia risponde con immagini di soldati schierati dietro il filo spinato.
La “guerra di nervi”, così come mostrato dai reportage di queste settimane, sta sfibrando anche le popolazioni che vivono nei pressi del confine, spesso minoranze etniche, travolte dal dramma di migranti arrivati da lontano e stravolti dal freddo delle ultime settimane.
Tanta disperazione tra sguardi pieni di paura.
“Il confine polacco è chiuso. Le autorità bielorusse vi stanno raccontando bugie. Tornate a Minsk e non prendete nessuna pillola dai militari bielorussi”, questi i testi inviati dal governo polacco tramite sms a tutti coloro che si trovano al confine. Pillole presunte distribuite dalle autorità bielorusse di cui tuttavia non c’è nessuna conferma. Tra il 12 e il 13 novembre le guardie bielorusse hanno anche usato laser e torce elettriche per accecare quelle polacche, difficile prevedere a cosa porterà questa escalation ma è certo che migliaia di persone, come detto, ne stanno pagando un prezzo altissimo. Nei boschi intorno al tratto militarizzato si sono organizzati rifugi in vecchie abitazioni o capanne di legno abbandonate, basi ideali per i volontari che preparano tè caldo, coperte, scarpe, abiti pesanti, acqua e medicine da distribuire ai migranti nella foresta. Situazione complicata per gli stessi volontari, le autorità non vedono bene le loro attività e aggressioni e minacce sono continue.
Il governo conservatore polacco.
Il governo polacco, guidato dal primo ministro Meteusz Morawiecki del partito Diritto e giustizia PIS, ha sempre avuto posizioni fortemente contrarie all’immigrazione e ha tollerato il proliferare dei gruppi neofascisti e nazionalisti che fanno una propaganda molto aggressiva contro gli stranieri, spesso ragazzi molto giovani e ultras delle squadre di calcio. In Polonia orientale convivono, spesso non pacificamente, diverse minoranze e religioni: ebrei, musulmani, cattolici, ortodossi, ucraini, russi, bielorussi, rom, tatari. Ogni cambiamento rischia di riaccendere vecchie ferite e conflitti sopiti dal tempo circa la “vera identità” polacca. Ciò spiega perché molti hanno aperto le porte ai rifugiati e altri si sono sentiti minacciati dal loro arrivo.
Come arrivano i migranti?
Da Ebril, in Iraq, i migranti di solito viaggiano in aereo fino a Baghdad e poi proseguono per la Bielorussia facendo scalo a Damasco, a Dubai o a Istanbul, mentre dal Libano i migranti vanno via terra fino a Damasco e poi volano a Minsk direttamente o via Istanbul.
Cosa vuole Aleksandr Lukašenko?
Il presidente bielorusso vuole convincere l’Unione Europea a sospendere le sanzioni economiche imposte al suo Paese dopo il giro di vite contro l’opposizione che dall’agosto del 2020 contesta la sua sesta vittoria alle elezioni presidenziali, secondo alcuni rapporti nelle carceri bielorusse sarebbero imprigionati circa ottocento oppositori politici, numeri importanti. In realtà, secondo diversi analisti dell’area, Lukašenko sta cercando di costringere la Russia a sostenere il suo regime e rendersi insostituibile agli occhi di Mosca. Le azioni dell’apparato di sicurezza bielorusso suggeriscono che per Lukašenko è importante alimentare la tensione al confine con la Polonia. Gli aerei militari russi, del resto, stanno già sorvolando l’area al confine mostrando la determinazione di Mosca “difendere il popolo bielorusso”. Il resto è facile da prevedere, l’introduzione della legge marziale, l’ingresso delle truppe russe in Bielorussia col pretesto di difendere i confini dello Stato alleato. E poi? Perché Lukašenko non firma subito un accordo per l’ingresso della Repubblica di Bielorussia nella Federazione russa? Le sue risorse non bastano più e il peso delle sanzioni è destinato ad aumentare, questo Putin lo sa.
Cosa succederà se la provocazione al confine polacco otterrà il suo effetto e la fanteria russa entrerà temporaneamente nella Repubblica di Bielorussia?
La Russia acquisirebbe di fatto il controllo sulla Bielorussia, l’integrazione militare sarebbe seguita da quella delle istituzioni civili, Lukašenko diventerebbe insostituibile per Putin, perché la legittimità della presenza russa dipenderebbe dal suo consenso. Fantapolitica?
Intanto i nodi della politica, in queste e nelle prossime ore, continueranno a intrecciarsi sempre di più con quelli della crisi umanitaria che ancora una volta l’Unione Europea si trova a gestire, fino adesso – nonostante la grande esperienza della Merkel (alla fine della sua corsa) – in maniera poco incisiva.