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I risultati dei liquidatori e la vita dei bambini di Chernobyl a distanza di 35 anni: La centrale Lenin

Sono un ingegnere ambientale e probabilmente la mia scelta è dovuta dal fatto che sono nato nel dicembre 1985, qualche mese prima del disastro nucleare della centrale Lenin di Chernobyl. Quando mi si chiede di cosa mi occupo, rispondo “Sono un commerciale in un’azienda che si occupa di smaltire rifiuti radioattivi e smantellare centrali nucleari”. Sorgono così le classiche domande: “…ma perché abbiamo ancora le centrali nucleari in Italia? Quindi robe similari a Chernobyl? Ma disastri simili si potrebbero ripetere?”. Molte domande, ma sempre un’unica risposta: l’ignoranza è nemica, la conoscenza apre tutte le porte del mondo. Se non si comprende si rischia solo di innescare paura e rabbia. Scaturisce così la sindrome del Nimby (not in my back yard) ed è protesta contro la realizzazione di opere pubbliche che abbiano un impatto rilevante. La voglia di divulgare quello che agli altri è meno chiaro anche perché magari è meno noto.

Torniamo a ritroso nel tempo, dopo quell’ora e quella “purtroppo ormai famosa” data: le 01:23:40 del 26 aprile 1986, quando la centrale nucleare di Chernobyl è scossa da un’esplosione. Le prime domande furono se il nucleo del reattore 4 è esploso? Cosa ne sappiamo noi ad oggi a distanza di 36 anni di quell’errore umano? E’ davvero solamente il risultato di un qualcosa sfuggito al controllo dell’uomo? Assolutamente, ma c’è molto di più. Basti pensare ai difetti di costruzione o all’eccesso di controllo della dittatura sovietica, che probabilmente non ha permesso la giusta ed idonea formazione dei dipendenti.

Si parla del primo incidente nucleare classificato come livello 7 (il secondo è il disastro di Fukushima), il massimo livello della scala INES degli incidenti nucleari: livello “incidente catastrofico”.  Dal reattore fuoriuscirono circa cinque tonnellate di materiale radioattivo. Il resto invece è rimasto lì (200 tonnellate di corium radioattivo, 30 tonnellate di polvere altamente contaminata e 16 tonnellate di uranio e plutonio), nell’unità numero 4 sotto uno schermo di acciaio, cemento armato e lexan (una resina termoplastica di policarbonato in grado di prevenire l’accumulo di particelle radioattive fra i vari corpi della volta). Così questo sarebbe il secondo sarcofago. Il primo fu costruito nel 1986 nel più breve tempo possibile, esattamente quando i russi dovettero fronteggiare un disastro senza precedenti.

La decisione di sostituire il “sarcofago”con un nuovo confinamento sicuro è stata presa il 29 novembre 2016 ed è stata completata l’installazione dell’enorme nuovo immenso contenitore: il “New Safe Confinement” (NSC). Costruito in buona parte in Italia ed è costato all’epoca qualcosa come circa 1 miliardo di dollari. Un costo non esorbitante considerando che deve essere sicuro e progettato per isolare il reattore fuso al minimo per 100 anni. Riepilogando i fatti salienti fino all disastro eco-ambientale ricorderemmo: il test di prova dei gruppi elettrogeni per pompare acqua di raffreddamento del reattore iniziato all’1:00 del 25 aprile; il 26 aprile 00:00 quando continua il test, il personale del turno di notte è meno esperto e non del tutto preparato; Alle 1:23:40 la temperatura dell’acqua è altissima, i refrigeranti bollono. Viene premuto il pulsante AZ-5 per l’emergenza di classe 5; passano 4 secondi e si ha la prima esplosione (il reattore raggiunge una potenza 120 volte superiore a quella normale, il combustibile nucleare si disintegra, tutto il vapore in eccesso verso le turbine fa esplodere le condutture); 1:23:45. Seconda esplosione, il coperchio di 1.000 tonnellate del combustibile nucleare è scagliato in aria, si scatena il rilascio di radiazioni. L’aria raggiunge il reattore e l’ossigeno innesca uno spaventoso incendio di grafite. Il metallo dei tubi fa reazione con l’acqua, si produce idrogeno che esplode.

Di tutto questo mi preme sottolineare quanto questa esplosione è stata per anni sottostimata nei rapporti sovietici. I sovietici erano svezzi a non dare contezza delle loro attività, anche la parziale fusione del nocciolo del reattore 1 di Chernobyl avutasi nel 1982, è stata reso pubblica solo nel 1985. “Era solo l’ Effetto Cherenkov” (la strana luminescenza che si vedeva fuoriuscire dal tetto del reattore dovuto alla ionizzazione dell’aria da parte di particelle sprigionate dalla centrale nucleare) dissero ai primi vigili del fuoco accorsi a notte fonda per domare l’incendio del reattore numero quattro; purtroppo furono vittime sacrificali, eroi da ricordare che salvarono non solo gli abitanti di PryPjat, ma del mondo intero.

Per capire a cosa si sottoposero: in base alla dose assorbita da un essere umano e i sintomi dovuti all’esposizione da radiazioni ionizzanti, i primi disturbi avvengono già tra 0,2 e 0,5 Sievert, con un calo temporaneo dei globuli bianchi nel sangue e leggere cefalee; quella notte, i soccorritori vennero esposti a dosi che andavano dai 4 ai 50 Sievert, comportando un tasso di mortalità quasi pari al cento per cento. Essi furono i primi “liquidatori di Chernobyl”: circa 600.000 furono in totale le persone che liquidarono le conseguenze del reattore 4 e della Centrale nucleare Lenin, denominati Bio-ROBOTS, poiché neppure i robot resistevano a livelli così elevati di radiazioni; non tutti morirono in pochi giorni, ma anche lentamente e negli anni vittime di un destino preannunciatogli.

Programmi di cure, vacanze familiari, compensi altissimi ed abitazioni furono predisposti nei loro confronti, ma cosa resta di loro soprattutto se non il ricordo del loro sacrificio. E’ importante ricordare il simbolo della medaglia all’onore dei liquidatori di Chernobyl: il testo in cirillico nella parte superiore significa “Partecipante alla Campagna di Pulizia” e la sigla in basso “ЧАЭС” è la sigla che codifica l’impianto nucleare di Chernobyl; il simbolo raffigurato è una goccia di sangue che viene attraversata dai raggi alfa, beta e gamma a rimarcare gli impatti sulla salute umana dell’incidente di Chernobyl.

66 le morti accertate: quelle presunte invece per l’ONU 4.000, per il Partito Verde Europeo 30.000/60.000 per Greenpeace 6.000.000… ovviamente non starò qui a sentenziare chi ha ragione O come si calcolano le morti presunte ma solo per ricordare.

A vent’anni dall’incidente nella centrale nucleare bielorussa è stato pubblicato il rapporto “The Legacy of Chernobyl: Health, Environmental and Socioeconomic Impacts”, invito chiunque voglia a reperirne una copia e studiarla per approfondire quanto messo in luce ancor di più da una serie televisiva nel 2019 (Chernobyl, la serie tv del 2020 più amata dal pubblico). Il sito della Centrale Lenin si trova a 18 chilometri dalla città di Chernobyl, a 3 chilometri da Pripyat (una delle città atomiche progettate dall’Unione Sovietiche per accogliere i dipendenti e le loro famiglie della centrale nucleare), nell’area settentrionale di un’Ucraina ancora parte dell’Unione Sovietica. La zona di alienazione attualmente è una porzione di territorio ucraino compreso approssimativamente nel raggio di 30 km dal sito dell’ex-centrale nucleare di Chernobyl (un’estensione pari a tutto lo Stato del Lussemburgo), istituita nel maggio del 1986 per evacuare la popolazione locale e prevenire l’ingresso nel territorio; l’area attorno alla centrale venne divisa in quattro anelli concentrici, il più piccolo delimita il territorio più esposto alle radiazioni, entro 30 km dalla centrale, la Quarta Zona. Contaminato in modo disomogeneo, il territorio è ora soggetto di molteplici visite turistiche, cacciatori di reliquie e rottami: un esempio è il sotterraneo (dove è attualmente vietato l’ingresso) dell’Ospedale di Prypiat, che contiene oggetti ed indumenti indossati dai famosi “liquidatori di chernobyl” proprio lì dove ebbero le prime cure dopo gli altissimi livelli di esposizioni a radiazioni. Sono proprio i cosìddetti stalker che vorrei presentarvi: lo stalker – declinato al singolare in quanto gli è estraneo ogni spirito di aggregazione – è un giovane ucraino o bielorusso che non ha conosciuto la catastrofe del 1986 e ha familiarizzato con Chernobyl attraverso la sottocultura digitale, ovvero giocando a S.T.A.L.K.E.R.: Shadow of Chernobyl, un videogioco horror prodotto in Ucraina nel 2003 ambientato in uno scenario post-apocalittico. Ma cosa li spinge? Curiosità, ricerca di spazi liberi privi di presenza umana, la dissociazione sociale ma che poi documenta con video e foto per la ricerca chissà di followers?

 Dopo l’incidente, i liquidatori e gli stalker voglio infine parlare dei “bambini di Chernobyl”, tutta la popolazione dei bambini nati in Ucraina nel 1986. La maggior parte sono orfani sociali della Bielorussia (dove ricadde il 70 % del materiale radioattivo fuoriuscito dalla centrale), che grazie ad azioni di molte onlus ucraine, italiane (come Soleterre del dott. Rizzi) ed europee vennero ospitati e curati gratuitamente. A questi bambini ormai compromessi veniva offerto anche un breve periodo in un ambiente sano, a contatto con persone con le quali imparavano a fidarsi e a voler bene. Si trattava di programmi in grado di rinforzare l’organismo e il carattere, rendendo i minori più resistenti alle avversità di una vita evitando di subirla. L’importante rimane supportare sempre di più le realtà di questi tristi eredi, vittime di un destino inaspettato. E se ora essi stessi sono divenuti genitori, quali ripercussioni sulle loro generazioni connesse potranno realmente essere attribuite a Chernobyl? Quando i loro organismi saranno liberi da tale contaminazione sia genetica che culturale? La sicurezza e la salute dei lavoratori del settore nucleare restano sempre al primo posto come aspetto da tutelare, anche, attualmente, nell’ottica di “assicurare la salute ed il benessere per tutti e tutte le età”. [Obiettivo 3 degli SDGs – Agenda 2030]. Cosa resta dopo 35 anni: Ricordare i liquidatori, aiutare i bambini di Chernobyl, comprendere e render ancor più consapevoli gli stalker. Il nucleare ha avuto in Italia due grandi opportunità: 1987 e 2011, forse (chi può dirlo realmente?) entrambi organizzati troppo a ridosso dei due più grandi disastri nucleari della storia..Chernobyl e Fukushima! Il nucleare è davvero sul viale del tramonto o ci si appresta a varcare nuove frontiere tecnologiche? Ha ancora un possibile futuro in Italia?

*Bruno Piacentino, account Manager presso Nucleco SpA, Gruppo Sogin