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Non solo arte. Escher tra cinema, musica e psicologia

Le opere di Escher rappresentano il punto attraverso il quale passano le infinite rette della conoscenza e dell’immaginario artistico a tutto tondo

Escher può essere descritto come un “artista ponte” tra mondi antitetici. 

Arte, matematica, filosofia, psicologia e religione rappresentano universi paralleli, che trovano come elemento di congiunzione l’immagine nel suo potere evocativo e simbolico, perché è in essa che si realizza un’intima compenetrazione di mondi e linguaggi (solo apparentemente) diversi.

Le opere di Escher rappresentano il punto attraverso il quale passano le infinite rette della conoscenza e dell’immaginario artistico a tutto tondo. Musica, cinema, videoclip, videogiochi si sono ispirati e continuano ad attingere a piene mani nella ricchezza di simboli e significati partoriti dal genio dell’artista.

David Bowie ne rappresenta l’incarnazione. Camaleontica bestia da palcoscenico, reso immortale dai suoi stravaganti personaggi, non disdegnava il mondo del cinema, così quando lo chiamò Jim Henson per interpretare “Jareth”, il re dei goblin, non ci mise molto a impersonare questo bizzarro sovrano. Il film in questione è naturalmente “Labyrinth” del 1986, pellicola che in realtà è una sorta di mini musical. Bowie ha firmato 4 canzoni per il film: “Magic dance” (grandioso e caotico balletto tra David Bowie e una moltitudine di goblin), “Chilly down”(questa volta i protagonisti sono Jennifer Connely e degli esseri “smontabili”), “As the world falls down” (scena del duello finale), “Within you”(romantico ballo masquerade tra la protagonista e il re di goblin). La colonna sonora è di Trevor Jones ritmata da echi dark e sognanti. Trevor Jones ha composto la colonna sonora per diversi registi rilevanti: Excalibur di John Boorman, Dark Crystal sempre di Jim Henson, Mississipi Burning di Alan Parker ecc. Si ma Escher cosa c’entra? Basta vedere la scena finale con il labirinto multidimensionale che porta in “nessun luogo”, per apprezzare una ricostruzione scenica dell’opera grafica “Relatività” di Maurits Cornelis Escher. Oppure ancora le famose sfere di cristallo che rimandano all’opera “Autoritratto allo specchio”.

Forse non tutti sanno che, nel 1969 Mick Jagger interpellò Escher in persona per creare una illustrazione per una compilation ufficiale dei Rolling Stones “Trough the past” “Darkly”, ed Escher declinò gentilmente per il modo in cui Jagger esigeva questa “collaborazione”. 

In quel periodo molte band saccheggiavano l’immaginario del grafico senza pagare alcunché. 

Anche il film Suspiria di Dario Argento può vantare l’influsso palese di Escher, basta vedere come la cinepresa dai movimenti vellutati insegue Jessica Harper a caccia di Iris blu in labirinti Escheriani, mentre la musica scatenata e selvaggia dei Goblin amplia la sensazione di incubo espressionista. Escher è stato omaggiato nel videogioco Sonic, perché in uno special stage appare un’illustrazione di Escher “Cielo e acqua”, con sound J Pop di Nakamura Masato.    Insomma a volte le alchimie tra diversi mondi con linguaggi differenti  vengono amalgamati e tenuti insieme dalla magia del cinema.

Escher è senza dubbio un artista molto affascinante ed assai caro agli psicologi. Chi nel proprio cursus studiorum non ha mai incontrato un’opera di Escher?

Sui libri di psicologia, in particolar modo nel capitolo dedicato alla percezione, abbondano raffigurazioni di Escher, le sue “immagini impossibili” in grado di ingannare la mente, perché evidenziano la debolezza dei principi logico-spaziali attraverso i quali la mente organizza il processo interpretativo della realtà fenomenica.

Le figure impossibili realizzate da Escher sono spesso utilizzate con finalità didattiche per  spiegare, appunto, la percezione, ovvero quell’insieme di funzioni psicologiche che permettono all’uomo l’organizzazione dei dati sensibili e, dunque, l’acquisizione di informazioni provenienti dal mondo esterno. Definita anche come la risultante di un processo di elaborazione di informazioni sensoriali di varia natura (olfattive, visive, tattili, uditive, gustative, propriocettive), la percezione si configura come organizzazione immediata, coerente e significativa di un insieme di stimoli provenienti da un dato ambiente ed in un certo tempo.

Le prospettive invertite realizzate da Escher ammettono l’esistenza di più soluzioni interpretative che però risultano incompatibili tra loro e generano nell’occhio dell’osservatore un conflitto percettivo.

L’ambiguità delle soluzioni percettive procura inevitabilmente una continua alternanza di piani in un loop infinito, in cui prevale ora l’una ora l’altra soluzione percettiva, senza sosta, in cui la prima impressione è quella più pregnante dal punto di vista emotivo.

Per Escher “il disegno stesso è illusione: suggerisce tre dimensioni sebbene sulla carta ce ne siano solo due”

La Psicologia della Gestalt si è sbizzarrita nell’elaborazione di una enorme quantità di figure impossibili, illusioni ottiche e configurazioni ambigue, in cui lo spettatore si cimenta nel gioco percettivo dell’inversione figura/sfondo.

La psicodiagnosi trova nel famoso Test di Rorschach l’applicazione più suggestiva e affascinante di tale principio.

Impiegato da H. Rorschach dal 1911 come strumento psicodiagnostico pluridimensionale e proiettivo, il test si basa sull’utilizzo di un particolare tipo di illusione, detto pareidolia (Jaspers), in cui stimoli sensoriali indefiniti sono resi nitidi da elementi intrapsichici. 

Tale intuizione era stata colta in tempi remoti dallo stesso Leonardo da Vinci nel suo “Trattato sulla Pittura”. Leonardo da Vinci invitava a sviluppare la fantasia attraverso “l’interpretazione” di stimoli indefiniti, come ad esempio, le nuvole oppure le macchie di umidità sui muri.

Nel test di Rorschach si riproduce artificiosamente la pareidolia, e si richiede all’esaminando di interpretare liberamente le macchie di colore presentate.

Tali stimoli non strutturati spingono il soggetto a risolverli dal punto di vista percettivo. Le modalità con cui avviene tale interpretazione fornisce allo psicologo interessanti informazioni sulle strategie cognitive, affettive e relazionali del soggetto.

Dall’arte alla psicologia per catapultarci nell’universo matematico con Roger Penrose, matematico, fisico e cosmologo britannico che pubblicò nel British Journal of Psychology (vol. 49, parte I, febbraio 1958) il suo triangolo impossibile, noto anche come Tiangolo di Penrose. 

Si tratta di un’illusione creata da elementi reali e regolari presi singolarmente, che però stanno insieme tra loro per mezzo di collegamenti inesatti.

Molte altre figure prendono le mosse da questa intuizione. Ad esempio la Gabbia pazza di Cochran.

Escher vide il disegno di Penrose quando si stava dedicando completamente alla costruzione di mondi impossibili. Il triangolo impossibile divenne la struttura modulare con la quale egli realizzò l’opera del 1961, Cascata – Escher (1961), litografia.

In quest’opera egli lega tre di questi tribarra e ne amplifica l’effetto straniante attraverso lo stratagemma della cascata e del movimento della ruota alimentata dall’acqua, detto perpetuum mobile, che hanno la finalità di potenziare l’assurdità della composizione realizzata. 

Nell’opera Belvedere – Escher (1958), litografia, si introduce un ulteriore elemento disturbante, la Gabbia matta di Cochran, nel dettaglio del personaggio. Si può notare accanto al personaggio che sorregge lo strano oggetto, un foglio in cui è raffigurata l’immagine come dovrebbe essere in realtà. 

Con il perpetuum mobile si introduce un altro tema sviluppato in modo geniale da Escher, il tema dell’infinito.

Escher sperimenta una serie di Approssimazioni all’infinito come ad esempio nel Limite del cerchio IV (Cielo e Inferno), Escher (1960), xilografia. Dove ci sono due simboli in netta contrapposizione, Angeli e Demoni, in eterna lotta tra loro. Così lontani eppure così vicini …

Escher intuisce la possibilità simbolica dell’immagine quando la trasforma in forma geometrica. Il rettile che diviene quadrato, di nuovo dal figurativo all’astratto, nell’opera Sviluppo 1, Escher (1937), litografia.

Ma la summa di questo concetto avviene nell’opera Drago, Escher (1960), xilografia, in cui le sinuose spire del drago ancestrale, l’ouroboros, il serpente che si morde la coda in un ciclico ed eterno divenire, si muta in simbolo matematico.

In matematica, appunto, per esprimere il concetto dell’infinito, si disegna una sorta di 8 “sdraiato”, che richiama alla mente l’immagine arcaica religiosa del serpente che si morde la coda, in un perpetuo ed imperituro fluire.

Bibliografia

• Le Garzantine, Psicologia, di Galimberti U., Garzanti, Torino, 2002

• Ernst B., Lo specchio magico di M. C. Escher, Taschen, Berlino,1990

• Escher M. C., Grafica e disegni, Taschen, Berlino, 1992

• Pirani F., Treffers B. (a cura di), Nell’occhio di Escher, Mondadori Electa, Milano, 2004

*Nicoletta Romanelli, docente

*Jean-Pierre Colella, docente