Puoi volar, puoi volar!
>> bolle spaziali
Negli ultimi tempi ho la vaga impressione che noi esseri umani abbiamo perso il senso della meraviglia. Non sappiamo più stupirci né tantomeno renderci conto di quanto siamo in grado di fare. È vero, l’essere umano, in quanto tale, ha tantissimi difetti e compie una moltitudine preoccupante di errori ma troppo spesso dimentichiamo quanto sappiamo essere straordinari. Parte consistente di questa nostra straordinarietà deriva dall’immensa voglia che abbiamo di capire tutto ciò che ci circonda, dall’innata capacità di porci domande e trovare poi delle risposte e dalla curiosità di andare oltre ciò che sembra insondabile. Se non fossimo fatti in questo modo, non saremmo arrivati dove siamo; non potremmo comunicare a migliaia di chilometri di distanza, guardandoci negli occhi, non avremmo il mondo a portata di click e la possibilità di informarci ovunque siamo, non potremmo portare soccorso a chi ne ha bisogno, non avremmo le cure per mali che fino a poco tempo fa sembravano incurabili e il mondo sarebbe rimasto quello a pochi km da noi.
Il merito per riuscire a fare tutto questo è solo e soltanto nostro, non dimentichiamocelo. Ogni conquista che abbiamo fatto ha richiesto del tempo e spesso è stata conseguenza di qualcosa su cui inizialmente avevamo investito per una motivazione diversa. Investire. Un verbo ormai così poco considerato perché ormai vogliamo tutto e subito, non proviamo nemmeno a capire qualcosa se non ci dà risultati immediati e questo è il grande, immenso problema dietro la mancanza di fiducia nella ricerca scientifica. Richiede tempo, prove, contro prove, fallimenti, soluzioni e poi cambiamenti e quindi sì, richiede tanto, tanto tempo. Tempo dopo il quale, però, quella ricerca spesso ha salvato il nostro mondo o, “semplicemente”, lo ha migliorato. Per questo, guardando il piccolo drone Ingenuity volare nell’atmosfera di un altro pianeta, dovremmo meravigliarci e dovremmo entusiasmarci perché è un altro passo in avanti della genialità umana che tra qualche anno chissà cosa potrà portarci.
Tutto inizia da Leonardo da Vinci, genio indiscusso della storia. Leonardo è l’emblema della natura umana: curiosità, ingegno, pazienza, entusiasmo. E come essere umano non poteva esimersi dal chiedersi se potesse esistere un modo per dare all’uomo qualcosa che la natura non gli ha dato: le ali. Inizia col pensare a un oggetto “semplice”, la cosiddetta “vite aerea” (Codice Atlantico, 1483-1486); un dispositivo che, se sottoposto a forte rotazione, si sarebbe sollevato dal suolo. L’idea gli venne osservando delle macchine per il sollevamento dei pesi utilizzate da Brunelleschi, che sfruttavano il principio della vite (e delle quali abbiamo i disegni solo grazie allo studio di Leonardo);come una vite, ruotando, riesce a penetrare in un materiale, così la sua “vite aerea”, ruotando, avrebbe “bucato” l’aria e si sarebbe sollevata. A quel punto si è spinto oltre e osservando le ali degli uccelli ha cercato di capirne il principio e, quindi, di riprodurlo nella cosiddetta “Ala Battente” prima e nelle “ali meccaniche” poi, nelle quali ha man mano aggiunto nuove parti e modificato la struttura per cercare di riprodurre in modo più possibile fedele la dinamica delle ali vere da lui osservate negli uccelli.
Per vedere delle ali artificiali volare però, dobbiamo aspettare il 1896, quando Samuel P. Langley dalla riva del fiume Potomac vide volare il suo prototipo di macchina volante a vapore senza pilota 6 metri sopra la superficie dell’acqua (dopo 10 anni di studi e test). Qualche mese più tardi, Otto Lielienthal e il suo assistente fecero salire su una collina vicino Berlino un aliante monoposto che lo stesso Lielienthal portò in volo, dopo circa 2000 tentativi passati con almeno 12 modelli diversi. Questa volta riuscì a sollevarsi per 250 metri e percorse 7 metri prima di terminare, purtroppo tragicamente, il suo volo schiantandosi al suolo. Qualche anno dopo, miglior sorte ebbero due costruttori di biciclette molto ingegnosi, Wilbure e Orville Wright, che partirono da studi sugli aquiloni fino ad arrivare al 17 dicembre 1903; Orville volò col loro monoposto a vapore per ben 12 secondi, lanciandosi da una collina in North Carolina e percorrendo 26 metri. Quel monoposto fu il Flyer 1, 340 kg di aereo, con motore a scoppio e eliche totalmente fatti in casa dai due fratelli (le fabbriche non potevano fornirgliene con le giuste caratteristiche a un buon prezzo). Le ali e la loro meccanica derivarono, pensate un po’, dallo studio delle ali degli uccelli. Leonardo docet. Da quel primo volo della storia, si arrivò in pochissimi anni alla prima traversata della Manica da parte di Louis Blériot e oggi, come ben sappiamo, gli aerei possono portare da una parte all’altra del mondo sfiorando le nuvole e accorciando le distanze.
A quel punto, il mondo è iniziato a essere “troppo piccolo”. Meraviglioso, certo, quello sempre, ma al di fuori di esso c’era un intero universo da esplorare e i nostri occhi non hanno potuto esimersi dall’andare ben sopra le nuvole, tra le stelle. Siamo alla fine degli anni 50 e, per un motivo non propriamente nobile quale fu la guerra fredda tra USA ed ex Unione Sovietica, si iniziò la “corsa allo spazio”. Uno dopo l’altro sono stati raggiunti tanti traguardi eccezionali, uno dopo l’altro; dalla prima sonda in orbita (Sputnik, 1957) ai primi esseri umani in orbita (Yuri Gagarin, 1961, e Teresa Tereshkova, 1963), fino a arrivare a lei, la nostra meravigliosa Luna. Tutte le tappe sono state vinte dall’ex Unione Sovietica, a parte la più importante, l’ultima, cioé quella che verrà per sempre ricordata come epocale: i primi passi sulla Luna di Neil Armostrong e Buzz Aldrin, con Micheal Collins ad aspettarli dall’alto dell’Apollo 11. Siamo riusciti a percorrere 380000 km nello spazio, atterrare in sicurezza e camminare su un altro corpo celeste. Wow! Da lì, i primi rover lunari che hanno permesso agli astronauti delle successive missioni Apollo di spostarsi più velocemente in superficie e a quel punto… Perché non provare a far atterrare qualcosa su un altro pianeta? Ed ecco che Marte, distante da noi più di 100 milioni di km, appare improvvisamente più vicino. Lo abbiamo osservato da lontano, tramite sonde orbitanti intorno a esso, per arrivare al 1997, anno in cui il primo prototipo di rover marziano, il Sojourner, grande quanto una macchinina radiocomandata, viene rilasciato dal Mars Pathfinder e cammina per la prima vola sulla superficie di un altro pianeta. E via con i rover più grandi Spirit e Opportunity (2003), poi Curiosity (2011), che è tutt’ora attivo, per arrivare finalmente al 2021.
Il 18 febbraio sappiamo essere arrivato su Marte un nuovo rover, Perseverance (grande quanto una Smart ma decisamente più “gajardo”) di cui abbiamo potuto godere delle manovre con immagini e video che ci saremmo sognati fino a qualche anno fa. E tra i tanti esperimenti montati sulla sua imponente massa, nella sua “pancia” ha gelosamente conservato per tutto il tragitto un piccolo gioiello tecnologico: il drone “Ingenuity” (“Ingegno”, appunto). Questo piccolo oggetto dal peso di 1.8 kg terrestri (che diventano 0.68 in gravità marziana) è stato progettato per dimostrare che, anche senza essere mai stati fisicamente su Marte, grazie a tutti i dati raccolti dalle innumerevoli missioni, siamo stati in grado di creare qualcosa capace di volare in un’atmosfera diversa dalla nostra. In particolare, un’atmosfera densa solo l’1% di quella terrestre su un pianeta che raggiunge escursioni termiche maggiori di 100° tra notte e giorno. Il tutto fatto, poi, in modo totalmente automatico perché qualsiasi segnale impiega circa 10 minuti a percorrere la distanza Terra-Marte. E dopo qualche problema iniziale, prontamente risolto con un aggiornamento software (migliore di quelli di windows), la genialità della mente umana ce l’ha fatta anche stavolta: Ingenuity ha volato, non una, non due ma svariate volte, a diverse altezze, per diverso tempo e spostandosi di diverse distanze. Seguire in diretta la gioia di tutte le persone che hanno speso anni dietro questo piccolo gioiello e osservare il video del primo volo effettuato su un altro pianeta, beh, dire che sia stato emozionante è dir poco.
Al di là della meraviglia, però, Ingenuity ci sta dicendo che nel prossimo futuro noi potremmo raccogliere informazioni da altri pianeti dall’alto, spostandoci in modo più rapido, senza il pericolo di incontrare crateri, depressioni o rocce, senza altro ostacolo che l’atmosfera. E non solo. Quando riusciremo a mettere piede su Marte (e ribadisco il “quando” che non è un “se”) magari saremmo in grado di spostarci in diversi punti del pianeta volando, risparmiando tempo e quindi ossigeno e quindi risorse. D’altronde, non è un caso che Ingenuity abbia nella sua pancia un pezzo del tessuto del Flyer 1 dei fratelli Wright.
Insomma, il piccolo drone per i più sarà anche solo un oggetto “caruccio” che vola su un altro pianeta inutilmente, ma se abbiamo imparato come è evoluto il nostro malandato ma straordinario mondo, cioè guardando sempre al di là del nostro naso, capiremo quanto questo passo tecnologico in più non può essere altro che un trampolino verso il futuro. E concludo con un frase bellissima detta da Alberto Angela nella prima puntata dell’ultima stagione di “Ulisse – Il piacere della scoperta”, dedicata a “Le 7 meraviglie della Roma imperiale”. Sul finale, camminando sulla terrazza del Mausoleo di Augusto, ci dice: “In fondo, tutto questo rappresenta per noi molto molto di più, un sogno antico che però ci accompagna e ci guida, dimostrando che si può fare tanto, qualcosa che ci può veramente indirizzare nel futuro. Questo che vedete non è soltanto una meraviglia architettonica ma è anche una meraviglia della creatività, dell’ingegno degli uomini e ne avremo tanto bisogno per attraversare i prossimi secoli.”
Verso l’infinito e oltre! Per poi portare l’infinito sulla nostra Terra.
*Martina Cardillo, astrofisica