La “farfalla” di Galati
La poesia di Nino Ferraù, trova un’interprete sensibilissima nella scrittrice e poetessa, Francesca Spadaro
La vera poesia si caratterizza, da sempre, per la musicalità delle parole e per la profondità del messaggio trasmesso. La poesia di Nino Ferraù, trova un’interprete sensibilissima nella scrittrice e poetessa, Francesca Spadaro che, con grande maestria e competenza, riesce a ripercorrere l’itinerario umano ed artistico del poeta. Sempre attenta e puntuale, la Spadaro ha ricostruito lo scenario storico, antropologico e letterario in cui egli si è mosso e, con coerenza, lo ha interpretato, offrendo ai lettori importanti approfondimenti sulla figura e l’opera del poeta galatese (Francesca Spadaro, “Il Poeta e la Bambina”, Armando Siciliano Editore, Messina 2021, pg 198). L’incipit del romanzo biografico prende avvio nel 1933 (Anno XI dell’Era Fascista), quando Nino frequenta la V elementare nel suo paese di Galati Mamertino (Me) e si conclude con la morte, avvenuta a Messina nel 1984. L’ autrice avverte il lettore che, nello scrivere il testo, il cuore ha sempre tentato di soverchiare la mente, anche se quest’ultima è riuscita a sottrarsi all’ ammaliamento, senza perdere vigore e capacità critica. Un’allieva di quarta elementare, sensibile ed attenta, s’incrocia con il maestro Ferraù, in quel casermone austero e sbrecciato che era la scuola elementare di Villaggio Aldisio (Messina); ne nasce un sodalizio, fomentato dall’amore reciproco per la poesia, con una silenziosa promessa, mantenuta dalla bimba, divenuta adulta ed esperta conoscitrice delle “Belle Lettere”. Francesca Spadaro ricostruisce, nel testo, la vicenda umana e letteraria del poeta e, nel contempo, si accinge ella stessa a raccoglierne l’eredità immateriale. Due divengono, quindi, i protagonisti della “storia”: il poeta che rivive nella biografia animata dai ricordi e arricchita dagli approfondimenti, dalle ricerche e dalle analisi di Francesca e Francesca stessa che viene coinvolta dal carisma del Maestro, al punto da determinare così le sue scelte future. “Maestro resterò fino alla sera”: un impegno educativo, morale e sociale a cui la giovane allieva si atterrà fermamente, nel custodire l’eredità del maestro. La poesia con finalità educative, morali, sociali deve entrare nel cuore di tutti. Questo dice il maestro, questo recepisce l’allieva. Il poeta, pur vestendo abiti umili e modesti, riesce ad entrare nell’essenza delle cose e a divenire “pellegrino” delle “lettere”. Egli diffonde un messaggio di dignità: le scarpe rotte non ostacolano il percorso di un essere umano, basta rinforzarle con i chiodi della volontà di apprendere e di migliorare se stessi. Il valore dell’uomo sta, non solo, nel tenere la schiena dritta di fronte ai futili allettamenti e nell’onestà del suo lavoro, ma, soprattutto, nel perseguire la cultura che lo aiuterà ad uscire dall’oscurantismo e che gli consentirà di realizzare i propri obiettivi. Ferraù ha insegnato ai suoi allievi che le qualità di un individuo prescindono dall’apparenza e che, anche, le scarpe rotte danno dignità alla persona, in quanto il bisogno che nasce dalla privazione, non è attribuibile a colui che ne è oppresso ma alla società stessa che crea divari e diseguaglianze. Fondatore della corrente letteraria dell’Ascendentismo, antidecadentistica ed antiermetica, nella rivista “Selezione Poetica” organo ufficiale del movimento, il poeta ha pubblicato vari testi di filosofia, di narrativa, di critica e di arte varia. Benedetto Croce lo definì “un giovane molto più vecchio dei suoi anni” ma con “una grande sete universale” di sapere, quasi un vate che attribuiva un ruolo salvifico alla poesia “la poesia era per lui la libertà… era l’ossigeno e l’ossigeno era insostituibile”. Il grande letterato ne ammirava il coraggio e l’impegno culturale ma il poeta si sentiva “come una farfalla del marciapiede, una farfalla nata dalla crisalide del dolore, ma che, pur di non macchiarsi nelle miserie, si contenta di bruciarsi le ali iridescenti nel lume del suo stesso ideale.” La poesia deve circolare “nelle vite, come il sangue dell’uomo, come lo spirito del cosmo” asserisce il poeta, con evidente riferimento polemico all’ermetismo, poesia priva (per lui) di essenza vitale. Anche la chiesa deve ritornare alla purezza evangelica, abbandonando autocrazia, burocrazia, diplomazia, politica… per diventare soltanto verità, libertà, semplicità, missione, amore. Il poeta deve essere quindi un uomo nel mondo e non del mondo, perché deve guardare alle cose con distacco e con disinteresse ma, nelle stesso tempo, essere partecipe dei bisogni materiali ed immateriali degli altri e andare incontro a chi chiede di essere rifocillato materialmente, spiritualmente e culturalmente. Per lui la sua poesia deve scendere fino al popolo, per poi risalire. Deve essere un lievito fecondo, capace di rigenerare chi desidera attingere ad essa come ad una fonte di vita e anche di eternità. Nella poesia “Cuore” posta a chiusa del testo, è condensata tutta la profondità morale e spirituale della sua poetica:” Non ho paura/che il mio cuore si fermi/ come orologio stanco all’ultima ora/ma ho paura che rimanga vuoto/anche battendo ancora.” Anche il nostro cuore batte, emozionato dalla poesia evocatrice e generosa di Nino Ferraù che ha fatto della scuola, un podio da cui lanciare messaggi di cultura profonda e attiva come linfa vitale. La poesia di Nino Ferraù è testimonianza di grande “vis poetica” che consente a un vate di percorrere , insieme agli attenti e commossi lettori, sentieri di eternità, attraverso la prosa limpida e coinvolgente dell’autrice.
*Pina D’Alatri, operatrice culturale